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domenica 8 gennaio 2017

I N T E R V I S T A

INTERVIEW
ENTRETIEN
ENTREVISTA
ИНТЕРВЬЮ










 VERSIONE AGGIORNATA 



CONVERSAZIONE

CON IL GENERALE GIOVANNI MARIZZA



LA STORIA E’ LA RICERCA DELLA VERITA’ STORICA.






a  cura di Paolo Lorenzo Radi



IL GENERALE IN PENSIONE DEGLI ALPINI  GIANNI MARIZZA HA INOLTRE HA PARTECIPATO A DIVERSE MISSIONI DI PACE ALL’ESTERO, DAL MOZAMBICO ALL’IRAQ. IN QUESTO PAESE E’ STATO VICE COMANDANTE DELLA FORZA MULTINAZIONALE DI PACE. È STATO INOLTRE PRESIDENTE DI UN IMPORTANTE COMITATO DI PIANIFICAZIONE DELLA NATATO E DIRETTORE DELL’ISTITUTO ALTI STUDI PER LA DIFESA, E’ AUTORE DI NUMEROSI VOLUMI E SAGGI IN MATERIA DI GEOPOLTICA E STORIA MILITARE. FRA I VARI RICONOSCIMENTI SPICCA LA LEGION D’ONORE FRANCESE E LA LEGIONE DI MERITO STATUNITENSE



Generale Giovanni Marizza, Lei ha un curriculum a dir poco invidiabile, Lei ha pubblicato circa 30 libri, da dove nasce questa passione per la scrittura?

Dal desiderio di fissare certe memorie, preservandole dal possibile oblio.



Come mai decise dopo le scuole superiori di intraprendere la carriera militare? C’era alla base una motivazione particolare?

Era un momento storico particolare: il Sessantotto. Tutto veniva messo in discussione, tutto doveva cambiare (ovviamente in peggio), tutto veniva contestato: i valori tradizionali, la religione, la famiglia, l’autorità, la scuola. Quest’ultima si stava trasformando in un “ignorantificio” e le uniche università che funzionavano in modo serio erano le Accademie militari. Da questo punto di vista, per me la scelta fu quasi obbligata.

Veniamo adesso a una missione che in pochi in Italia ricordano: la missione dell’ONU in Mozambico denominata ONUMOZ e condotta dal contingente italiano “Albatros” (dal primo marzo 1993 al primo aprile 1994) con l’incarico di Capo di Stato Maggiore della Brigata Alpina Taurinense. Come sappiamo, l’Italia contribuì alla missione sin dall’inizio con un contingente di oltre mille uomini fornito dalle Brigate “Taurinense” prima e “Julia” poi. Che ricordi ha di questa missione che si concluse con un ottimo esito?



Che si sia conclusa con un ottimo esito è indubbiamente vero perché ancora oggi viene definita “l’unica missione dell’ONU coronata da successo”. I ricordi sono indelebili: le prime ricognizioni effettuate in Africa australe, l’accurata preparazione del personale, i primi contatti con gli esponenti delle due fazioni armate (la filo-occidentale RENAMO e il filosovietico FRELIMO), il trasferimento di un poderoso contingente via nave e aereo, l’espletamento del compito nel delicato Corridoio di Beira, il graduale ritorno alla normalità della popolazione stremata, il ritorno nei loro paesi degli eserciti stranieri occupanti, le prime elezioni politiche, la costituzione delle nuove forze armate mozambicane attingendo in parti uguali fra gli ex guerriglieri e gli ex governativi, la distribuzione degli aiuti umanitari, gli sguardi grati della gente…


Lei ha citato “l’accurata preparazione del personale”. Può essere più preciso?


Il Mozambico era il paese più povero al mondo, le condizioni della popolazione erano precarie, l’ambiente naturale era ostile, le condizioni climatiche erano estreme. In situazioni del genere non ci può essere spazio per l’improvvisazione e pertanto l’addestramento preventivo del personale ha rappresentato un momento fondamentale. Abbiamo organizzato corsi di lingua portoghese per tutto il personale, abbiamo indottrinato accuratamente i militari sulle caratteristiche, usi e costumi del paese in cui avremmo operato, abbiamo anche istruito, in un’area appositamente attrezzata, tutti i conduttori di automezzi a guidare mantenendo la sinistra. Il risultato è stato che ciascun singolo Alpino è giunto in Mozambico del tutto conscio di ciò che avrebbe incontrato e perfettamente in grado di affrontare e risolvere i problemi.


Mentre Lei era impegnato in Mozambico, contemporaneamente l’Italia si trovava in Somalia con la missione Ibis, al comando prima del Generale Bruno Loi e poi del Generale Carmine Fiore, eppure ci ricordiamo sempre della missione Ibis, mentre pochissimo di quella sopra menzionata. Quali sono secondo lei i motivi?


Il motivo è semplice: in Mozambico tutto andò bene e delle cose che vanno bene i mass media non si interessano: meglio trattare (e possibilmente gonfiare) attentati, sparatorie, scandali, rapimenti, uccisioni… Purtroppo il contingente italiano in Somalia, nonostante l’indiscutibile professionalità dei Comandanti da Lei citati e dei capi e gregari a tutti i livelli, non ebbe la fortuna che meritò. Il motivo principale sta nelle caratteristiche estremamente diverse delle due operazioni: di puro peace-keeping quella in Mozambico in seguito ad un accordo di pace firmato dai due contendenti, e di   peace-enforcement in un difficile ambiente da “tutti contro tutti” quella in Somalia.

Mi scusi se ritorno sulla missione Ibis, perché da parte di molti che vi hanno partecipato c’è poca voglia di raccontare, o per lo meno di raccontare a livello oggettivo “che cos’è stata quella Missione”. Mi domando, forse perché abbiamo avuto diversi morti e un centinaio di feriti, oppure perché le morti della giornalista Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin sono avvolte nel mistero?

E’ normale che i ricordi spiacevoli tendano ad essere rimossi. Se a questo aggiungiamo il fatto che in Italia le memorie vengono di norma manipolate (esaltandole oltre misura o nascondendole colpevolmente) a seconda delle convenienze politiche, ecco spiegato il motivo per cui la missione Ibis risulta avvolta dall’oblio. Un altro esempio? Pochi giorni fa ricorreva il triste anniversario di Nassirya: nessun telegiornale ne ha parlato.

Cosa hanno rappresentato queste missioni per l’evoluzione dello strumento militare italiano, che oggi è interamente professionale ma all’epoca era ancora basato sul servizio militare obbligatorio?

Queste due operazioni (o meglio tre, perché non dobbiamo dimenticare la contemporanea missione “Pellicano” in Albania) hanno rappresentato un autentico punto di svolta: l’Esercito Italiano, orientato per tutta la Guerra fredda a difendere staticamente la “soglia di Gorizia”, si è ritrovato da un giorno all’altro ad impiegare tre Brigate fuori area contemporaneamente. Significativo è stato l’aspetto “volontariato” nel caso del Mozambico. La Brigata Alpina Taurinense, benché addestratissima e abituata ad operare all’estero (all’epoca esprimeva il Contingente “Cuneense”, unico reparto dell’Esercito facente parte della Forza Mobile della NATO) era composta da personale di leva ma in base ad una direttiva ministeriale tutti gli Alpini dovevano essere “volontari” nel loro impiego in Africa Australe. Si correva il rischio di ripetere l’esperienza del contingente in Libano, che un decennio prima, per garantire la medesima “volontarietà”, aveva costretto al setacciamento dell’intero Terzo Corpo d’Armata per costituire un battaglione di formazione. E invece la risposta degli Alpini fu sorprendente ed encomiabile: tutti in blocco si dichiararono “volontari” e non furono pochi i casi di coloro che spontaneamente rinunciarono al congedo, posticipandolo in maniera tale da portare a termine la missione. Si fece di più: si sondarono le motivazioni dei singoli mediante questionari anonimi e anche in questo caso la risposta fu incoraggiante. Venne alla luce, infatti, che la motivazione largamente maggioritaria ambiva a rendersi utile nei confronti di una popolazione estremamente bisognosa, mentre decisamente trascurabile fu la percentuale di chi si dichiarò attratto dal guadagno economico o dallo spirito di avventura.






Che cosa rappresentano per lei gli Alpini? Sono amati ovunque e la gente li segue con passione, perché questo amore del popolo italiano verso questo corpo?


Gli Alpini, unico Corpo che riesce a portare mezzo milione di persone alle adunate, sono amati ed ammirati per il loro ineguagliabile spirito di corpo e per quanto fanno non solo durante il servizio militare ma soprattutto dopo di esso, in termini di solidarietà e di interventi umanitari in favore delle popolazioni colpite da calamità. Oserei dire che senza gli Alpini in Italia non ci sarebbe la Protezione Civile.

Mi permetta ora una domanda che potrebbe sembrare scomoda, ma che in realtà non lo è per chi ama la verità storica. Nel 1941 l’Italia dichiara guerra alla Russia. L’Italia inviò 10 divisioni di cui tre erano alpine. Il Generale Gabriele Nasci comandante del Corpo di spedizione alpino aveva dato ordine di rispondere “con rappresaglie di severità esemplare” ad ogni atto ostile. Le truppe dovevano prendere ostaggi ed ucciderli nel caso fosse necessario. I commissari politici delle forze armate sovietiche, i “ribelli“ e gli “elementi indesiderati” come ebrei e nomadi venivano consegnati il più presto possibile ai Tedeschi, conoscendo ed approvando quello che era loro destinato. Le risulta che questo appartenga alla verità storica, oppure si tratta di documenti russi redatti per screditare l’esercito italiano nel dopoguerra?

Si tratta in gran parte di esagerazioni propagandistiche. Io piuttosto porrei l’accento sugli innumerevoli casi di fraternizzazione fra reparti alpini e popolazione civile e di aiuto reciproco, soprattutto nelle tragiche fasi della ritirata.








Sono rimasto molto colpito da un suo pensiero pubblicato sul social network Facebook : “VITTORIA! Sì, ma de che?” in occasione del 4 novembre: “….Il Regio Esercito italiano il primo giorno di guerra stava sullo Judrio e l’ultimo giorno di guerra stava sul Piave, cento chilometri più indietro. Diciamoci la verità almeno in occasione del centenario della “inutile strage”. Sono rimasto molto colpito perché Lei sembra volersi discostare dalla solita retorica inerente alle celebrazioni del 4 novembre. Come mai ha pubblicato questa utile riflessione storica?

Intendiamoci: almeno il 95% di ciò che ci è stato raccontato sul risorgimento, sulle guerre di “indipendenza” (che tutto furono fuorché di indipendenza) e sulle guerre mondiali è falso, frutto di verità di comodo costruite a tavolino. Ciò che sorprende è che oggi, a distanza di oltre settant’anni dalla caduta della monarchia sabauda e del regime fascista che quelle frottole inventarono, si continui a parlare imperterriti di guerre di indipendenza o di vittoria militare nella prima guerra mondiale. E’ lampante il fatto che gli eserciti degli Imperi Centrali alla fine della guerra si trovassero ben oltre i loro confini e che il crollo di quegli Imperi debba attribuirsi agli effetti dell’embargo economico e commerciale che li ridusse a morire di fame. La “vittoria” del 4 novembre, dunque, tutto fu fuorché militare. Ma è anche vero che se lo faccio notare a certi miei colleghi che si nutrono di falsi miti e di vittorie taroccate, è come far notare ai partigiani che nel 1945 l’Italia non venne liberata da loro ma dagli Alleati: la loro reazione è simile all’attacco isterico che ha colto Hillary Clinton dopo la sconfitta nelle elezioni presidenziali americane.












A questo proposito, Generale, mi permetta quest’ultima domanda. Il 20 gennaio 2017 Donald Trump entrerà alla Casa Bianca. In questo momento assistiamo ad un vero e proprio “tifo da stadio”: alcuni sono entusiasti mentre altri temono un imbarbarimento della società occidentale, c’è chi lo ha già paragonato a Hitler. A suo avviso quali saranno i futuri scenari geo-politici? Mi riferisco alla Siria, all’Afghanistan e ai rapporti USA – Russia. Qualcosa cambierà oppure la situazione non muterà affatto?


Se c’è qualcuno da paragonare al dittatore tedesco, quella è “Hitlery” Clinton.
Quando per disgrazia del mondo intero era alla testa del Dipartimento di stato americano ha inventato le false “primavere arabe”, ha destabilizzato il Medio Oriente e il Nord africa, ha causato l’assassinio del suo stesso ambasciatore a Bengasi, ha inventato, armato e sovvenzionato l’Isis, ha scatenato un’ondata di immigrazione clandestina che sta mettendo in ginocchio l’Europa intera, ha raggiunto il punto più basso nelle relazioni fra l’Occidente e la Russia, ci ha portati sull’orlo della terza guerra mondiale senza parlare dei suoi misfatti nazionali (corruzione, scandalo delle emails, eccetera…). Il tutto in combutta con il premio Nobel “per la pace” Barak Obama. Trump, per lo meno, non ha mai fatto niente del genere. E se riuscirà a normalizzare le relazioni con Mosca, se eviterà di esportare la democrazia con le armi, se otterrà che l’Europa sia più assertiva e responsabile nella propria difesa anziché dipendere da oltreoceano, ben venga Donald Trump.











08  Gennaio   2017




Grazie

                      











venerdì 6 gennaio 2017

I N T E R V I S T A

INTERVIEW
ENTRETIEN
ENTREVISTA
ИНТЕРВЬЮ







                                                   

CONVERSAZIONE


CON ANTONIO POLITO




IL MONDO MAGICO DELLA RECITAZIONE




a cura di Paolo Lorenzo Radi



Antonio Polito nasce a Torre del Greco in provincia di Napoli, è un attore e maestro d'armi. Dopo una straordinaria carriera come Karateka, infatti è Cintura nera 5 Dan, coltiva un'altra grande passione, la recitazione. Studia e si diploma in arte drammatica presso la scuola di Teatro di San.Anastasia diretta da  Carmine Giordano e presidente Onorario Mario Verdone.
 Da lì iniziano le varie e costruttive esperienze con i lavori  teatrali affrontando testi di autori classici e contemporanei. Nel 2004 viene convocato per un provino al  Centro produzione RAI di Napoli dove ci resta fino al 2009 in qualità di Maestro D'armi.
Nel 2009 .Nel frattempo continua a lavorare a Teatro. Preziosi sono gli incontri con importanti registi sia a Teatro che al Cinema.
Nello stesso anno incontra la sua attuale agente Marianna de Martino .Da lì a poco iniziano incontri con Casting director e Registi e arrivano i primi lavori .Attualmente continua la sua Attività in questo magico mondo






Antonio Polito  sei un attore che ha fatto del palcoscenico la sua vita, come mai questa scelta, hai visto un film o un dramma teatrale che ti ha particolarmente colpito, oppure era un tuo desiderio che avevi sin da bambino? 

Ho iniziato a studiare recitazione quando ero ancora impegnato agonisticamente con il karate. Studiavo, avevo voglia di conoscere altri mondi, rimettermi in gioco come un bambino che siede il primo giorno di scuola dietro il banco. Arrivare a scuola di teatro vedere il palco, le quinte e conoscere quelli che poi per diversi anni sarebbero stati i miei compagni di viaggio, tutto ciò mi appassionava: era  tutto nuovo .Un mondo completamente da scoprire. Sapevo  di essere un “titolato nello sport”, ma avevo voglia di ricominciare da zero esplorando questo magico mondo.




Come sei arrivato al grado di Cintura Nera 5 Dan, voglio dire qual è stata la tua motivazione?

Ho iniziato la pratica del karate a 8 anni in una delle palestre storiche della mia città. Diretta dal maestro Oreste Lombardi coadiuvato dal mio primo allenatore Claudio Capasso. 
La motivazione arriva quando crescendo collezioni medaglie che non pensavi mai di vincere e dopo 38 anni di pratica ti ritrovi davanti ad una commissione nazionale che a fine esame ti conferisce la cintura nera 5 Dan. Oltre vai solo per incarichi Federali. .....Adesso però parliamo del mio lavoro.....



Nel 2004  sino al 2009 lavori per la RAI di Napoli in qualità di Maestro D’Armi, ci potresti spiegare meglio in che cosa consiste questa tua attività?

Maestro D'armi . Titolo ben diverso da quello dei maestri di Scherma . Negli anni 60 arrivano le prime "scene d'azioni" Duelli con spade magari a cavallo . I primi spari ,cadute .quindi c'era bisogno di un ( istruttore) che insegnasse agli attori come muoversi sul set in quel senso. Chiaramente i primi lavori non risultavano essere del tutto eccellenti. Poi, pian piano, studi approfonditi hanno contribuito a rendere convenzionalmente questo tipo di scene quanto più veritiere possibili raggiungendo oggi risultati anche eccellenti. Chiaramente oggi è tutto un po' diverso. Il maestro D'armi o Stunt Cordinator è una figura importante per una produzione soprattutto cinematografica perché oltre ad avere la fiducia del regista e degli attori per la scena d'azione da realizzare, normative in materia di prevenzione lo rendono responsabile dell'incolumità di persone e cose presenti sul set durante le riprese. Coordina spesso scene con Stunt e attori. Tuttavia però esiste una sostanziale differenza,  mentre negli Stati Uniti uno Stunt è spesso un attore in Italia probabilmente come dicevo prima per normative lo Stunt resta tale. 







Perché il pubblico televisivo segue con passione queste serie, che seppure diverse hanno riscontrato un enorme successivo televisivo? Il fascino del male?

Ma in realtà diciamo che anche se in maniera diversa una piccola "scena d'azione" la potremmo avere in una commedia sia al Cinema che in Teatro. Anche in questo caso si potrebbe ricorrere a convocare un maestro d'armi. Quindi non necessariamente "Lavori Forti" se possiamo rendere con questo termine l'idea...
Chiaramente parlando di film o serie dove devi avere per forza in pianta stabile o quasi un maestro D'armi la cosa è ben diversa.
Sicuramente il pubblico si appassiona molto a serie "Forti" .  Per lo spettatore comune il cattivo è quello che tra i personaggi più resta. Quindi il male ha sicuramente il suo fascino





Drammaturgo italiano preferito, mentre invece chi sceglieresti come autore  straniero?

Sembrerebbe quasi scontato fare dei nomi, magari scelti tra qualche testo con il quale hai avuto modo di confrontarti, andare in scena . Se proprio devo, come autore  italiano mi piace Pasolini, come autore straniero Sartre.



In genere come scegli un copione, ti attira la trama in generale,  il personaggio, o il cast con cui dovrai lavorare?

La cosa più difficile nel nostro lavoro è proprio quella di dire "no grazie" 
Magari dopo aver letto una sceneggiatura e capito che quel ruolo è molto distante da te.
Generalmente gli attori sono scelti .pochi sono quelli che scelgono.....mi auguro un giorno di poter scegliere anch'io.....





Hai conosciuto tanti registi e attori famosi, che cosa ti hanno trasmesso in particolare?

Non mi va di fare nomi… ma lavorare con un  vero regista è prezioso per un attore...e l’Italia può vantare di avere tanti bravi artisti.



A tuo avviso che cosa manca al cinema italiano per ritrovare
quella vena creativa che lo aveva reso famoso diversi anni fa?

Il Cinema Italiano ha tanto da dire e dare ancora ....la creatività non manca di certo. A mio avviso sono i tempi che cambiano.




Che cosa ti auguri per il 2017?

  Intanto mi auguro per questo anno di lavorare in Italia magari nei prodotti che parlano anche della mia Terra. Ci sono vari progetti partiti altri che partiranno a breve....Poi " il sogno Americano" chi non vorrebbe arrivare ad Hollywood





Un regista  con cui vorresti immediatamente lavorare?

In realtà non ci penso. Mi piacerebbe e spero presto di affermarmi sempre più come attore. Il mio motto è dare il "meglio " del mio "meglio
Scusate il gioco di parole, ma credo che il concetto sia chiaro.





Antonio  sei nato a Torre del Greco in provincia di Napoli una città splendida dai mille volti e dalle mille contraddizioni, che cosa rappresenta per te Napoli?


Napoli é spesso in prima pagina per i fatti di cronaca nera. Questo da napoletano mi fa male. Pochi giorni fa in una pizzeria nota del centro notavo un giovane, credo che fosse un asiatico, che mangiava spaghetti e simultaneamente una pizza .Avrei voluto filmare la sua espressione. Quasi quasi avrebbe conservato la pizza come una preziosa reliquia. Questo è solo uno dei tanti esempi, potrei scrivere per ore…Napoli è madre di tanti artisti, e quando dico artisti non è soltanto riferito al mondo dello spettacolo, ma a tutte le maestranze che la rendono famosa in tutto il mondo.Ha tanti colori tra questi purtroppo anche il nero. Mi auguro per tutti i Napoletani e non solo che le cose possano cambiare e poter dare a questa città la vetrina che merita.







06  Gennaio   2017




Grazie