Archivio blog

giovedì 20 febbraio 2020



A CURA DI PAOLO RADI 






UNA CONVERSAZIONE
     

     
 CON  






ENERI   
TARAJ 






Eneri questa è la presentazione, puoi vedere se è tutto ok? Poi ci sono le domande, dopo avermi scritto le risposte, puoi inviarmi alcune foto, ciao e grazie.


Eneri Taraj 8.5.96 è nato a Valona (Albania) a 1 anno e mezzo si trasferisce in Italia con la sua famiglia, per un breve periodo ha vissuto a Frosinone, poi si è trasferito definitivamente a Pontedera all’ età di 3 anni. 

Gioco a calcio per divertirsi, ha iniziato vicino casa alla Bellaria Cappuccini fino a quando all’età di 16 anni non va a giocare nella Pecciolese, dopo 6 mesi di juniores, milita in prima squadra in promozione per 3 anni.

Successivamente grazie a un suo caro allenatore approda in Eccellenza a Pietrasanta e da lì cambia diverse squadre, sempre in eccellenza, come: Cenaia, Fucecchio, Cecina, Camaiore, in questo momento è di nuovo al Fucecchio.












La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Penso... da quando sono nato, anzi ne sono sicuro, ricordo ancora una foto da piccino con un pallone che stringevo forte, poi crescendo il calcio è diventata la mia vera felicità.





I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, oppure le hanno detto la classica frase: “...non sarebbe meglio che pensassi allo studio?”

No, anzi oltre ad appoggiarmi economicamente, portandomi agli allenamenti e alle partite, mi appoggiavano anche moralmente, ma sempre mettendo al primo posto lo studio. 










Lei abita Pontedera, le occasioni per praticare altri sport ci saranno state, possibile che non ci sia stata qualcun’altra attività agonistica che potesse interessarla? 

Mi piacciono molti sport sinceramente: tennis pallavolo basket, ma il calcio era quello che mi faceva stare al settimo cielo non riuscendo a sostituirlo con altro.





Quanto crede che sia importate avere una buona cultura per frequentare il “mondo del calcio”?  

Fondamentale, ma non solo nel mondo del calcio, la cultura è la cosa che ci differenzia dagli animali.







Lei ha giocato in tantissime squadre, a quale è rimasto più  legato? 

Sono stato fortunato ovunque sono stato, mi sono trovato benissimo e ho avuto compagni ottimi, ma se dovessi sceglierne una il Fucecchio senza dubbio, anche perché ci ho giocato due anni. Tuttora è una società unica con un presidente, che prima di essere appunto il presidente, è il primo tifoso e “fucecchiese” doc, quindi puoi immaginare quanto amore dedica alla sua squadra in più ho dei compagni speciali.





Perché tutti provano a diventare calciatori? Che cosa gli attira, più la fama o i soldi? 

Penso che chi gioca a calcio lo fa per amore al di là delle categorie, da piccoli siamo tutti sognatori e secondo: me non vogliamo diventare calciatori per soldi, ma per passione per sentirci vivi. 





Il suo goal più bello?

Mmmm... è una scelta difficile perché come per ogni attaccante ogni gol è importantissimo, ma se parliamo di bellezza  a Pietrasanta  contro Marina la Portuale feci l’1-0 di pallonetto da fuori area, quella partita fini 4-0 e feci una doppietta. 











Terminata una partita ripensa mai alla gara? 

Sempre...purtroppo sono molto autocritico e spesso non mi godo la vittoria o il gol,  perché ripenso magari ai miei errori.






Che cosa le ha dato il calcio e che cosa le ha tolto? 

Mi ha tolto i sabati sera con gli amici o le vacanze ad agosto, ma ne è sempre valsa la pensa, per quanto riguarda le cose che mi ha dato, credo che mi abbia fatto formare il carattere che ho ed oltre ad avermi regalato tanta  felicità mi ha portato pure tanti amici. 





Questa mattina ho letto la frase del presidente dell’Associazione Calciatori, credo, l’importante è quello che dice: “Per giocare bene non serve solo avere dei piedi buoni, ma è utile la testa”. Secondo lei cosa significa questa frase?  

Un  giocatore con poco talento può arrivare, ma un giocatore senza testa non arriverà mai e mi trovo d’accordo con questa affermazione. 










Il suo più grande difetto?

Il fatto è che spesso la mia ambizione supera il mio talento e non riesco ad accettarlo. 





Il suo più grande pregio?

La perseveranza in qualsiasi ambito. 






Lei abita in una piccola città, però le grandi città possono offrire più opportunità, è più facile conoscere procuratori più importanti, ad esempio: ritiene dunque che abitare in una metropoli sia più facile arrivare in alto, in termini di bravura è ovvio? 

Sinceramente non ho mai avuto un procuratore però penso che se uno è forte e merita di arrivare, arriva nonostante tutto, in questo sport conterà sempre e comunque il campo nonostante tutte le corruzioni che ci sono nel settore calcistico.












Se dovesse descrivere se stesso con poche parole, che cosa direbbe? 

Sono una persona che non cerca mai alibi, sono molto testardo e conosco i lati del mio carattere che devo migliorare e cerco di farlo ogni giorno; non sarò mai perfetto, ma la cosa che conterà sempre per me sarà la felicità: non voglio né essere ricco né famoso, ma  solo felice.






Quanto è importante la famiglia per lei? 

La famiglia è al primo posto, nonostante le litigate quotidiane e le incomprensioni che penso siano normali, però, senza, mi sentirei perso, se sono Eneri è grazie a loro e cerco sempre di renderli orgogliosi di me. 




Gli amici che ruolo ricoprono nella sua vita quotidiana?

Gli amici sono tutto, sono la famiglia che ho scelto mi accompagnano in qualsiasi scelta e sono i primi che chiamo quando ho bisogno di un consiglio o di sfogarmi. 












Che cosa si aspetta dal futuro? 

Attualmente lavoro nella ditta di mio padre quando non mi alleno, però sono molto ambizioso ho diverse cose in testa ma preferisco tenermele per me per non “gufarmela”però una cosa è certa avrò sempre i calzettoni  Nike e il  9 sulle spalle! 




Un’ultima domanda, lei è nato in Albania, ha vissuto sempre in Italia, ha subito mai nel corso della sua carriera qualche frase offensiva, o si è sentito escluso a causa del suo cognome. Le dico questo perché alcuni giocatori non italiani quando sono entrati in certe squadre, non è stato facile essere accettati.

Questo è un tema molto importante da affrontare personalmente non mi è mai capitato, però se mi dovesse capitare userei l’indifferenza, perché se mi facessi condizionare l’umore o tappare le ali da queste persone ignoranti gli darei soltanto importanza, e non se la meriterebbero. 
Il calcio non ha sesso, religione o colore...e così le persone, prima di nascere in uno Stato, nascono nel pianeta Terra!



Grazie   

a cura di Paolo Radi   





20     02      2020 

(Tutti i diritti riservati)  





















giovedì 6 febbraio 2020


A CURA DI PAOLO RADI 






 UNA CONVERSAZIONE 
     

     
 CON 



  CARMINE   
 LIGUORI





Carmine Liguori è nato a Napoli è stato un calciatore dilettante per 12anni nelle categorie promozione eccellenza, nel 2007 finisce col calcio giocato per intraprendere quella da istruttore / allenatore.

 La prima esperienza è in una scuola calcio di Giugliano, poi pian piano si è diplomato UEFA B. Ha fatto diverse varie esperienze da secondo allenatore piazze importi come: Sant’Anastasia e Giugliano.


 Come allenatore può vantare di: aver guidato il Pollena Calcio vincendo il campionato, la Virtus Afragola, il San Pietro a Paternò Ma le sottostazioni le ottiene con i giovani formandosi per tre anni con il Torino tramite l’Accademy Torino F.C. grazie ad una persona squisita come l'ex capitano del Torino Peppe Vives e un allenatore come Teodoro Coppola. 

Oggi aspetta per portare la sua esperienza un presidente che dia fiducia. Quest'anno a settembre ho aperto una scuola calcio insieme ad un: Mr Nino Ferrara un grande de calcio campano.  Oggi” mi diverto con loro e per il futuro resto alla finestra”


   

    
   La  prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il gioco del calcio sarebbe stata la sua più grande passione?

La passione per il calcio l’ho ereditata da mio padre, ho iniziato giocando per strada e all’età di 6 anni mi hanno iscritto alla Scuola Calcio Italsider, di conseguenza è iniziato il mio percorso in questo sport.




Se non avesse scelto il calcio, quale altro sport le sarebbe piaciuto praticare? 

Forse avrei praticato atletica leggera, mi appassionano le maratone forse dovuto al mio ruolo nel calcio, il mediano corre un “po' per tutti”. 











I suoi genitori hanno appoggiato questa scelta oppure le hanno detto la solita frase: “Non è meglio che pensi allo studio?”

In verità mia hanno sempre appoggiato, anche se ora da genitore ragionerei forse diversamente.





Com’è stata la sua esperienza da calciatore nel settore dilettantistico? 

Bella, la farei rivivere a tutti quei ragazzi che hanno una forte passione per il calcio e che non arrivano ai palcoscenici di alto livello.










Fra le tante squadre in cui lei è stato, quale ricorda più volentieri? 

Sarebbe scorretto citarne una tutte, mi è rimasto qualcosa, nel bene o nel male, sono state di aiuto sia per la vita che per migliorare in questo sport. 





Ad un certo punto lei decide di diventare allenatore. Cosa è successo, affinché lei prendesse questa decisione?

La passione è forte per questo sport e forse mettere a disposizione la mia esperienza per i giovani o i grandi mi sembrava la cosa più giusta da fare. Effettivamente le esperienze sono completamente diverse, sono come due binari paralleli, un è il calciatore e l’altro è l’allenatore.
Forse oggi posso mettere a frutto quello che ho imparato, cerco sempre di far capire bene ai giocatori quello che penso su come si possa migliorare.










Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 

Meritocrazia 





Lei è stato al Torino, tramite l’Accademy Torino F.C. ci potrebbe spiegare meglio questa sua esperienza e com’è riuscito ad entrare al Torino?

Un’esperienza bellissima grazie ad una persona speciale sia come uomo che come calciatore.  Peppe Vives mi ha dato questa occasione per formarmi tramite un progetto Academy Torino, con un grande formatore come Teodoro Coppola.










Che cosa le sta dando il calcio e che cosa le sta togliendo? 

Il calcio uno anno di dà e un anno ti toglie.
Per avere continuità c'è bisogno di progetti seri e programmati oggi più che mai rari nel calcio sia a livello dilettantistico che nel settore giovanile.





    Qual è il suo stato d’animo prima di una partita? Quali consigli dà ai giocatori?

Da premettere che vivo per 90° di adrenalina, il mio stato d'animo e sempre in eccitazione per la gara.

Per i calciatori dipende dalla settimana di lavoro e dalla squadra che si affronterà, bisogna “sudare la maglia” è corre l’ obbligo di rispettarla    finché si indossa.










E alla fine di una partita, invece? Ripensa a quello che ha sbagliato a livello tattico, oppure volta pagina? 

Bella domanda, se si vince si pensa già alla prossima partita.
Se si perde bisogna esaminare gli errori e comunque non è facile affrontare la settimana. Il problema e che poi riporti anche in famiglia il tuo stato d'animo, perché un allenatore è un uomo solo. 





Una partita da allenatore che vorrebbe dimenticare? 

Finale di Coppa Italia eccellenza anno 2019 Audax Cervinara – Giugliano, persa ai rigori. 









Un suo pregio?

Un mio pregio non tocca a me certamente dirlo, sta agli addetti ai lavori. 





Un suo difetto?

Difetto tanti, il maggiore non scendere a compromessi.









Come   descriverebbe se stesso nei riguardi di una persona che non conosce nulla di lei?

Disponibile, “ma non fesso”.  Preparato nella materia. 





 La famiglia che cosa rappresenta per lei? 

Rappresenta   un punto di riferimento per i figli, bisogna cercare di guidarli nel loro percorso di vita, sono “un piccolo pilastro”, diciamo così.











Un sogno nel cassetto? 

Il mio sogno: o allenare in un settore giovanile importante e professionistico o entrare in uno staff di alto livello e mettere a disposizione il mio sapere.

Se poi tocca a me essere in prima linea accetto la sfida!




  

 Grazie  

a cura di Paolo Radi   





06          02    2020
(Tutti i diritti riservati)