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mercoledì 25 settembre 2019



A CURA DI PAOLO RADI 







 CONVERSAZIONE
     

     
 CON  




LUDOVICO   
LE ROSE  










Ludovico Le Rose abita a Roma, ha 23 anni, e si è diplomato al Liceo Classico “Giulio Cesare”. Ha militato nel: Settore giovanile nella Lazio, Futbolclub, Romulea, Urbetevere, Aprilia e Frosinone. Prima squadra: serie D al Cyntia e al Tor Sapienza; eccellenza: al Fregene calcio, Monterotondo calcio, Virtus Nettuno calcio; promozione alla Compagnia portuale Civitavecchia con cui ha vinto la Coppa Promozione. Attualmente è studente universitario alla LUISS Guido Carli, giurisprudenza, grazie alla borsa di studio ottenuta per meriti sportivi (calcistici); ora gioca nella squadra AS LUISS in promozione.






La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?


Avevo appena 3 anni e già ero innamorato del pallone, andavo al parco davanti casa e giocavo le ore, la palla era più grande di me. Piano piano che crescevo e che diventavo più grande, fino a 12-13 anni oltre a frequentare la scuola calcio, andavo a giocare nei parchi, volevo sempre la palla, smarcavo tutti, e quando la perdevo, la andavo a riprendere immediatamente.

Queste sono le cose che bisogna avere si da subito, dalla nascita, è quel fuoco che non tutti posseggono, poi inizia la crescita calcistica ma in Italia, come ormai ovunque, ci si scorda che i talenti nascono tra le strade, i parchi, dove non ci sono regole, “cinesini, scalette e conetti.” È così, immediatamente, quando ero ancora molto piccolo, che è nata la mia più grande passione, non c'è stato nemmeno bisogno di capirlo, è stata una cosa naturale.









I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, oppure le hanno detto la classica frase: “...non sarebbe meglio che pensassi allo studio?”


Ho avuto la fortuna di avere genitori che, oltre ad essere delle persone intelligenti e oculate, hanno saputo darmi i giusti consigli, mi hanno fatto capire i valori importanti e le cose che davvero contano, diciamo che mi hanno indirizzato verso il perseguimento di traguardi all'altezza delle mie potenzialità. 

Sono un ragazzo molto ambizioso, ma ho anche capito che non bisogna sacrificare il divertimento anche quello è una componente importante della nostra vita. 

Detto ciò posso dire felicemente che i miei genitori mi hanno assecondato le mie scelte dandomi al contempo tanti consigli e ora a 23 anni riesco a portare avanti lo studio, dato che sono uno studente LUISS, e la mia più grande passione che è appunto il calcio, entrambi a livelli ottimi ma aggiungo che punto a migliorare in entrambi i campi.








Lei abita a Roma e le occasioni per praticare altri spor non le mancano, possibile che non ci sia stata qualcun’altra attività agonistica che potesse interessarla? 


Fino a 15 anni, contemporaneamente al calcio, ho praticato diversi sport ovvero: atletica raggiungendo traguardi importanti a livello regionale, nuoto, acquisendo quasi tutti i brevetti, inoltre suonavo anche il pianoforte ah... ah...
Sono un appassionato di tutti gli sport in generale, ma il calcio rimane il primo in assoluto.









Lei si è diplomato al Liceo Classico, e sinceramene ho conosciuto giocatori che hanno frequentato il classico o il Liceo scientifico; diversi hanno preso il diploma al tecnico, altri al professionale e molti hanno solo la licenza media. Quanto crede che sia importate avere una buona cultura per frequentare il “mondo del calcio”?  


Avete una buona cultura serve più in generale per affrontare la vita a certi livelli, confrontarsi a livello internazionale con persone di ogni caratura. Nello specifico anche nel mondo calcistico serve una buona cultura sia per ricoprire cariche dirigenziali, presidenziali sia per fare l'allenatore dato che sono importantissimi i messaggi che bisogna trasmettere.

Ma più in generale una buona cultura è importante che la possiedano anche i giocatori ,e in Italia è molto raro, sia perché a fine carriera bisogna uscire da quella bolla in cui si è stati per un po' di anni sia perché comunque i giocatori nel momento della loro fama a carriera in corso sono molto seguiti e hanno un immagine a livello social non indifferente, quindi dovrebbero trasmettere i giusti valori e un'immagine di se stessi  all'altezza di quello che alla fine rappresenta lo sport, che non è solo business, ma anche integrazione sociale, sfogo, divertimento nonché una palestra di vita importante.











Lei ha giocato in tantissime squadre, a quale è rimasto più   legato? 


Tra le squadre con cui sono rimasto più legato e in cui credo di aver lasciato bei ricordi ci sono: il Fregene calcio, la Virtus Nettuno calcio, la compagnia portuale Civitavecchia calcio.





Perché tutti provano a diventare calciatori? Che cosa gli attira, più la fama o i soldi? 


Credo che si prova a diventare giocatore per entrambe i fattori, per la fama e per i soldi. È pleonastico dire che nel calcio girano tantissimi soldi e questi sono sicuramente l'attrazione principale, ma devo anche aggiungere che in un mondo come quello di oggi, incentrato tutto sull'apparenza, sui social, e poco sulla realtà concreta essere famosi è diventato un obiettivo di tanti e il calcio ne è uno strumento per il raggiungimento.


 Siamo in un mondo di esibizionisti e il calcio alimenta questa moda. Quindi soldi e fama vanno quasi di pari passo.



Lei gioca nel ruolo di? 


Io sono un centrocampista centrale.










Che cosa le ha dato il calcio e che cosa le ha tolto? 


Il calcio mi ha dato tantissimo. Come già detto ritengo che, come tanti altri sport di squadra, (il calcio)sia una palestra di vita perché ti mette in contatto con tante persone, bisogna convivere, accettare, sopportare, divertirsi, relazionarsi con i compagni, staff, presidenza e tutto ciò che sta intorno a questi ambienti. In più è un modo per mettersi in gioco, 

La domenica per esempio, quindi è un bel test per mettere in pratica quanto svolto la settimana, e credo che chi viva per queste cose, con adrenalina, con quel sangue dentro, non ne possa proprio fare a meno. Detto ciò, ovviamente, come anche altri sport impegnativi, il calcio mi ha levato del tempo, ma a pensarci non mi sarei e non divertirei tutt'ora ad affrontare la vita con tanti tempi morti; motivo questo per il quale sono sempre riuscito a fare tutto, giocare, studiare e divertirmi.

 Vado quindi in controtendenza e dico che: il calcio mi ha dato tanto ma tolto poco, forse perché sono riuscito sempre a equilibrare tutto.

 Ovviamente la nota dolente è che questo sport mi ha portato tante delusioni dato che ho scoperto un mondo per lo più marcio, sporco e quindi non ha dato possibilità di alimentare i miei sogni sin da piccolo nonostante le premesse personali erano e sono più che buone. Detto questo ho conosciuto anche ambienti e persone pulite, poche ma ci sono.

 Quindi ad oggi non cambierei le scelte passate perché il tempo l'ho sempre distribuito nella maniera migliore.





Il suo più grande difetto?


Il mio più grande difetto è che sono troppo buono e a volte questo aspetto viene frainteso e scambiato per ingenuità.










Il suo più grande pregio?


Il mio più grande pregio penso sia quello di relazionarmi con tutti, ogni tipo di persona, dando spazio a tutti con la stessa gentilezza.




Ho intervistato diversi giocatori e molti mi hanno ripetuto la solita frase: “Non conta essere molto bravi, ci vuole il procuratore adatto, servono le conoscenze per arrivare in serie B e A, alcune società di chiedono delle cifre esagerate per poter entrare”. Possibile? Corrisponde a verità?  Io pensavo che fosse fondamentale il saper tirare in porta, mentre invece scopro che non è così fondamentale. Ho capito bene?


Nella vita in generale è normale che si sfruttino le conoscenze, il problema arriva quando un ragazzo (riferito al calcio ma vale nella vita) che merita viene "escluso, mandato via”, non viene confermato ecc.  ed al posto suo va avanti uno meno meritevole per conoscenza, forte raccomandazione, sponsor e pagamenti vari.

 Questo è un problema della vita, ma nel calcio come negli ambienti dove ci sono grandi possibilità di guadagno è una pratica usuale. Io sono dell'idea che non ci sono generazioni di fenomeni o meno perché su 60 milioni di persone i campioni ci sono eccome. 

Il problema è che ne arrivano sempre meno, vuoi per un problema di formazione e incompetenza dato che il talento in questo paese non viene capito e aspettato vuoi per le solite raccomandazioni. E ti dirò ti più: a mio avviso, almeno per quanto riguarda questi tempi, anche se uno è un campione, un fenomeno, uno molto più forte degli altri, non è detto che arrivi. Questo dipende dalla fortuna delle persone che incontra lungo il suo cammino, ma altrimenti anche se uno è più forte e non è nessuno rischia ugualmente di non andare avanti dato che nulla è regalato, ognuno vede l’orticello proprio e fino a che non si arriva in prima squadra nessuno pensa "questo ragazzo un giorno può essere la fortuna di una società".

 Il pensiero oggi è "figlio di chi sei, chi è il tuo procuratore, chi ti manda o quanto sei disposto a pagare".




Lei abita in una grande città e le grandi città possono offrire più opportunità, è più facile conoscere procuratori più importanti, ad esempio, rispetto a un ragazzo che abita lontano dai centri “di potere” mi passi il termine, di conseguenza pensa che sia più facile arrivare in alto, in termini di bravura è ovvio? 


Chiaramente in una grande città ci sono molte opportunità e in linea di massima si, è più facile trovare una strada per arrivare in alto...però non è un'equazione matematica, si può provare ad arrivare anche dai centri più piccoli perché le conoscenze posso arrivare da ogni parte. Generalmente si, chi abita in centri grandi e importante tipo Roma è avvantaggiato.










Ho intervistato prima di lei un suo amico, Gabriele Bolletta, che tipo di calciatore è, e cosa vi accomuna? 


Gabriele è un amico prima di tutto. Inoltre è un portiere eccezionale, grandissimi riflessi, tiene bene la porta, e una caratteristica importante è che ci sa anche fare con i piedi e questo aiuta molto nel far partire l'azione in un certo modo. Ci accomuna molto la passione per questo sport sicuramente.




Se dovesse descrivere se stesso con poche parole, che cosa direbbe? 


Mi sento una persona generosa e rispettosa, seria ma che sa divertirsi e far divertire. Inoltre sono molto ambizioso, un bel mix tra un sognatore e un realista 











Che cosa si aspetta dal futuro? Un ingaggio importante oppure le piacerebbe diventare allenatore di serie B/A? 


Non mi aspetto nulla dal futuro perché credo che altrimenti mi riempirei di illusioni. Sicuramente ho diverse aspirazioni ad esempio la doppia laurea, esperienze all'estero sia a livello universitario sia umano/sociale. 

Nel calcio mi piacerebbe essere un giocatore professionista e perché no un giorno anche un allenatore professionista. Queste le aspirazioni, vediamo cosa riuscirò a fare, la vita è strana, può succedere tutto e il contrario di tutto. Sicuramente però non perderò il sorriso, la voglia di vivere, quell'entusiasmo che trasporta ogni giorno della mia vita.







Grazie   

a cura di Paolo Radi   





26     09    2019 
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