Paolo Radi Presenta
Una storia italiana
LA STORIA DI FRANCESCO ERRICO
Ferroviere per una vita
Vito Errico, è il figlio Francesco Errico (classe 1925), e mi ha permesso di pubblicare questa vicenda che riguarda suo padre e quello che successe all’arrivo dei tedeschi nel paese, Grumo Appula, in provincia di Bari.
“Che fossero appartenenti alla Divisione Göring, l'ho ricostruito io, anni dopo.
Nella notte fra il 19 e 20 settembre 1943 c’era uno strano silenzio. Non si sentivano, come spesso accadeva, nemmeno gli uccelli notturni. Io ero alla stazione per il turno di notte in compagnia del capostazione Dell’Aquila, figlio di un dipendente dell’Acquedotto Pugliese, residente ad Acquaviva delle Fonti. Il Dell’Aquila prestava servizio al Nord ed era venuto nel meridione a far visita ai genitori. L’armistizio l’aveva tagliato fuori e così era stato preso in consegna dal Compartimento di Bari, che l’aveva mandato a far servizio a Grumo.
Quella notte con noi c’era anche Giuseppe Partipilo, di Carbonara e il grumese Francesco D’Amato, addetto al passaggio a livello, situato sulla via di Toritto.
Sotto il ponte di via Paglizzo c’era un vigneto di proprietà del padre di Domenico Fazio, che attualmente gestisce il negozio di ferramenta su Corso Garibaldi.
La fame non mancava e così io e Dell’Aquila decidemmo di andare lì a mangiare qualche grappolo d’uva.
Alla «piscina di Paglizzo» trovammo due guardie campestri e il loro comandante, il commendator Giuseppe Gentile. Facevano la guardia alla conduttura d’acqua, che riforniva la cisterna, perché si temeva che i tedeschi potessero minarla.
A Gentile chiesi di poter prendere un po’ dell’uva. Uomo serio e cosciente, il comandante oppose un primo diniego ma poi capì la nostra condizione. Mandò una guardia campestre a tagliare alcuni grappoli, che furono riposti nel suo berretto.
Io e Dell’Aquila avevamo appena preso un grappolo che sentimmo il rombo di motociclette provenire dalla strada del Lagopetto. Erano tedeschi che scendevano per l’attuale via Bonavoglia verso il Campo Sportivo. Le guardie campestri andarono via ed io e Dell’Aquila tornammo di corsa alla stazione.
I tedeschi, scendendo da via Bonavoglia, s’accorsero della luce del lume a petrolio, che rischiarava l’ufficio. Una quindicina di soldati si appostarono dietro il muretto della Ferrovia Calabro-Lucana con i mitra spianati e misero in posizione anche una mitragliatrice. Gli altri proseguirono per il nostro ufficio. Prima di loro arrivarono trafelati i vigili notturni Antonio Meschisi e Nicola De Santis, ai quali feci in tempo a togliere le rivoltelle e nasconderle sotto la cassetta di medicazione della stazione.
I tedeschi arrivarono con le loro tute mimetiche tutte impolverate. Con un sorriso offrimmo loro l’uva ma ci puntarono le armi addosso e ci perquisirono. Chiesero dei vigili notturni ma rispondemmo ch’erano ferrovieri. Rastrellarono tutta la stazione e, dopo averci ammucchiati in un cantuccio, presero i grappoli d’uva. Non conoscevano una parola d’italiano e volevano andare a Sannicandro. Lo capimmo quando dispiegarono una mappa topografica e su di essa indicarono la località. Cercammo d’indicare la strada ma non compresero e allora ci ordinarono di seguirli. Francesco D’Amato, che s’era adagiato nella sala di 1^ classe, dormiva. I tedeschi lo videro ma non gli diedero peso e lì rimase.
Uscimmo incolonnati dall’ufficio, diretti a raggiungere, attraverso la stazione delle Calabro-Lucane, il resto del drappello tedesco, appostato sul muretto.
Nel passare tra il secondo e il terzo binario della nostra stazione, sussurrai a Partipilo di far finta di legarci le scarpe per vedere quale reazione i tedeschi avevano. Così facemmo e loro proseguirono, lasciandoci indietro e portando via Dell’aquila e i due vigili notturni.
Io e Partipilo tornammo indietro. Partipilo andò a nascondersi in un portone, dove rimase fino a giorno inoltrato, mentre io mi diedi da fare per avvisare i carabinieri, che avevano un posto fisso in via Vittorio Emanuele. I carabinieri si misero in borghese, pronti a scappare alla necessità.
Di lì andai a Monteverde, dove alloggiava nei locali attualmente occupati dalla sala Galena un drappello di soldati italiani, comandato da un sergente maggiore degli Alpini, che sfoggiava una barbetta da montanaro. I soldati per tutta risposta si tolsero le divise, si misero in borghese e trasportarono i fucili e le munizioni nella stalla di Leonardo Limitone, posta di fianco alla Chiesa di Monteverde.
Mi portai anche alla caserma dei carabinieri di Piazza XX Settembre per dare l’allarme.
Quella notte una ventina di soldati tedeschi potevano occupare e rastrellare tutto il nostro paese. Non lo fecero perché il loro intento era altro.
Rientrai alla stazione ch’erano le ore 3,30.
Ero preoccupato per la sorte di Dell’Aquila e dei vigili notturni e non sapevo che cosa fare con il primo treno, che proveniva da Bari. Aprii il segnale d’ingresso ma senza il capostazione il treno non poteva ripartire. Fu allora che vidi comparire sano e salvo Dell’Aquila. Dopo la partenza del treno alla volta di Acquaviva, chiesi dei due vigili notturni. Erano salvi anche loro perché i tedeschi, a metà del tragitto fra Grumo e Bitetto li avevano fatti scendere dai loro mezzi e li avevano abbandonati per strada.
Loro avevano proseguito per Bitetto e di lì avevano ritrovato la strada per Sannicandro”
Un grazie particolare al signor Vito Errico.
15 10 2018
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