PAOLO RADI PRESENTA
UNA RIFLESSIONE DI FIORE MANZO
SULLA SHOAH/SAMUDARIPE’
Fiore Manzo, 26 anni, è cresciuto in un campo Rom a Cosenza, (sono italiano da 600 anni ci dice con orgoglio) con due lauree vorrebbe insegnare per abbattere il pregiudizio e quello che non si conosce sui Rom.
Il samudaripè (Tutti Morti) o altrimenti conosciuto con il termine Porrajmos (divoramento) non trova spazio, spesso, nei libri di testo. Al limite sull'Olocausto Rom e Sinto, abbiamo una nota a margine, qualche riga.
La popolazione romanì continua ad essere misconosciuta e pensata meramente mediante stereotipi. In Italia, nello specifico, oltre seicento anni di convivenza non sono sufficienti per un dialogo Pacifico e Reciproco impregnato di rispetto e della volontà di conoscersi.
Non sono di aiuto le leggi regionali e la relativa istituzionalizzazione dei "campi nomadi" che potremmo, tranquillamente, definire come "pseudocampi di concentramento" o almeno dovrebbe fare riflettere il caso "esemplare Italiano" dell'istituzione dei "campi nomadi" risalente a pochi anni dopo la orribile barbarie dei campi di sterminio.
Il tempo passa ma l'idea che, gli appartamenti alle comunità romanès, siano "vagabondi", "ladri", "asociali" e "privi di morale" permane. È opportuno, rilevare, che l'internamento dei Rom e dei Sinti nell'epoca nazi-fascista non deve essere considerata come l'unica forma di antiziganismo visto che in altre forme si sono susseguite, ovunque, dal Rinascimento in poi mediante bandi di espulsione, rastrellamenti ecc.
Fa riflettere, altresì, che fortunatamente non tutte le comunità romanès in Italia siano state internate (nonostante la Circolare n. 63462/10 dell'11 settembre 1940 che ne richiedeva l'internamento) inoltre, in alcuni casi, hanno combattuto per l'esercito Italiano, tra cui il mio bisnonno, della mia comunità a Cosenza.
Ci si chiede cosa resti nella memoria collettiva delle persone in luce al permanente misconoscimento della popolazione romanì e della susseguente, sovente, coatta dimenticanza delle proprie radici da parte di tantissime persone Rom e Sinte che hanno maturato un’idea distorta della propria identità che spiacevolmente è più vista come malattia che come valore aggiuntivo e positivo.
C’è chi è forte e resiste e chi è debole e soccombe per le idee della società maggioritaria. La forza e la speranza o per meglio dire lo spirito resiliente ha albergato e continua ad albergare nella psiche delle comunità romanès, ma spesso non è bastata e non basta. C’è un aneddoto che mi è stato raccontata da mia nonna materna su una zia che per farsi rispettare fingeva di essere fascista e in diversi casi questo le è stato di aiuto ma il rischio nel mettere in scena ciò che non si è, alla stregua del mimetizzarsi, ritengono che siano soluzioni effimere e dolorosi oltre che ingiuste.
Se mai la strada è quella della conoscenza e riconoscenza per non dimenticare e non ripetere.
Ringrazio per questo contributo il dottor Fiore Manzo
27 gennaio 2019
Due note storiche
Il 16maggio 1944, i deportati Sinti e Rom del campo di concentramento di Auschwitz dettero vita ad un’eroica insurrezione contro le SS.
In questa giornata 4.000 Rom internati nello zigeunerlager di Auschwitz, decisero di opporsi ai loro aguzzini, che secondo programma erano venuti a prelevarli, per condurli nelle camere a gas. Non furono solo gli uomini a decidere di non piegare il capo di fronte ai carnefici in divisa; anche le manine ossute dei bimbi e delle donne raccolsero pietre, mattoni, spranghe, rudimentali lame e tutti insieme i Rom di Auschwitz dissero: «No!».
Nessun Sinti e Rom ha testimoniato contro i nazisti al processo di Norimberga.
27 gennaio 2019 Tutti i diritti riservati
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