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venerdì 1 febbraio 2019




PAOLO RADI PRESENTA    






10 DOMANDE 


A  



MICHELE DELLA PERUTA










Michele Della Peruta è un giovane e determinato  calciatore nato a Maddaloni nel 1990 (Caserta) attualmente gioca a calcio a 5, futsal in serie C2 a Mondragone. Ma non è sempre stato così, noi gli abbiamo rivolto le nostre classiche 10 domande.



La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Il calcio è diventato la mia più grande passione sin da piccolo, guardavo le partite di mio cugino e mi piaceva vedere le partite in tv.








Lei ha giocato in diverse squadre, a quale squadra è rimasto più legato?

Quando giocavo a calcio a 11 la squadra che resterò sempre legato e il San Marco evangelista da quando gioco a futsal e la mia squadra attuale cioè l’Olympique Sinope di Mondragone.








Se non avesse intrapreso quest’attività agonistica quale sport le sarebbe piaciuto praticare? 

Se non avessi intrapreso lo sport del calcio a 5 sicuramente mi sarebbe piaciuto giocare a tennis.




Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. Perché tutti provano a diventare calciatori? 

I ragazzi guardano il calcio come in opportunità di vita migliore per vivere nel lusso ma il calcio o calcio a 5 deve essere passione e divertimento.








In che ruolo giocava? 

Quando giocavo a calcio giocavo terzino destro ora a futsal gioco sia come centrale che laterale.




 Da come abbiamo saputo lei nel mondo del calcio ha avuto una grossa delusione, non è potuto passare in un’altra squadra più importante perché il suo presidente non ha voluto cedere il cartellino, è così


Sì, è giusto, avevo avuto diciamo una piccola opportunità in un’ altra squadra più conosciuta, ma purtroppo non fu venduto il mio cartellino, doveva andare così. 








Il futsal, il calcio a 5, sta ultimamente riscuotendo gradi consensi tra gli appassionati sportivi, come pensa che si evolverà questa specialità nei prossimi anni? E secondo lei che ha cos’ha di particolare questo sport? 


Il calcio a 5 secondo me arriverà a grandi livelli non sarà come il calcio, ma si evolverà nel corso dei prossimi anni.



Qual è la principale qualità che deve avere un calciatore? 


La principale qualità che deve avere un calciatore e il rispetto e l’educazione nei confronti dell’avversario.








 Un suo pregio e un suo difetto? 

Il mio pregio credo che mi metto sempre a disposizione della squadra e cerco sempre di dare il meglio, sui miei difetti di puoi scrivere un libro – si mette a ridere - ...







 Chi vincerà quest’ anno la coppia dei campioni e lo scudetto?  (anche perché noi sappiamo che le tifa…) 

Spero che la Champions e il campionato la vincerà la Juve.








Grazie   

a cura di Paolo Radi   





01   02   2019 
(Tutti i diritti riservati)  



domenica 27 gennaio 2019



PAOLO RADI PRESENTA    









Una bella storia, un racconto vero, la ….



STORIA DI UN GIOVANE GIOCATORE




di Pio Migliaccio











Sono Pio Migliaccio e sono nato a Pozzuoli, il 22 dicembre 2001, abito a Licola Mare, nella provincia di Napoli, in un quartiere che insegna tanto, quando ti mostra le difficoltà della vita, un quartiere abbastanza difficile, dove per noi ragazzini l’unico “sfogo” è il pallone. La mia famiglia ha sempre avuto il sogno di vedermi felice, prima di vedermi realizzato in qualsiasi sia sarebbe stato il mio sogno...

Vengo da una famiglia umile, un po’ troppo, mia mamma riesce a ricavare a guadagnare qualcosa andando a fare pulizie per le case, quando può, perché il tempo a sua disposizione è troppo poco, avendo la responsabilità di guardare mia sorella più piccola che si chiama Lucia e che ha 4 anni, oltre a lei ho anche un altra sorella di 10 anni che si chiama Morena, e mio padre si chiama Salvatore.

Dopo aver presentato la mia famiglia,provo un po’ a spiegare la situazione familiare che mi ha portato a vivere la mia vita calcistica anche lontano da casa Papà facendo il pescatore, un lavoro che si tramanda di generazione in generazione, non ha sempre avuto le forze di mandare la casa avanti, poche risorse economiche e pochi aiuti, ma nonostante ciò, si è sempre rimboccato le maniche e si è dovuto adattato  ad “arrangiare” come si dice  a Napoli, ovvero: accontentarsi del minimo per mettere il pane a tavola nel caso il mare non gli avesse dato l’opportunità di andare Al  lavoro IN quella giornata; e la situazione è sempre stata questa. 


Mi  sono sempre sentito “sfortunato” perché il mio sogno era quello di andare ad una scuola calcio, ma non avendo possibilità economiche, l’unica scuola calcio che mi poteva essere d’aiuto era la strada, proprio Licola Mare, lì dove ho ricavato tanto...e proprio da Licola Mare sono partito, in cerca di qualcosa che non ero sicuro che trovassi: una meta, qualcuno disposto a migliorarmi, perché capii sin da bambino  che la mia famiglia aveva bisogno di me (ancora oggi è così). Iniziai a giocare nei  tornei sulle spiaggia, poi in  quelli per strada, successivamente incontrai una persona molto buona e generosa: Marco Del Gaudio, dove diciamo mi fece almeno assaggiare il calcio al di fuori della strada, nei campi anche provinciali, ma per me era già  qualcosa, visto che non ho mai avuto la possibilità di andare ad una scuola calcio prima dei 12 anni. Marco Del Gaudio è una persona che mi è sempre stata vicino, che mi ha sempre incoraggiato ad andare avanti, comunque erano tante le persone che mi aiutavano che mi ripetevano ogni giorno che avrei potuto andare a giocare in qualche settore giovanile, per poi migliorare e arrivare a un buon livello, sin dalla mia piccola età ho sempre avuto ambizioni troppo alte rispetto ai miei amici, magari per l’esigenza di aiutare la mia famiglia!!! 








A 13 anni, sempre tramite mister Marco (una persona che vive di calcio) passai ad una scuola calcio molto nota di Napoli: la Luigi Vitale, dove conobbi persone molto generose, che mi hanno aiutato molto, sia a livello calcistico, che a livello caratteriale. Lì ho conosciuto il mister Alessandro Pastore che sarebbe poi il presidente di questa scuola. S

Sono loro che mi hanno trattato come un loro figlio, sapendo le difficoltà che avevo a casa, ricordo ancora quando la situazione era abbastanza critica e mamma e papà litigavano sempre. Io da piccolo stavo veramente male, e il mio sfogo era solo quello: il calcio, sapevo che impegnandomi avrebbe potuto offrirmi tanto. Da sempre ho voluto lavorare sodo, ma non per assomigliare ai vari Ronaldo o Messi che vediamo in tv, perché è anche giusto che ognuno di noi abbia un proprio idolo da seguire, ma io lo facevo per me, per ambire a un settore giovanile e poter rendere fieri i miei genitori. Ogni giorno mi allenavo sempre con tanta rabbia, tanta cattiveria, avevo tanta fame di vittoria, mi bastava giocare e mi importava solo di quello, nient’altro e quello fu l’anno della svolta, facemmo tutti un campionato pazzesco (regionale)!









 Partivo da casa alle 7 di mattina per andare a scuola, mi portavo il panino e mangiavo durante il tragitto, perché il mister mi veniva a prendere, tornavo a casa verso le 8 di sera sfinito; tutto questo per un anno, ma io avevo voglia di spaccare il mondo, cercai di mettermi in mostra ad ogni partita,  tanto in mostra, che ad ogni partita arrivavano tanti gol e le prestazioni, ovviamente erano ottime. 
Ad un certo punto ci fu la chiamata da parte dell’Hellas Verona, una società che militava in serie B, io avevo 14 anni ed ero pronto a lasciare la mia casa, la mia famiglia (le due sorelle, ma anche i nonni, perché anche i miei nonni, sia paterni che materni, hanno patito insieme a me le difficoltà della vita per me sono stati e sono ancora molto importanti: una guida per la mia vita. 
Ci pensai molto, giorno e notte, ma in testa, già avevo le idee chiare…pensavo già all’8 agosto, all’inizio del ritiro, in una squadra importante, in una città fantastica, una piazza che ambiva alla serie A. Sapevo che quello era un settore giovanile importante dove poteva migliorare tanto, e anche l’esperienza lontano da casa a 14 anni, avrebbe potuto insegnarmi molto anche dal punto di vista umano. Ricordo ancora le prime settimane.
 I   primi giorni ero a pezzi, piangevo come un neonato, perché a quell’età sentivo ancora il bisogno dei miei genitori e della mia vita, quotidiana, della mia casa e delle mie abitudini, ma mi facevo forza, mi dicevo tra me e me che potevo e dovevo farcela, mi facevo 10 docce al giorno per piangere e sfogare tutto quello che avevo dentro, ricordo le videochiamate con le mie sorelle, che per me sono molto importanti, oltre   a vederle, mi rendevano tanto fragile, anche se ai  miei dicevo sempre che stavo bene: 









Con il tempo presi consapevolezza dei miei mezzi e della vita che ho avevo scelto di fare, tornavo a casa ogni due mesi e dopo solo 2 giorni dovevo ripartire, avevo la mia vita lì che mi aspettava, non potevo più restare fermo con le mani in mano, anche perché non l’ho mai fatto.  Andai via da lì maturo, sereno e consapevole di un esperienza che mi ha insegnato molto: si da quando piangevo  sino a quando maturai subito che avrei dovuto fare tutto da solo:  mi stiravo i vestiti da, lavavo gli indumenti, mi  dovevo svegliare  non più con la voce di mia mamma, ma con la mia sveglia, andare a dormire con una buonanotte della mia famiglia tramite una videochiamata potevo vederli soltanto 13 volte in 1 anno e ovvio che  tutto ciò mi fortificò  sotto ogni punto di vista.


Due anni fa venne l’opportunità di andare all’ Avellino, una piazza fantastica, dove incontrai il mister Dario Rocco, una persona unica in tutto, calcisticamente, mi ha insegnato tanto, tutto quello che a Verona ancora non avevo riuscito a capire. Quello fu un anno molto importante, under 17, dove scoprii anche un mio nuovo ruolo da esterno, visto che avevo sempre fatto la punta centrale.  Vista   la mancata iscrizione al campionato di serie B, in estate mi trovai senza squadra.


La situazione era ancora più difficile, di prima, perché già normalmente da come avete capito lo è in sé e per sé. Ebbi la fortuna di conoscere situazione 3 persone fantastiche, più che procuratori, tre fratelli: Vincenzo, Fulvio ed Enzo, che mi hanno aiutato tanto anche dal punto di vista caratteriale, sono persone uniche. Nel frattempo continuavo ad allenarmi sempre e comunque non ho mai smesso di farlo…mai. 

 Successivamente ricevetti una chiamata da mister Dario, dove mi chiese di partecipare al campionato juniores con la nuova società dell’Avellino, io non ci pensai su due volte e accettai, soprattutto perché c’era una persona come lui sulla panchina.  L’anno è partito alla grande, tanti gol e tante vittorie, tante soddisfazioni che mi hanno fatto crescere anche psicologicamente, poi ho avuto la fortuna di essere visionato è e aggregato alla prima squadra, allenamento dopo allenamento ho cercato di migliorare e apprendere qualcosa da persone come Sforzini che magari ho sempre visto e usato solo alla Playstation;  adesso ritrovarmi a giocarci insieme è veramente bello, poi le convocazioni in campionato sono state un altro traguardo importante che ho raggiunto; vedere il Partenio Lombardi pieno di gente è un emozione unica ,adesso sono in un periodo un po’ difficile perché a breve dovrei operarmi per un problema al ginocchio, ma sicuramente ritornerò più forte di prima...sogno l’esordio in prima squadra e il primo posto con la juniores, infondo per un ragazzo come me venuto dal niente, sognare è la speranza che mi tiene in vita. 











Sono un ragazzo che sa ciò che vuole, mi ricordo che da piccolo pensavo a fare danni su danni, rompevo macchine e facevo risse con altri bimbi, perché ancora non avevo capito la vita, poi le cose sono cambiate quando mia mamma mi gridava in faccia che era delusa perciò che stavo diventando. Dalle sue parole capii tanto, oggi ogni gol che faccio lo dedico ai miei genitori: a mia mamma che quando papà è a lavoro “si fa in quattro” per mandare avanti la casa e accudire le mie sorelle, e a mio padre che è sempre una guida, mi segue passo dopo passo nonostante i problemi, fa tanto male vedere le sue mani consumate dal freddo e dal tanto lavoro, fa ancora male sapere che ha avuto diversi problemi con la legge per trovare un modo per portare avanti la famiglia.  Ora le cose sono diverse, ho fatto una promessa a loro, voglio guadagnare per farli vivere come meritano, perché non ci sarebbe nulla di più bello. Non mi fanno mai mancare nulla, non si comprano un paio di scarpe per comprarle a me o alle mie sorelle Ancora non guadagno, ma spero che a breve di riuscire ad avere quel minimo per aiutare a casa, ogni gol ora lo dedico a loro perché spero che un giorno Dio  mi possa aiutare  aiuterà a mettere punto a questa mia vita, devo tanto a loro e alla mia ragazza che si chiama Alessia, mi aiutano sempre nei momenti più brutti, un giorno spero di farcela: soprattutto per loro!! 



È stato un piacere aver raccontato qualcosa di me e poter condividere “quel qualcosa di me” con i lettori.





a cura di Paolo Radi   



27   01   2019
(Tutti i diritti riservati)  








PAOLO RADI PRESENTA 







UNA RIFLESSIONE DI FIORE MANZO 



SULLA SHOAH/SAMUDARIPE’

Fiore Manzo, 26 anni, è cresciuto in un campo Rom a Cosenza, (sono italiano da 600 anni ci dice con orgoglio) con due lauree  vorrebbe insegnare per abbattere il pregiudizio e quello che non si conosce sui Rom. 







Il samudaripè (Tutti Morti) o altrimenti conosciuto con il termine Porrajmos (divoramento) non trova spazio, spesso, nei libri di testo. Al limite sull'Olocausto Rom e Sinto, abbiamo una nota a margine, qualche riga.
La popolazione romanì continua ad essere misconosciuta e pensata meramente mediante stereotipi. In Italia, nello specifico, oltre seicento anni di convivenza non sono sufficienti per un dialogo Pacifico e Reciproco impregnato di rispetto e della volontà di conoscersi. 

Non sono di aiuto le leggi regionali e la relativa istituzionalizzazione dei "campi nomadi" che potremmo, tranquillamente, definire come "pseudocampi di concentramento" o almeno dovrebbe fare riflettere il caso "esemplare Italiano" dell'istituzione dei "campi nomadi" risalente a pochi anni dopo la orribile barbarie dei campi di sterminio. 

Il tempo passa ma l'idea che, gli appartamenti alle comunità romanès, siano "vagabondi", "ladri", "asociali" e "privi di morale" permane. È opportuno, rilevare, che l'internamento dei Rom e dei Sinti nell'epoca nazi-fascista non deve essere considerata come l'unica forma di antiziganismo visto che in altre forme si sono susseguite, ovunque, dal Rinascimento in poi mediante bandi di espulsione, rastrellamenti ecc. 




Fa riflettere, altresì, che fortunatamente non tutte le comunità romanès in Italia siano state internate (nonostante la Circolare n. 63462/10 dell'11 settembre 1940 che ne richiedeva l'internamento) inoltre, in alcuni casi, hanno combattuto per l'esercito Italiano, tra cui il mio bisnonno, della mia comunità a Cosenza. 
Ci si chiede cosa resti nella memoria collettiva delle persone in luce al permanente misconoscimento della popolazione romanì e della susseguente, sovente, coatta dimenticanza delle proprie radici da parte di tantissime persone Rom e Sinte che hanno maturato un’idea distorta della propria identità che spiacevolmente è più vista come malattia che come valore aggiuntivo e positivo. 

C’è chi è forte e resiste e chi è debole e soccombe per le idee della società maggioritaria. La forza e la speranza o per meglio dire lo spirito resiliente ha albergato e continua ad albergare nella psiche delle comunità romanès, ma spesso non è bastata e non basta. C’è un aneddoto che mi è stato raccontata da mia nonna materna su una zia che per farsi rispettare fingeva di essere fascista e in diversi casi questo le è stato di aiuto ma il rischio nel mettere in scena ciò che non si è, alla stregua del mimetizzarsi, ritengono che siano soluzioni effimere e dolorosi oltre che ingiuste.

 Se mai la strada è quella della conoscenza e riconoscenza per non dimenticare e non ripetere.



Ringrazio per questo contributo il dottor Fiore Manzo




27 gennaio 2019

Due note storiche 


Il 16maggio 1944, i deportati Sinti e Rom del campo di concentramento di Auschwitz dettero vita ad un’eroica insurrezione contro le SS.
In questa giornata 4.000 Rom internati nello zigeunerlager di Auschwitz, decisero di opporsi ai loro aguzzini, che secondo programma erano venuti a prelevarli, per condurli nelle camere a gas. Non furono solo gli uomini a decidere di non piegare il capo di fronte ai carnefici in divisa; anche le manine ossute dei bimbi e delle donne raccolsero pietre, mattoni, spranghe, rudimentali lame e tutti insieme i Rom di Auschwitz dissero: «No!».



Nessun Sinti e Rom ha testimoniato contro i nazisti al processo di Norimberga. 




27 gennaio 2019 Tutti i diritti riservati

domenica 6 gennaio 2019






PAOLO RADI PRESENTA    






UN  GIOVANE CALCIATORE 

SI 

RACCONTA 



   di Gianluca Capone    









Mi chiamo 
Gianluca Capone ho 19 anni e sono nato e cresciuto a Licola Mare comune di Giugliano, un posto non molto tranquillo, anche se la gente sa riconoscere i valori della vita, nonostante ogni giorno possa succedere “un guaio”.


Sono un ragazzo che ama molto il calcio dedico tutto al calcio perché è la mia vita. Ho perso mia mamma quando avevo 11 anni e da li mi è crollato il mondo addosso, già a quell’età cominciai a capire tante cose dalla vita. Ricordo che sin da piccolo andavo a lavorare con mio zio che faceva il fioraio, mi dava anche qualcosa a fine giornata, verso le 17 andavo agli allenamenti è così tutti gli altri giorni. Ero consapevole che la scuola già non mi potesse offrire molto, che sia fondamentale per la crescita dell'individuo è ovvio,  ma mettetevi nei miei panni:  se la sera volevo uscire con gli amici chi mi poteva darmi qualche euro?  


 Mio padre non lavora, mentre i miei fratelli quel poco che guadagnano serve a loro: giustamente!!! Poi dopo che litigai con mio zio andai a lavorare con il fratello di mamma: zio Peppe. All’età di 16 anni facendo il muratore sempre “la solita storia”, mi alzavo alle 6:30 di mattina e tornavo alle 17, alle17:30 avevo gli allenamenti, facevo sempre tardi, ma ero giustificato perché il mister conosceva la mia giornata lavorativa, guadagnare e aiutare mia zia, questo  perché io da quando mia mamma non c’è più vivo con lei da 8 anni (anche qui c’è qualche problema)  però fortunatamente  il piatto a tavola c'è sempre nonostante le difficoltà; lei per me adesso è come una seconda mamma. 







Adesso mi sento un po’ in imbarazzo perché vi sto raccontando una parte di me che va sul personale, ho un po’ di vergogna, ma purtroppo la vita è così e mi ha fatto crescere in fretta. Certamente mi piacerebbe riprendere la scuola, se non altro per migliorare il mio linguaggio, purtroppo non posso, visto che   milito in Eccellenza, la mia squadra attuale e l’Albanova, nonostante stia in prestito dal Giugliano!!! 


A 17 anni ho debuttato con il Barano d’Ischia sempre in Eccellenza e siglando anche 1 goal e 4 assist su 35 presenze tra cui campionato e Coppa Italia. Ad Ischia ho conosciuto persone fantastiche che mi hanno aiutato a crescere, nonostante mi trovassi lontano da casa, ma in realtà era quello che volevo, ero stanco di sentire i soliti problemi, ho deciso che era giunto il momento di pensare a me stesso, vorrei anche precisare che quel poco che guadagnavo lo portavo sempre a casa per dare il mio contributo! A proposito Ischia è bellissima e non smetterò mai di ringraziare le persone che mi hanno accolto soprattutto al mister che mi ha fatto sentire come se fossi un figlio suo. Lì ad Ischia andai anche a scuola dato che a Napoli feci soltanto la 3 media ripetendo per due volte la prima, così mi sono preso la qualifica di sala (Istituto alberghiero).








L’anno dopo mi ha acquistato il Giugliano che milita sempre in Eccellenza poi le cose non sono andate come mi aspettavo, giocavo poco, dopo le prime 9 partite qualcosa è andato storto, parlai con il mister de Stefano per avere più spazio, ma con l’arrivo di un altro centrocampista più esperto per me non c’era spazio, così ho scelto Albanova Casal di Principe nonostante ebbi altre offerte, ma questo fa parte del calcio! Mi trovo bene dove sono ora, mi hanno accolto benissimo proprio come fece il presidente Sestile del Giugliano, il presidente Sestile è quello dell’Albanova sono molto simili  perché conoscono i valori della vita e questo lo apprezzo tantissimo, io vengo dalla strada e so riconoscere subito chi vale, nonostante la mia piccola età! Nella mia vita ho sempre lottato e continuerò a farlo imponendomi di raggiungere sempre due obiettivi: il primo è quello di arrivare più in alto possibile, con il calcio, il secondo è aiutare “chi sta peggio di me” (ovviamente desidero aiutare la mia famiglia, questo sempre!).









 Però so che per arrivare dove voglio devo lavorare sodo e stare sereno e tranquillo, in passato ciò mi è mancato perchè ero sempre nervoso e infatti sbagliavo. Mi ricordo di quando ero negli allievi e stavo giocando contro il Monte di Procida (all’epoca la mia squadra era la Juve Domizia una scuola calcio che si trova a Licola il presidente era il signor Gennaro Di Razza, un uomo di valore, uno che di calcio ne capisce!!) stavamo perdendo 2-1, se ricordo bene, e per noi era importante vincere per poi così via andare a fare i play off regionali.







 Tutti sappiamo che  il calcio è strano a volte fa miracoli e a volte ti da delusioni enormi, successe che un mio amico fece fallo all’avversario e l’avversario reagì sferrandogli un pugno, io non ci vidi più  (già ero nervoso con me stesso perché stavamo perdendo, perché, credetemi io odio perdere -  a volte mi capita pure di piangere)  così corro verso l’avversario per dargli  un calcio ai reni, l’arbitro mi diede 16 giornate di squalifica, furono i 4 mesi più brutti della mia vita calcistica,  senza giocare era proprio   “brutta cosa”, andavo tutti i giorni a lavorare e a fare gli allenamenti,  non mancai un allenamento i miei amici mi dicevano “ ma che vieni a fare tanto la domenica non devi giocare” ed io dentro di me pensavo: ”voglio venire  sempre per migliorare non posso fermarmi”, addirittura  andavo a fare l’allenamento anche con il gesso al braccio; con il gesso al braccio? Voi starete pensando.  Sì, mi sono dimenticato di raccontare che in quella fatidica partita mi feci male al polso e continuai a giocare ugualmente. All’ospedale e mi dissero che era una frattura composta, prognosi  30 giorni, addirittura decisi di non andare all’ospedale per togliermelo, perché me lo tolsi da solo, tanta era la voglia di ricominciare.








Caro Paolo se vi dovessi raccontare tutta la mia vita ci vorrebbe un libro tanto voluminoso quanto quello della Bibbia.



Quello che vi sto dicendo è solo una minima parte della mia vita, ed è quel “qualcosa che mi ha dato forza e la consapevolezza per non mollare mai, io ho un obiettivo, un sogno nel cassetto che purtroppo per realizzarlo devo trovare ancora la chiave. Mi piace lanciare questo messaggio che è il seguente: mai mollare mai e credere sempre in voi stessi qualsiasi cosa voi facciate.  Io adesso ho 19 anni e so già a cosa vado incontro, non affermo ciò perché sono presuntuoso, ma è così credetemi!









Mio fratello ha avuto diversi problemi con la legge (è stato pure in carcere) e mi dice sempre che “devo farmela con chi è meglio di me” nel senso che devo frequentare ragazzi migliori di me perché sennò faccio la sua stessa fine, anche se lui è consapevole che siamo gli opposti.  Purtroppo la mia vita è un “po’ strana” ma nonostante tutto la ringrazio, la ringrazio perché mi ha fatto capire tanto!!! Mio fratello adesso lavora e ha messo la testa a posto, si è costruito una famiglia, ha una casa è una figlia bellissima di pochi mesi che si chiama Adriana, proprio come mia madre! Ti ringrazio che mi hai offerto questa bella opportunità per raccontare qualcosa su di me.



a cura di Paolo Radi   


07   01 2019 
(Tutti i diritti riservati)