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mercoledì 19 giugno 2019

A CURA DI PAOLO RADI 







UNA CONVERSAZIONE 
     

     
 CON  




GABRIELE  
BOLLETTA 











 Gabriele Bolletta è nato a Roma nel il 16-6-1996, si è diplomato al Liceo Classico Anco Marzio e studia legge presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre. 

Ho giocato nell’Ostiantica Calcio, nella Lupa Roma, nel Flaminia Civita Castellana, nel Colleferro, nel Pomezia, nella Virtus Nettuno e nel Città di Palombara. Ha da poco compiuto 23 anni e vanta più di 60 presenze nella massima categoria regionale.




La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Da quando ho memoria in realtà. Forse il primo ricordo legato al calcio è la festa per lo scudetto della Roma. Ai tempi avevo da poco compiuto 5 anni e ricordo la gioia, le macchine piene di bandiere, i colori di Roma, giallo e rossa. 

Sono flash che mi hanno fatto innamorare prima della Roma e poi di questo sport. 
Sono stato portato alla scuola calcio del paese dove vivo per disperazione, avevo rotto troppi vasi e ricordo che passavo i pomeriggi a giocare dentro casa con un peluche a forma di palla (per evitare di fare troppo rumore e troppi danni).


I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, oppure le hanno detto la classica frase: “pensa a studiare che è meglio”?

Ho avuto la fortuna di avere genitori che mi hanno sempre sostenuto e tutt’ora continuano a farlo. Ancora oggi ad ogni partita puoi vederli sugli spalti ad osservare la partita come due veri ultras. Mi seguono nei campi più sperduti della regione, ma non mi hanno mai fatto dimenticare l’importanza della cultura. Sotto questo punto di vista non ho mai dato problemi, a scuola avevo sempre voti buoni e le volte in cui mi vedevano deragliare con una strigliata mi rimettevano nella giusta carreggiata. 
Non tutti hanno questa fortuna. Ne sono grato. 



Lei si è diplomato al Liceo Classico, e sinceramene non ho conosciuto molti giocatori che hanno frequentato il classico. Non ho saputo cercare io, oppure coloro che si dedicano a certi tipi di studio, preferiscono dedicarsi ad altri sport, forse più sofisticati? 

Si, mi sono diplomato al liceo classico. Ho fatto una buona scelta, è davvero una scuola che ti apre la testa e ti fa pensare. Ti dà i giusti elementi per sviluppare una tua coscienza. 
Più che preferire altri sport, il calcio a livello agonistico è molto impegnativo. Non è facile portare avanti parallelamente entrambi i percorsi, quello scolastico e quello calcistico. Quando facevo parte della rosa della Lupa Roma in Lega Pro mi ricordo che uscivo da scuola alle due, mio nonno mi aspettava fuori scuola e mi accompagnava direttamente agli allenamenti. Nel tragitto pranzavo con un panino al volo e un frutto che mi portava lui. 

Ripensarci dopo anni fa effetto, prendi coscienza della bellezza di un semplice gesto che nasconde un affetto smisurato, quello di mio nonno, che mi accompagnava sempre ovunque (quando i miei non potevano per lavoro), preoccupandosi del fatto che in quel quarto d’ora di macchina mangiassi a sufficienza. All’epoca non ero neanche maggiorenne, era un bel sacrificio, poi dovevo tornare a casa dopo gli allenamenti e studiare, il più delle volte stanco morto, chiarisco anche che mi allenavo con giocatori veri. Questo per dire che molte volte, più che per gusti personali, il calcio viene lasciato per l’impossibilità di conciliare gli impegni. 
Una sparuta minoranza preferisce altri sport, anche nei licei classici.









Lei ha giocato in tantissime squadre, a quale è rimasto più   legato? 

In realtà sono rimasto legato a tutte le squadre in cui ho giocato. Tutte indicano diversi periodi della mia vita e tutte mi portano alla mente ricordi positivi e non, ugualmente formanti sotto il punto di vista del giocatore, ma soprattutto umano, direi. Ciò che più rimane in realtà è il legame con i ragazzi con i quali condividi lo spogliatoio, con loro instauri rapporti che vanno aldilà del calcio. Questo è uno dei lati più belli di questo sport.




Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. 
Perché tutti provano a diventare calciatori?

Potrei rispondere banalmente per la fama e il successo, per il riscatto sociale. Sono sicuramente dei motivi validi, ma è uno sport troppo romantico per confinare in motivi strettamente opportunistici il motivo per il quale un bambino prova a diventare calciatore e inizia a giocare.
Un bambino non sa neanche cosa siano i soldi ma sa benissimo cosa è un pallone. Eduardo Galeano scrisse “Ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste neanche uno senza un campo di calcio.” 

Il calcio è un fenomeno sociale incredibile. I soldi che ruotano intorno a questo mondo sono figli della passione che colpisce milioni di persone da tutto il mondo, è inevitabile... Ma “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada lì ricomincia la storia del calcio”
 Sono i due aforismi sul calcio che preferisco. Il secondo è di un genio, Borges. 










Lei gioca nel ruolo di portiere, come mai questo ruolo, è stata una casualità? 

Un ruolo forte. Il portiere è l’unico che ha i piedi ben piantati a terra per la maggior parte della partita, ma appena è necessario tende al cielo. Merita una filosofia a parte. “La solitudine dei numeri uno”.
Lo sono diventato a 7 anni per casualità. Si fece male il nostro portiere, mi misi in porta, un paio di uscite alte e un paio di parate difficili ... Ancora ricordo l’adrenalina che inizia a salire come succede tutt’ora. Avevo trovato il mio post nel mondo: 
davanti ad una porta, spalle grandi e petto in fuori, anche quando sbagli.
 È una filosofia di vita.



Che cosa le ha dato il calcio e che cosa le ha tolto? 

ll calcio mi ha dato tanto. Mi ha insegnato a stare tra la gente, ad essere parte di un qualcosa più grande di me... 

Allo stesso tempo di poter, con le mie azioni, influenzare positivamente o negativamente il rendimento di altre persone. Mi ha insegnato a non mollare mai e a contare solo su me stesso, senza escamotage, senza conoscenze. Mi ha insegnato che spesso otteniamo meno di quello che meritiamo, ma la cosa fondamentale è potersi guardare allo specchio fieri di quello che si è e si è fatto. Mi ha insegnato che non tutti siamo Buffon o Totti... Ma lo si può essere come persone. Ho imparato a perdere (tanto) e a vincere (poco). Il culto del lavoro l’ho imparato da questo sport e più precisamente dal mio ruolo. Ho lavorato senza tregua sui  miei difetti e la gioia di replicare un gesto tecnico, ripetuto fino alla nausea in allenamento, la domenica, è pazzesca. Sono solo un 23enne che ha una passione, come ce ne sono migliaia uguali a me. Per non parlare del mio ruolo...


 Ho imparato che molte volte bisogna guardarsi anche dal compagno di squadra e non solo dall’avversario. Molti dicono “Il portiere viene ricordato solo per gli errori” ...Vero! Questo mi fa capire che non sempre i giudizi sono oggettivi, devi imparare a giudicare, capire quando parlare, capire quando ammettere i tuoi errori.

Stare in uno spogliatoio mi ha insegnato a prendermi meno sul serio, a saper ridere dei propri difetti. Giocare a calcio mi ha fatto addormentare sognando una parata, un gol al 90esimo in mischia, un rigore parato a tempo scaduto. In fondo però lo sappiamo tutti... Il calcio è “solo” la cosa più importante tra le cose meno importanti.









Squadra italiana in cui le piacerebbe giocare? 

Mi piacerebbe giocare ovviamente nella Roma. Non sto neanche qui a spiegare le ragioni





Il suo più grande difetto?

Il mio più grande difetto come persona forse è l’eccessiva bontà. Mi dicono spesso che sono troppo buono con le persone. 
È un difetto che mi tengo volentieri in realtà.
Calcisticamente parlando sicuramente per il ruolo che ricopro non ho l’altezza dalla mia parte. Cerco di compensare con una buona spinta delle gambe.




Il suo più grande pregio?

Il mio più grande pregio è il carattere temperato. Sono una persona riflessiva e molto paziente. Penso molto e peso le parole. Sempre dal punto di vista calcistico invece il mio pregio è la lettura del gioco. Riesco a farmi trovare anche a 30 metri dalla porta se ho letto un lancio in profondità. Dicono che il ruolo del portiere sia un ruolo istintivo. Non sono totalmente d’accordo, molte volte le giocate di un portiere sono frutto di un pensiero lucido ed elaborato, altro che istinto. 




Lei è tifoso della Roma, che cosa può essere successo all’interno del Club? E di Totti cosa pensa, mi spiego ha fatto bene a dire quello che ha detto durante la conferenza stampa? 


Beh è difficile parlare della situazione in casa Roma. Totti è stato schietto come sempre; schiettezza che negli ultimi anni la dirigenza romana ha trascurato. Le promesse infrante hanno causato una spaccatura forte tra il presidente e noi tifosi. Sono di parte per quanto riguarda Totti, lo amo, è una persona genuina e nel ruolo di direttore tecnico avrebbe dato un notevole contributo.









Ho intervistato prima di lei il giocatore Mirko Moi, che cosa vi accomuna?  


Mirko è un amico, anche lui è di Ostiantica. È un calciatore forte e una bella persona. Dovevamo fare un torneo estivo di calciotto insieme ma si è accartocciato con la bici e ci ha dato buca. Gli auguro il meglio





Grazie   

a cura di Paolo Radi  





19     06    2019 
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