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giovedì 25 ottobre 2018



PAOLO RADI PRESENTA    








10 DOMANDE 

A  

LUIGI CUCARANO 








Luigi Cucarano ha 20 anni e gioca a futsal, nel ruolo di portiere.
Ha giocato a calcio a livello giovanile nella Boys Napoli, successivamente ha giocato nella juniores nazionale del Pomigliano per poi giocare con la Sanità e il San Sebastiano per poi passare al futsal dove da due anni gioca nel Futsal Parete (ho affrontata sia il campionato di c1 e quest’anno la serie B) con il grande preparatore dei portieri Pietro Graziano, l’altro suo compagno di reparto è Crescenzo Costigliola (un punto di riferimento molto importante nella mia crescita). Nonostante abbia abbandonato il calcio, coltiva un’altra passione quella di allenare. Ha allenato prima alla Santiago per poi passare al Real Casarea, i quali grazie a loro, può mettere in atto lo studio che affronta alla facoltà di Scienze Motorie all’ Università Parthenope di Napoli. La forza che lo spinge di farlo andare avanti e di metterci il cuore è il fatto di avere un fratello disabile e un padre meraviglioso.  Il fratello gli trasmette la sua positività con il suo magnifico sorriso, il padre (il quale avendo avuto per due volte il tumore al rene) gli insegna ogni giorno a dare l’anima in qualsiasi cosa faccia. Colui che gli ha trasmesso la passione per il calcio è stato suo nonno, mentre invece l’allenatore Gennaro Scampitelli, gli ha suggerito di passare dal calcio al futsal. 





    Signor Luigi Cucarano la prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione

L’ho scoperto all’età di 7 8 anni quando ho iniziato a giocare nel parco vicino a casa mia insieme agli altri bambini.  All’età di 10 anni ebbi la fortuna che mio nonno prese lavoro presso una scuola calcio come segretario e da lì iniziò tutto.







Lei ha giocato in diverse squadre, le possiamo chiedere in quale si è trovato meglio e perché? 

A livello giovanile sicuramente la Boys Napoli, lì sono cresciuto sia sotto l’aspetto calcistico sia   sotto l’aspetto UMANO che è la cosa che conta di più. Mentre in prima squadra sicuramente il Futsal Paret




    Possiamo dire che ha iniziato molto giovane, se non avesse intrapreso quest’attività che cosa le sarebbe piaciuto fare, anche se vista la sua giovane età, può svolgere qualsiasi professione? 

Avrei sicuramente continuato in piscina anche se fin da bambino la Boxe mi ha sempre affascinato.







Potrebbe spiegarci meglio le regole del Futsal? 

Si svolge: 2 tempi da 20 minuti effettivi, falli laterali vengono battuti con i piedi, i cambi sono volanti, se durante il tempo compi più di 5 falli al sesto fallo scatta il tiro libero (una specie di calcio di punizione senza barriere quasi a 11 metri) 
Il portiere ha 4 secondi di tempo per rilanciare la palla o passarla, e inoltre se stai perdendo il portiere esce ed entra il portiere movimento il quale può giocare con i piedi senza L’obbligo dei 4 secondi 





Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. Per lei invece? 

A volte i ragazzi intraprendono la strada del calcio per diventare famosi e ricchi …. invece per me il futsal e il calcio sono una valvola di sfogo e principalmente passione. 



Lei ora frequenta Scienze Motorie, una volta terminati gli studi pensa di dedicarsi all’insegnamento? 

Ho intrapreso scienze motorie proprio per avere un futuro da professore di educazione fisica che è il mio primo obiettivo e spero di farcela.





Che cosa rappresenta per lei Napoli? 

Napoli per me è la città più bella del mondo (senza togliere nulla alle altre città) perché sono nato qui, la vivo ogni giorno e l’idea che un giorno per lavoro potrei lasciarla mi spaventa. 



In quale squadra estera le piacerebbe giocare? 
     
Nel Barcellona Futbol Sala (la squadra di calcio a 5 di Barcellona) 







Nella presentazione ho fatto riferimento a suo fratello disabile, ci potrebbe spiegare meglio il concetto di “mi trasmette la forza di andare avanti”. 

Mio fratello non è nato disabile ma lo è diventato durante il vaccino che gli ha fatto scatenare la malattia. Io e la mia famiglia abbiamo passato dei momenti difficili, soprattutto mia madre che nonostante tutto oggi attraverso le terapie sta cercando di rendere mio fratello una persona autonoma. Lui attraverso il suo sorriso e il suo carattere mi fa capire che devo lottare per raggiungere i miei risultati perché so anche se non può parlare che crede in me e io credo in lui affinché un giorno possa diventare il più autonomo possibile per vivere una vita quasi normal







Ultima domanda: tratto principale del suo carattere? 

Volenteroso, perché in qualsiasi cosa faccio non mollo mai 






Grazie   
Grazie a te Paolo 

a cura di Paolo Radi   





25     10     2018
(Tutti i diritti riservati)  





















lunedì 15 ottobre 2018

Paolo Radi Presenta 





Una storia italiana 



LA STORIA DI FRANCESCO ERRICO





Ferroviere per una vita








Vito Errico, è il figlio Francesco Errico (classe 1925), e mi ha permesso di pubblicare questa vicenda che riguarda suo padre e quello che successe all’arrivo dei tedeschi nel paese, Grumo Appula, in provincia di Bari. 








“Che fossero appartenenti alla Divisione Göring, l'ho ricostruito io, anni dopo.

Nella notte fra il 19 e 20 settembre 1943 c’era uno strano silenzio. Non si sentivano, come spesso accadeva, nemmeno gli uccelli notturni. Io ero alla stazione per il turno di notte in compagnia del capostazione Dell’Aquila, figlio di un dipendente dell’Acquedotto Pugliese, residente ad Acquaviva delle Fonti. Il Dell’Aquila prestava servizio al Nord ed era venuto nel meridione a far visita ai genitori. L’armistizio l’aveva tagliato fuori e così era stato preso in consegna dal Compartimento di Bari, che l’aveva mandato a far servizio a Grumo.
Quella notte con noi c’era anche Giuseppe Partipilo, di Carbonara e il grumese Francesco D’Amato, addetto al passaggio a livello, situato sulla via di Toritto.
Sotto il ponte di via Paglizzo c’era un vigneto di proprietà del padre di Domenico Fazio, che attualmente gestisce il negozio di ferramenta su Corso Garibaldi.


La fame non mancava e così io e Dell’Aquila decidemmo di andare lì a mangiare qualche grappolo d’uva.
Alla «piscina di Paglizzo» trovammo due guardie campestri e il loro comandante, il commendator Giuseppe Gentile. Facevano la guardia alla conduttura d’acqua, che riforniva la cisterna, perché si temeva che i tedeschi potessero minarla.







A Gentile chiesi di poter prendere un po’ dell’uva. Uomo serio e cosciente, il comandante oppose un primo diniego ma poi capì la nostra condizione. Mandò una guardia campestre a tagliare alcuni grappoli, che furono riposti nel suo berretto.


Io e Dell’Aquila avevamo appena preso un grappolo che sentimmo il rombo di motociclette provenire dalla strada del Lagopetto. Erano tedeschi che scendevano per l’attuale via Bonavoglia verso il Campo Sportivo. Le guardie campestri andarono via ed io e Dell’Aquila tornammo di corsa alla stazione.


I tedeschi, scendendo da via Bonavoglia, s’accorsero della luce del lume a petrolio, che rischiarava l’ufficio. Una quindicina di soldati si appostarono dietro il muretto della Ferrovia Calabro-Lucana con i mitra spianati e misero in posizione anche una mitragliatrice. Gli altri proseguirono per il nostro ufficio. Prima di loro arrivarono trafelati i vigili notturni Antonio Meschisi e Nicola De Santis, ai quali feci in tempo a togliere le rivoltelle e nasconderle sotto la cassetta di medicazione della stazione.






I tedeschi arrivarono con le loro tute mimetiche tutte impolverate. Con un sorriso offrimmo loro l’uva ma ci puntarono le armi addosso e ci perquisirono. Chiesero dei vigili notturni ma rispondemmo ch’erano ferrovieri. Rastrellarono tutta la stazione e, dopo averci ammucchiati in un cantuccio, presero i grappoli d’uva. Non conoscevano una parola d’italiano e volevano andare a Sannicandro. Lo capimmo quando dispiegarono una mappa topografica e su di essa indicarono la località. Cercammo d’indicare la strada ma non compresero e allora ci ordinarono di seguirli. Francesco D’Amato, che s’era adagiato nella sala di 1^ classe, dormiva. I tedeschi lo videro ma non gli diedero peso e lì rimase.
Uscimmo incolonnati dall’ufficio, diretti a raggiungere, attraverso la stazione delle Calabro-Lucane, il resto del drappello tedesco, appostato sul muretto.


Nel passare tra il secondo e il terzo binario della nostra stazione, sussurrai a Partipilo di far finta di legarci le scarpe per vedere quale reazione i tedeschi avevano. Così facemmo e loro proseguirono, lasciandoci indietro e portando via Dell’aquila e i due vigili notturni.
Io e Partipilo tornammo indietro. Partipilo andò a nascondersi in un portone, dove rimase fino a giorno inoltrato, mentre io mi diedi da fare per avvisare i carabinieri, che avevano un posto fisso in via Vittorio Emanuele. I carabinieri si misero in borghese, pronti a scappare alla necessità.


Di lì andai a Monteverde, dove alloggiava nei locali attualmente occupati dalla sala Galena un drappello di soldati italiani, comandato da un sergente maggiore degli Alpini, che sfoggiava una barbetta da montanaro. I soldati per tutta risposta si tolsero le divise, si misero in borghese e trasportarono i fucili e le munizioni nella stalla di Leonardo Limitone, posta di fianco alla Chiesa di Monteverde.
Mi portai anche alla caserma dei carabinieri di Piazza XX Settembre per dare l’allarme.
Quella notte una ventina di soldati tedeschi potevano occupare e rastrellare tutto il nostro paese. Non lo fecero perché il loro intento era altro.


Rientrai alla stazione ch’erano le ore 3,30.


Ero preoccupato per la sorte di Dell’Aquila e dei vigili notturni e non sapevo che cosa fare con il primo treno, che proveniva da Bari. Aprii il segnale d’ingresso ma senza il capostazione il treno non poteva ripartire. Fu allora che vidi comparire sano e salvo Dell’Aquila. Dopo la partenza del treno alla volta di Acquaviva, chiesi dei due vigili notturni. Erano salvi anche loro perché i tedeschi, a metà del tragitto fra Grumo e Bitetto li avevano fatti scendere dai loro mezzi e li avevano abbandonati per strada. 

Loro avevano proseguito per Bitetto e di lì avevano ritrovato la strada per Sannicandro” 


Un grazie particolare al signor Vito Errico.



15 10 2018

giovedì 4 ottobre 2018



PAOLO RADI 

     PRESENTA    






10 DOMANDE 

A  

FRANCESCO DIANA






   Francesco Diana di Villa Literno è un giovane allenatore.  Da 5 anni svolge la propria attività presso la Puteolana 1902. All’inizio ha giocato a Villa Literno, poi ha preso il patentino Uefa B. 









Signor Francesco Diana, la prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il gioco del calcio sarebbe stata la sua più grande passione?

Praticamente sin dai primi anni di vita, passione trasmessami in maniera incessante da mio padre e che è cresciuta sempre di più.




Perché tutti provano a diventare calciatori, a differenza che allenatori? 

 Probabilmente perché da ragazzini il primo modo per affacciarsi al mondo del calcio è quello di giocare…fare l’allenatore richiede una serie di processi caratteriali e mentali che non sempre sono comuni nei giovani.






Ad un certo punto lei decide di diventare allenatore, perché questa scelta? 

Perché la voglia di mettermi in discussione, di prendermi delle responsabilità, sono sempre state “cose” che mi hanno stimolato tanto…il tutto abbinato alla passione e all’amore che ho da sempre avuto per il calcio studiato.



Lei ha il patentino UEFA B, è stato difficile prenderlo?

Il patentino Uefa B è un’abilitazione che presuppone il possesso di alcuni requisiti per essere inserito in una graduatoria da cui poi, in base ai parametri tecnici si sfila la lista definitiva dei 40. Non so se sia stato semplice o meno, ma è stato un percorso che mi ha insegnato tanto.





Un aggettivo per descrivere se stesso? 

Ambizioso L’ambizione è ciò che smuove il mio ". Non so dirti dove posso arrivare. Però so per certo che alzare continuamente l’asticella mi da una carica speciale.
     


Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 

Oltre all’aspetto professionale, quindi prettamente tecnico-tattico, credo che la più grande capacità di un allenatore si quella di riuscire a relazionarsi in modo diverso ai propri giocatori, fermo restando che sono tutti uguali. Credo che un buon allenatore debba riuscire a guardare dentro i propri calciatori. 








Alcuni allenatori ottengono brillanti risultati in una squadra, poi passano ad un’altra e non riescono a raggiungere nessun obiettivo? Quali possono essere i motivi?

I motivi posso essere molteplici. Il valore dei singoli della squadra ad esempio. Non dimentichiamo che sono sempre i giocatori ad andare in campo, quindi sono loro i veri protagonisti. E fanno, spesso, anche il bello e il cattivo tempo degli allenatori.



Squadra estera che le piacerebbe allenare?  

Per qualsiasi allenatore al mondo credo che la Premiere League sia un sogno…farlo all’ Old Trafford poi…







     Chi è secondo lei il migliore allenatore fra questi tre nomi:     Josè Mourinho, Massimiliano Allegri e Josep Guardiola?

Mourinho è un allenatore impressionante per quello che riesce a tirare fuori dai calciatori, ma Guardiola è stato un grande innovatore, uno che ha rivoluzionato l’idea di calcio moderno con la continua occupazione di spazi facendo contestualmente continuo possesso di palla. Per me Pep è il migliore.



     Tutti rincorrono la “fama, i soldi e la celebrità”, lei invece? 

Io non rincorro nulla…ma il presupposto che anima la mia attività è l’ambizione, la fame…non voglio pormi limiti! 




Grazie   



a cura di Paolo Radi   





04   10  2018 
(Tutti i diritti riservati)