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venerdì 21 giugno 2019



A CURA DI PAOLO RADI 








UNA CONVERSAZIONE
     

     
 CON  




MARCO   
CESARETTI  









 Marco Cesaretti, è nato e cresciuto a Ostia Lido, sin da quando è  nato ha sempre giocato a calcio, da più piccolo è riuscito anche a diventare campione nazionale con la rappresentativa regionale giovanissimi; dopo aver iniziato a dare i primi calci al Pescatori Ostia è passato all’Axa poi diventata Totti Soccer School in cui ha svolto praticamente tutto il settore giovanile, l’ultimo anno di allievi invece ha giocato con l’Ostiamare dove l’hanno successivo ha fatto il salto direttamente in Serie D, scendendo con la juniores solo nella fase finale (uscendo ai quarti),  qui ha superando abbondantemente le 50 presenze di cui la stragrande maggioranza titolare.  

L’anno successivo ha  militato  in promozione fra Cerveteri e la Rustica principalmente per motivi legati al tirocinio universitario che l'ha occupato  parecchio tempo, l’ultimo anno giocato è stato l’anno scorso, fra Cavese (dove ho giocato pochissimo causa e infortuni e morbillo) e Monti Cimini, qui ha ritrovato un po’ di continuità e nonostante la retrocessione è sempre  stato  uno dei più positivi.

 Per quando riguarda il percorso scolastico ho frequentato il Liceo Scientifico tradizionale uscendo con 81 e studiando quando poteva, poi ho deciso di frequentare l’università nel corso di Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane, a luglio spera di laurearsi. 

In un futuro prossimo gli piacerebbe studiare Mercato del Lavoro alla Facoltà di Economia con il fine di diventare un HR Specialist. Si definisce un ragazzo tranquillo, gli piace viaggiare e ed è un appassionato di sport in generale, segue NBA e il tennis oltre al calcio principalmente, nel secondo sport menzionato sta provando a cimentarsi, “ma sono ancora un principiante” così ci ha riferito. 









Come prima domanda le faccio questa: Lei è tifoso della Roma, che cosa può essere successo all’interno del Club? La conferenza di Totti ha suscitato un gran vespaio, alcuni lo hanno criticato, altri lo hanno osannato. Molti amici romani mi hanno detto: “Ritengo che Totti sia stato un grande campione, ma io tifo Roma, non Totti. “Lei che idea si è fatto di questa vicenda che sta facendo discutere l’Italia intera? 

Allora per quanto riguarda la situazione all’interno della Roma, sinceramente vedo un gran caos, era inevitabile che succedesse, quando i giocatori diventano così emblematici per i loro team, gli addii sono cose delicate, per quanto riguarda Totti (che da buon romano e romanista idolatro) a parer mio al contrario di quanto si dice la sua situazione è stata gestita bene come giocatore, come dirigente malissimo, le colpe stanno da ambedue le parti. 


Totti non poteva pretendere di essere subito un dirigente di massimo spicco dopo 0 anni di attività, mentre la società come figura importante doveva inserirlo gradualmente quanto meno per chiedere un parere, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato prendere Fonseca senza dirgli niente, il che per un direttore tecnico è assurdo. Quello che non ho apprezzato sono stati i modi, la situazione dopo la gestione è stata imbarazzante, già dall’addio di De Rossi era già complicata, lui non ha fatto altro che versare benzina sul fuoco, e sicuramente qui si è vista la differenza fra l’intelligenza di De Rossi che dopo il suo addio ha chiesto ai tifosi di sostenere la squadra e Totti (che comunque a Roma può fare tutto).









Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Per quanto riguarda il calcio ho capito subito che sarebbe stata la mia passione a 3 anni, infatti già correvo con la maglia di Ronaldo il fenomeno dell’Inter (nonostante io sia della Roma) ho massacrato i miei genitori per farmi andare alla scuola calcio (la prima al Pescatori Ostia) e poi quando hanno provato a mandarmi a nuoto per due anni sono tornato a "martellare" finché non mi hanno iscritto nuovamente (stavolta alla Totti Soccer School). Comunque  la passione principalmente me l’ha trasmessa mio nonno che ai tempi allenava e prima ancora era un ottimo portiere. Tanto è che volevo fosse quello il mio ruolo, lui però mi disse “se ti vuoi divertire, non fare il portiere” e così fu. 

Da piccolo oltre l’aspetto della pratica il calcio era praticamente tutto per me, ero un almanacco, leggevo, guardavo partite di tutti i campionati, le squadre argentine e brasiliane le vedevo su Sportitalia, tanto è che scoprivo un tanti di giocatori prima che diventassero top player (Huntelaar, Snejder, Suarez, Bale, Higuain, Vertonghen, Hernanes, Luis Fabiano) e questa bene o male è stata sempre una piccola soddisfazione 







I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, oppure le hanno detto la classica frase: “pensa a studiare che è meglio”?

I miei genitori mi hanno sempre fatto mantenere i piedi per terra, soprattutto mio padre che quando sbagliavo non aveva "peli sulla lingua", mi hanno sempre fatto vedere il calcio come una cosa secondaria rispetto allo studio, prima bisognava studiare e per questo devo ringraziarli infinitamente.

Non hanno mai mancato comunque di spronarmi, la “spinta” decisiva per arrivare dove sono arrivato per esempio me l’ha data mia madre all’inizio dei Giovanissimi, ci approcciavamo al calcio a 11. 


Succede che ha inizio stagione non vengo convocato per un amichevole pre-campionato, io li per li cercai di trovarmi l’alibi: non mi era ancora arrivato il cartellino, però, mia madre mi disse chiaro e tondo che alcuni miei amici senza cartellino erano stati convocati e che se volevo essere convocato dovevo impegnarmi di più perché quella volta non mi ero meritato di esserlo. Da lì giocai tutte le partite fra tornei e campionato titolare, aveva cambiato completamente la mia mentalità eliminando gli alibi.








Lei si è diplomato al Liceo Scientifico quanto è importante la cultura per diventare un calciatore completo, certamente conta fare gol, però quando vieni intervistato su alcuni argomenti, penso che sia importante dimostrare altro, non trova? 

Lo studio per me è stato sempre importante, fortunatamente non ho mai dovuto “spendere troppo tempo” per studiare avendo una bella testa (forse perché troppo pigro ho trovato un modo di apprendere velocemente), comunque studiare apre la mente e la cultura non è da confondere con l’intelligenza, la prima ti fornisce le conoscenze necessarie riguardo la realtà e con la seconda si possono prendere le scelte giuste, ma senza la prima l’intelligenza è cieca. 

La cultura ti rende notevolmente una persona più piacevole anche nelle relazioni sociali e per me giocatori come Giorgio Chiellini sono un esempio.

Totti venne deriso ai tempi e con intelligenza sfruttò questa wave per scrivere le barzellette, ma nel 2019 il suo modo di esprimersi non so quanto possa reggere, tant’è che ha iniziato a frequentare corsi di dizione per migliorarsi.







Lei ha giocato in tantissime squadre, a quale è rimasto più  legato? 

La squadra a cui sono rimasto più legato, nonostante io sia grato a Ostia che mi ha permesso di giocare in Serie D per tre anni, è la Totti soccer school, li ho vissuti gli anni più belli dai pulcini agli allievi. Giocavo il sabato e domenica (anno 1995 1996)  ormai ero diventato un veterano, con alcuni compagni di squadra ancora mi ci sento e sono diventati i miei migliori amici (fra cui Gabriele Bolletta). 


 Poi c’è stata la bellissima avventura del Beppe Viola (il torneo giovanile più importante del Lazio) passammo i giorni per la classifica avulsa contro squadre che giocavano in campionati regionali, noi facevamo l’Elite e successivamente avremmo dovuto incontrare squadre come la Viterbese, Atletico Roma (professionisti), Urbetevere e Frosinone (professionisti). Noi arrivati a metà classifica nell’Elite, battemmo tutte queste squadre con ampio merito, ricordo ancora quando il giorno della finale contro il Frosinone i fotografi avevano già preparato le foto con scritto “Frosinone campione Beppe Viola’’, è uno dei ricordi calcistici a cui sono più legato.




Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. 
Perché tutti provano a diventare calciatori? Tutti cercano la fama e il successo, è cosi? 

Nel mondo moderno si vuole tutto e subito, arrivare nel calcio ti porta soldi e successo in brevissimo tempo, la consapevolezza però sta nel fatto che uno su un milione arriva a quei livelli e purtroppo le conoscenze in questo campo sono fondamentali (escludendo i Maradona e Messi che sono uno su un miliardo), e soprattutto nel fatto che se non hai la testa vieni spazzato via. 

Molti giovani abbandonano la scuola alle medie per provare a sfondare, e poi? Ai 35 anni cosa si deve fare? Si deve avere la fortuna di rimanere in quel mondo. Credo che ormai nel calcio stiano girando cifre spropositate e queste fanno “girare la testa a molti giovani”, ora si pensa a Instagram, alle magliette da 1000 euro... questa situazione è figlia dei tempi e del mondo calcistico.









 Molti giocatori diventati delle celebrità, una volta terminata la carriera calcistica alcuni: sono caduti nel dimenticatoio, altri si sono uccisi, altri ancora sono stati accusati di aver preso parte alle commesse clandestine; secondo lei che cosa non ha funzionato nel loro “essere calciatori”


Per essere calciatori ci vuole principalmente la testa, affrontare la fama, i soldi e certi ambienti non è facile.  Non bisogna mai dimenticarsi chi si è e da dove si viene altrimenti è facile sbandare e finire nel baratro, si perde la visione della realtà e le cose importanti diventano altre (donne, soldi , droga, scommesse); per quanto riguarda la paura di finire nel dimenticatoio ci sta, è soprattutto questione di fortuna, bisogna   essere bravi nel posto giusto al momento giusto, ma se si è coerenti con la persona che si era prima questa cosa sarà vista solo come una bella esperienza o una spinta economica in più.




 Secondo lei, meglio essere un “re nella propria provincia” o personaggio di secondo piano a livello nazionale? 

Sicuramente meglio essere re della propria provincia, un esempio sono Totti e De rossi, hanno scritto la storia scegliendo di rimanere a Roma, ora sono delle leggende in tutto il mondo non solo a Roma, nonostante che con il proprio club abbiano vinto poco, sicuramente essere un re nella propria provincia ti fa rimanere più nel cuore delle persone e ti da più ammirazione anche per quanto riguarda gli avversari. I personaggi di secondo piano in ambiti più importanti spesso hanno un successo personale maggiore, ma agli altri arriva poco... poi dipende se mi chiedi se vorrei essere un panchinaro in serie A o un capitano intramontabile in Promozione ti rispondo: panchinaro in serie A.







Ho intervistato prima di lei il giocatore Gabriele Bolletta e Mirko Moi, che cosa vi accomuna?  

Gabriele lo conosco benissimo per me è un fratello, ci accomunano tante cose: entrambi siamo stati studenti giocatori, lui ha avuto la forza e la costanza di continuare a giocare io mi sono disincantato, mi hanno nauseato certi comportamenti, spero per lui che riesca a risalire di categoria perché al di là dell’amicizia è un portiere veramente fenomenale; poi usciamo regolarmente insieme, siamo ragazzi tranquilli. 

Per quanto riguarda Mirko purtroppo non ho avuto l’opportunità di conoscerlo in maniera approfondita, ho giocato insieme a lui a tornei di calcetto estivi, come giocatore non ha bisogno dei miei elogi, perché è davvero forte, nelle occasioni in cui l’ho incontrato si è dimostrato un ragazzo semplice e disponibile, con lui le differenze sono molte di più soprattutto per quanto riguarda le scelte, lui ha scelto spesso di andare a giocare fuori lontano da casa, ed è una scelta da ammirare. 


Io e Gabriele pur avendo l’opportunità abbiamo scelto di rimanere sempre a casa, soprattutto per motivi legati allo studio e alle relazioni social; è una differenza di mentalità, c’è chi ha colto nel calcio un’occasione di vivere fuori e chi invece ha preferito che questo sport non pregiudicasse le proprie scelte di vita. 

Poi si è sempre in tempo per farlo quindi non è detto.








Grazie   

a cura di Paolo Radi   





21      06    2019 
(Tutti i diritti riservati)  





















giovedì 20 giugno 2019



A CURA DI PAOLO RADI 










UNA CONVERSAZIONE 

CON 

  

CRISTIAN
RIZZO 




Cristian Rizzo, giocatore del Calcio a 5, è nato a Siracusa il 2 febbraio 1991, ha giocato nelle seguenti squadre: Arzignano, Acireale, Catania, Napoli, Salinis, Assoporto Melilli. 











  La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Da piccolo ho praticato sempre e solo calcio. Stavo ore ed ore sotto casa a giocare ed all’età di 6 anni sono andato a scuola calcio.





 Se non avesse scelto il calcio, quale altro sport le sarebbe piaciuto praticare? 

Beh...non saprei già da piccolo avevo le idee chiare. Tutti gli sport sono importanti, ma ho puntato tutto sul calcio.








Lei ha giocato in tantissime squadre, a quale è rimasto più   legato? 

In tutte le squadre mi sono trovato bene. Nulla da togliere alle altre, ma nel: Acireale, Assoporto Melilli e Salinis mi sono sentito a casa.
Nel Salinis, anche se per pochissimo tempo, non stavo benissimo, ma hanno fatto di tutto per farmi riprendere, l’ho apprezzato molto.









 Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. 
 Perché tutti provano a diventare calciatori, mentre non sono in tanti quelli che scelgono il calcio a 5?

 Il primo obiettivo è giocare e divertirsi per un bambino e di conseguenza    questo sport è molto adatto per i ragazzi. Il calcio a 5 è lo sport "minore"  però ultimamente sta crescendo tantissimo. Nel calcio ci sono tanti campioni ed è per questo che tutti i bambini vorrebbero diventare come loro.

 







 Che cosa le ha dato questo sport e che cosa le ha tolto? 

     Mi ha fatto conoscere tante persone e provare tante emozioni che non potevo mai immaginare. Non mi ha tolto niente forse un po' di "tempo" lontano da casa!

    

    Un suo pregio? 

 Un ragazzo umile






    


U  Un  suo difetto?

Un ragazzo semplice che cerca di dare ogni giorno sempre di più in quello che fa.









 Che cosa rappresenta per lei Siracusa, la città dov’è nato? 

Io amo la Sicilia in generale e tutta bella...mi è mancata quando giocavo fuori.  Il mare ed il mangiare sono il top.






Grazie   

a cura di Paolo Radi   





20     06    2019 
(Tutti i diritti riservati)  





















mercoledì 19 giugno 2019

A CURA DI PAOLO RADI 







UNA CONVERSAZIONE 
     

     
 CON  




GABRIELE  
BOLLETTA 











 Gabriele Bolletta è nato a Roma nel il 16-6-1996, si è diplomato al Liceo Classico Anco Marzio e studia legge presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre. 

Ho giocato nell’Ostiantica Calcio, nella Lupa Roma, nel Flaminia Civita Castellana, nel Colleferro, nel Pomezia, nella Virtus Nettuno e nel Città di Palombara. Ha da poco compiuto 23 anni e vanta più di 60 presenze nella massima categoria regionale.




La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Da quando ho memoria in realtà. Forse il primo ricordo legato al calcio è la festa per lo scudetto della Roma. Ai tempi avevo da poco compiuto 5 anni e ricordo la gioia, le macchine piene di bandiere, i colori di Roma, giallo e rossa. 

Sono flash che mi hanno fatto innamorare prima della Roma e poi di questo sport. 
Sono stato portato alla scuola calcio del paese dove vivo per disperazione, avevo rotto troppi vasi e ricordo che passavo i pomeriggi a giocare dentro casa con un peluche a forma di palla (per evitare di fare troppo rumore e troppi danni).


I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, oppure le hanno detto la classica frase: “pensa a studiare che è meglio”?

Ho avuto la fortuna di avere genitori che mi hanno sempre sostenuto e tutt’ora continuano a farlo. Ancora oggi ad ogni partita puoi vederli sugli spalti ad osservare la partita come due veri ultras. Mi seguono nei campi più sperduti della regione, ma non mi hanno mai fatto dimenticare l’importanza della cultura. Sotto questo punto di vista non ho mai dato problemi, a scuola avevo sempre voti buoni e le volte in cui mi vedevano deragliare con una strigliata mi rimettevano nella giusta carreggiata. 
Non tutti hanno questa fortuna. Ne sono grato. 



Lei si è diplomato al Liceo Classico, e sinceramene non ho conosciuto molti giocatori che hanno frequentato il classico. Non ho saputo cercare io, oppure coloro che si dedicano a certi tipi di studio, preferiscono dedicarsi ad altri sport, forse più sofisticati? 

Si, mi sono diplomato al liceo classico. Ho fatto una buona scelta, è davvero una scuola che ti apre la testa e ti fa pensare. Ti dà i giusti elementi per sviluppare una tua coscienza. 
Più che preferire altri sport, il calcio a livello agonistico è molto impegnativo. Non è facile portare avanti parallelamente entrambi i percorsi, quello scolastico e quello calcistico. Quando facevo parte della rosa della Lupa Roma in Lega Pro mi ricordo che uscivo da scuola alle due, mio nonno mi aspettava fuori scuola e mi accompagnava direttamente agli allenamenti. Nel tragitto pranzavo con un panino al volo e un frutto che mi portava lui. 

Ripensarci dopo anni fa effetto, prendi coscienza della bellezza di un semplice gesto che nasconde un affetto smisurato, quello di mio nonno, che mi accompagnava sempre ovunque (quando i miei non potevano per lavoro), preoccupandosi del fatto che in quel quarto d’ora di macchina mangiassi a sufficienza. All’epoca non ero neanche maggiorenne, era un bel sacrificio, poi dovevo tornare a casa dopo gli allenamenti e studiare, il più delle volte stanco morto, chiarisco anche che mi allenavo con giocatori veri. Questo per dire che molte volte, più che per gusti personali, il calcio viene lasciato per l’impossibilità di conciliare gli impegni. 
Una sparuta minoranza preferisce altri sport, anche nei licei classici.









Lei ha giocato in tantissime squadre, a quale è rimasto più   legato? 

In realtà sono rimasto legato a tutte le squadre in cui ho giocato. Tutte indicano diversi periodi della mia vita e tutte mi portano alla mente ricordi positivi e non, ugualmente formanti sotto il punto di vista del giocatore, ma soprattutto umano, direi. Ciò che più rimane in realtà è il legame con i ragazzi con i quali condividi lo spogliatoio, con loro instauri rapporti che vanno aldilà del calcio. Questo è uno dei lati più belli di questo sport.




Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. 
Perché tutti provano a diventare calciatori?

Potrei rispondere banalmente per la fama e il successo, per il riscatto sociale. Sono sicuramente dei motivi validi, ma è uno sport troppo romantico per confinare in motivi strettamente opportunistici il motivo per il quale un bambino prova a diventare calciatore e inizia a giocare.
Un bambino non sa neanche cosa siano i soldi ma sa benissimo cosa è un pallone. Eduardo Galeano scrisse “Ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste neanche uno senza un campo di calcio.” 

Il calcio è un fenomeno sociale incredibile. I soldi che ruotano intorno a questo mondo sono figli della passione che colpisce milioni di persone da tutto il mondo, è inevitabile... Ma “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada lì ricomincia la storia del calcio”
 Sono i due aforismi sul calcio che preferisco. Il secondo è di un genio, Borges. 










Lei gioca nel ruolo di portiere, come mai questo ruolo, è stata una casualità? 

Un ruolo forte. Il portiere è l’unico che ha i piedi ben piantati a terra per la maggior parte della partita, ma appena è necessario tende al cielo. Merita una filosofia a parte. “La solitudine dei numeri uno”.
Lo sono diventato a 7 anni per casualità. Si fece male il nostro portiere, mi misi in porta, un paio di uscite alte e un paio di parate difficili ... Ancora ricordo l’adrenalina che inizia a salire come succede tutt’ora. Avevo trovato il mio post nel mondo: 
davanti ad una porta, spalle grandi e petto in fuori, anche quando sbagli.
 È una filosofia di vita.



Che cosa le ha dato il calcio e che cosa le ha tolto? 

ll calcio mi ha dato tanto. Mi ha insegnato a stare tra la gente, ad essere parte di un qualcosa più grande di me... 

Allo stesso tempo di poter, con le mie azioni, influenzare positivamente o negativamente il rendimento di altre persone. Mi ha insegnato a non mollare mai e a contare solo su me stesso, senza escamotage, senza conoscenze. Mi ha insegnato che spesso otteniamo meno di quello che meritiamo, ma la cosa fondamentale è potersi guardare allo specchio fieri di quello che si è e si è fatto. Mi ha insegnato che non tutti siamo Buffon o Totti... Ma lo si può essere come persone. Ho imparato a perdere (tanto) e a vincere (poco). Il culto del lavoro l’ho imparato da questo sport e più precisamente dal mio ruolo. Ho lavorato senza tregua sui  miei difetti e la gioia di replicare un gesto tecnico, ripetuto fino alla nausea in allenamento, la domenica, è pazzesca. Sono solo un 23enne che ha una passione, come ce ne sono migliaia uguali a me. Per non parlare del mio ruolo...


 Ho imparato che molte volte bisogna guardarsi anche dal compagno di squadra e non solo dall’avversario. Molti dicono “Il portiere viene ricordato solo per gli errori” ...Vero! Questo mi fa capire che non sempre i giudizi sono oggettivi, devi imparare a giudicare, capire quando parlare, capire quando ammettere i tuoi errori.

Stare in uno spogliatoio mi ha insegnato a prendermi meno sul serio, a saper ridere dei propri difetti. Giocare a calcio mi ha fatto addormentare sognando una parata, un gol al 90esimo in mischia, un rigore parato a tempo scaduto. In fondo però lo sappiamo tutti... Il calcio è “solo” la cosa più importante tra le cose meno importanti.









Squadra italiana in cui le piacerebbe giocare? 

Mi piacerebbe giocare ovviamente nella Roma. Non sto neanche qui a spiegare le ragioni





Il suo più grande difetto?

Il mio più grande difetto come persona forse è l’eccessiva bontà. Mi dicono spesso che sono troppo buono con le persone. 
È un difetto che mi tengo volentieri in realtà.
Calcisticamente parlando sicuramente per il ruolo che ricopro non ho l’altezza dalla mia parte. Cerco di compensare con una buona spinta delle gambe.




Il suo più grande pregio?

Il mio più grande pregio è il carattere temperato. Sono una persona riflessiva e molto paziente. Penso molto e peso le parole. Sempre dal punto di vista calcistico invece il mio pregio è la lettura del gioco. Riesco a farmi trovare anche a 30 metri dalla porta se ho letto un lancio in profondità. Dicono che il ruolo del portiere sia un ruolo istintivo. Non sono totalmente d’accordo, molte volte le giocate di un portiere sono frutto di un pensiero lucido ed elaborato, altro che istinto. 




Lei è tifoso della Roma, che cosa può essere successo all’interno del Club? E di Totti cosa pensa, mi spiego ha fatto bene a dire quello che ha detto durante la conferenza stampa? 


Beh è difficile parlare della situazione in casa Roma. Totti è stato schietto come sempre; schiettezza che negli ultimi anni la dirigenza romana ha trascurato. Le promesse infrante hanno causato una spaccatura forte tra il presidente e noi tifosi. Sono di parte per quanto riguarda Totti, lo amo, è una persona genuina e nel ruolo di direttore tecnico avrebbe dato un notevole contributo.









Ho intervistato prima di lei il giocatore Mirko Moi, che cosa vi accomuna?  


Mirko è un amico, anche lui è di Ostiantica. È un calciatore forte e una bella persona. Dovevamo fare un torneo estivo di calciotto insieme ma si è accartocciato con la bici e ci ha dato buca. Gli auguro il meglio





Grazie   

a cura di Paolo Radi  





19     06    2019 
(Tutti i diritti riservati)