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lunedì 3 dicembre 2018


PAOLO RADI PRESENTA    







10 DOMANDE 

A  


GIUSEPPE 

LUCIGNANO








Giuseppe Lucignano Di Casoria (Na) è nato  nel 1995 a Villaricca. Dopo aver fatto il settore giovanile del Napoli e della cavese si è trasferito in Abruzzo per giocare con il Miglianico dove ho giocato per un anno. Successivamente ha militato nel Giugliano eccellenza campana e nel Sant’Anastasia (entrambe con sedi nel Napoletano). Nella sua città, invece   Casoria ha vinto un campionato. Si è spostato nel Lazio giocando nel Minturno Calcio 1936. Attualmente milita nel   Formia dove fortunatamente sta facendo un campionato da protagonista. Come ci ha detto lui stesso: “Il calcio è una passione di famiglia e grazia e mio padre e mio fratello maggiore ho questa “ossessione”.











La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

L’ho scoperto crescendo, quando per il calcio ho iniziato a mettere da parte molte distrazioni e molti divertimenti. Credo che quando si ha una forte passione lo si capisca da questo, quando riesci a fare tanti sacrifici per un solo obbiettivo. E personalmente per come la vivo io la definirei un’ossessione più che una passione. 




Lei ha giocato in diverse squadre, a quale squadra è rimasto più legato?

 Sicuramente questa:  a Formia che  sta diventando un’annata importante, ma sentimentalmente sono legato a due piazze che mi hanno insegnato tanto e mi hanno fatto vivere forti emozioni: una è Giugliano, una realtà importantissima, una società che ha fatto la serie C (e con un pubblico di altre categorie che ci seguivano ovunque e veramente erano il nostro dodicesimo uomo), e l’altra è sicuramente il Casoria la squadra della mia città, dove ho vinto anche un campionato. E ti dico che giocare per la propria città ti da quelle motivazioni in più che ti fanno spingere oltre alcuni limiti che hai.








Se non avesse intrapreso quest’attività agonistica quale sport le sarebbe piaciuto praticare? 

Sono sempre stato attratto dal tennis e mi sarebbe piaciuto provare uno sport non da squadra.



Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. Perché tutti provano a diventare calciatori?

Oggi giorno per colpa anche dei social che vengo usati per ostentare il proprio tenore di vita ormai “il lusso” sta diventando l’unico motivo per intraprendere questo sport che sicuramente fatto ad alti livelli ti offre tanti agi, ma secondo me toglie anche tanto, "non è tutto oro ciò che luccica". E per colpa di questo si stanno mettendo da parte i veri sentimenti per cui si gioca a calcio, mettendo avanti a tutto la venalità. 







Qual è la principale qualità che deve avere un calciatore? 

La personalità. Credo sia una dote imprescindibile se si vuole arrivare ad alti livelli; essa ci permette  di superare i tanti ostacoli, di farsi scivolare tante cose addosso ed andare avanti per la propria strada. È una dote fondamentale sia dentro che fuori dal campo e che noi si confonda con l’essere poco umili. 




Squadra italiana in cui le piacerebbe fare una splendida carriera? 

Come già detto prima credo che giocare per la propria città ti dia quei stimoli in più per superare tanti limiti, fisici e mentali, ma sicuramente come ha dei pro ha sicuramente dei contro che sono il sentirsi più di tutti sotto la lente d’ingrandimento per qualsiasi fatto che possa accadere. Per questo ti dico il Napoli che è sempre stato il sogno da bambino giocare al San Paolo. 





Un aggettivo per descrivere sé stesso? 

Caparbio, il non mollare mai mi ha sempre contraddistinto. Perché è inevitabile cadere, ma l’importante è sempre rialzarsi e ne modo giusto. La penso così su tutto.



Un suo difetto? 

Credo di essere troppo autocritico; forse il pretendere sempre e per forza di più da sé stessi non è sempre una cosa positiva, bisognerebbe riconoscere i propri limiti, perché anche quello è un modo per migliorarsi. 






   Squadra estera in cui le piacerebbe giocare? 

Sono sempre stato affascinato dalla scuola catalana del Barcellona nel suo ", nella ricerca ossessionata della perfezione in tutto. E ovviamente perché mi piace vincere e quindi dove se non con loro.


    Mi pare di capire che lei sia molto legato alla sua famiglia e   agli amici, che cosa rappresentano per lei? 


La mia famiglia è colonna portante della mi vita è quindi inevitabilmente anche nel calcio, posso dire che da mia madre ho preso il mio miglior pregio: la caparbietà, è proprio lei mi ha insegnato a non mollare mai e a tenere sempre duro, cosa fondamentale in questo sport - e nella vita in generale - e per questo non smetterò mai di  ringraziarla. A mio padre devo tanto, lui mi ha insegnato la dedizione e l’amore per questo sport, poi mi ha seguito ovunque nei tornei in giro per l’Italia quando ero con le giovanili del Napoli e anche tutt’ora è il mio primo tifoso sincero e soprattutto mai troppo invadente. Mio fratello maggiore è sempre stato la mia fonte di ispirazione, per serietà e sacrificio, professionalmente è il giocatore che stimo di più, l’ho sempre visto come il più forte di tutti, ho avuto la fortuna di giocare con lui, mi ha insegnato tanto, sicuramente con i suoi modi più bastone che carota, mi ha fatto maturare tanto e non ho mai smesso di guardarlo con gli occhi da bambino che guardano il suo supereroe.










Grazie   

a cura di Paolo Radi   





03 12   2018 
(Tutti i diritti riservati)  





















domenica 25 novembre 2018



PAOLO RADI PRESENTA   









10 DOMANDE  

A  

FIORE    MANZO 


IL PREGIUDIZO NELL’ ESSERE UN ROM





Fiore Manzo, 26 anni, è cresciuto in un campo Rom a Cosenza, (sono italiano da 600 anni ci dice con orgoglio) con due lauree vorrebbe insegnare per abbattere il pregiudizio e quello che non si conosce sui Rom. Noi gli abbiamo rivolto le nostre classiche 10 domande.




Signor Fiore Manzo, la sua storia ha stupito l’Italia intera, molti hanno commentato con sarcasmo “sarà una casualità”,
mentre invece noi sappiamo che non è così, è esatto? 

È proprio così. Non sono “un ago in un pagliaio” per dirla con una delle frasi di chi ha commentato. Ci si abitua a pensarci tutti “uguali” ma non è così. Oltre a quelle “persone” di etnia romanì che chiedono l'elemosina per questioni sociali e non culturali ma anche oltre le notizie negative che i media diffondono quotidianamente ci sono tante altre “persone” per bene che frequenta l’università, lavora e vive una vita “normale”. 







Quando il ministro dell’Interno ha proposto il censimento dei Rom presenti in Italia, lei si è indignato, facendo presente che essendo italiani siete già censiti, è esatto? 

Non si può censire chi  è  già censito. Sanno quanti siamo e dove siamo. Fare un altro censimento significherebbe crearne uno etnico. Quindi un censimento specifico per noi. La costituzione, fortunatamente, lo vieta.


Com’è stato nascere in un campo Rom, senza i confort, forse che sono presenti nelle abitazioni della maggior parte degli italiani? 

 La nostra, ma anche quelle degli altri, era in cemento. Era una casetta con una stanza, la cucina e il bagno. C'erano in prossimità le stalle. La situazione a prescindere non era idonea, quindi, dopo la lotta di alcune donne che si unirono e costituirono un comitato che chiamarono lav romano (parola/ voce Rom) si riuscì con scioperi   ad  ottenere le case. Siamo passati però da un ghetto che era nelle vicinanze del centro della città ad un ghetto in periferia con delle case belle e confortevoli. Il risultato? È stato spostato il problema. L'unica soluzione era e resta l'equa dislocazione abitativa. La concentrazione sociale ovunque, a prescindere dall'età, genera difficoltà: disperazione scolastica, criminalità, spazzatura, malessere psichico...






Che percorso di studi ha compiuto? 

Ho frequentato l’università della Calabria. Ho conseguito la laurea triennale in scienze dell'educazione e la specialistica in scienze pedagogiche per l'interculturalità e la media Education.



Ora che lei si è laureato come viene visto quando dice agli altri che lei è un rom con due lauree? 

Dipende dalle persone. Solitamente si sentono confuse Alcuni non concepiscono che siamo “uguali” agli altri, che possiamo fare anche noi altro rispetto alle cose che si vedono quotidianamente. 






Quando si parla di Shoah l’attenzione viene focalizzata sugli ebrei, il conferenziere però menziona anche la vostra tragedia, ma solo alla fine del dibattito. La domanda è d’obbligo: perché del vostro genocidio si parla così poco, e perché non esistono fondazioni come quelle che sono presenti nelle maggiori città europee? 

Il samudaripè (tutti morti) è poco conosciuto anche da alcune comunità romanès. Pochi Rom o Sinti italiani sono stati internati. Le deportazioni toccarono soprattutto le comunità romanès straniere e non quelle Italiane anche se alcuni appartenenti  alle comunità italiane  furono internati e fortunatamente rilasciati. Pochi sanno che ci sono stati anche diversi partigiani Rom e Sinti. In Calabria le comunità romanès parteciparono alla guerra. Furono arruolati nell'esercito Italiano. Anche il mio bisnonno ha combattuto in Africa. 







Secondo lei se tale sterminio avesse riguardato solo i Rom, ad esempio se ne sarebbe parlato così tanto, ci sarebbe una Giornata della memoria? 

Se guardiamo al presente forse no. I tempi cambiano ma in peggio. 



Il fatto che lei si sia laureato com’è stato accolto dalla sua comunità? 

Ci sono anche altri laureati e siamo visti positivamente e negativamente. Dipende dalle persone. Essendo delle “persone” c’è chi vede lo studio positivamente e no.







Nei vari media spesso vengono menzionati solo fatti di cronaca nera: furti, bambini che vanno a mendicare e che non frequentano la scuola, questa realtà è viene ingigantita dai giornalisti, oppure il problema esiste e le varie autorità fanno poco per migliorare le condizioni di vita di questi campi? 

Il “campo nomadi” proprio perché concentra delle persone che condividono delle difficoltà genera, come ho specificato prima, queste problematiche quindi vanno superati con delle politiche non differenziate che sono un male. Le politiche differenziate creano la guerra fra i penultimi e gli ultimi. In Italia per chi non ha la possibilità di comperare una casa è possibile chiedere un alloggio popolare e anche la minoranza romanì dovrebbe beneficiarne. È ingigantita la questione da alcuni media sicuramente se pensiamo che nei campi ci abitano 26 mila persone. Il resto abitiamo in “normali” abitazioni popolari e privati. 







Ultima domanda; perché sui Rom ci sono tanti pregiudizi e così tanta ignoranza? La maggior parte degli italiani non conosce nulla della vostra storia, confonde Rom con i Sinti, pensa che siete tutti degli stranieri che siete venuti in Italia per non lavorare. Immagino che non si facile vivere con questa, mi permetta questa espressione “spada di Damocle” sulla testa, di conseguenza quale sarebbe il suo sogno? 

La chiusura è una strategia di difesa necessaria, in alcuni casi, per potere andare avanti. Si pensi ai bandi di espulsione, ai rastrellamenti, alla mobilità coatta, appunto, che ha dovuto subire il popolo romanò.  La popolazione romanì ha preferito la chiusura anziché la guerra ecc. Questo ha accresciuto gli stereotipi. Il dialogo è fondamentale, senza non si risolve nulla. Abbiamo bisogno di gente che sappia creare ponti e non che continui ad ergere muri. Il mio sogno? Una Italia diversa, non incline alla generalizzazione e che sappia dialogare e confrontarsi con l'alterità.


La ringrazio per questa intervista. 



a cura di Paolo Radi  





25  11 2018 
(Tutti i diritti riservati) 





















sabato 24 novembre 2018



PAOLO RADI PRESENTA    










10 DOMANDE 

A  

GIORGIO DI VICINO 











   Giorgio Di Vicino ha 21 anni e frequenta l’università di Scienze Motorie a Napoli. Ha giocato fino all’età di 14 anni a calcio a 11, per poi passare al futsal fino ai 18 anni. E’ da tre anni fermo per una lesione al legamento crociato anteriore. Sin da bambino ha sempre sognato di diventare un allenatore professionista, e a 18 anni ha cominciato a lavorare per una società storica di Pianura (lo Sporting Club), grazie a Paolo Di Fusco, che da un paio di anni si è cimentata nel futsal giovanile. Lì ha conosciuto il mister Adriano Pucci, suo punto di riferimento, con il quale allena attualmente la prima squadra dell’Asd Falcone nel campionato CSI di futsal. Proprio con l’Asd Falcone ha la possibilità di allenare un gruppetto di splendidi bambini nati nel 2010 (impegnati nel campionato di categoria) e per questa avventura deve ringraziare l’avvocato Dario Abbruzzese che lo ha voluto fortemente. Ha sposato questo progetto perché la società è ambiziosa e ha trovato un ambiente che lo può valorizzare ancora di più. Nel tempo libero organizza tornei amatoriali under 19, 17, 15, 13 con PST ORGANIZZAZIONE TORNEI, oramai una realtà sempre più importante del calcio amatoriale flegreo. 

“La mia più grande forza è la famiglia e la mia ragazza Sara, loro mi supportano in qualunque cosa voglia fare.”




Signor Giorgio Di Vicino la prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il gioco del calcio sarebbe stata la sua più grande passione?

È una passione che è nata con me. Sin dai tempi dell’asilo ricordo che facevo a gara con i miei zii per riconoscere i calciatori tramite le figurine Panini. Rimasi incantato dalla Roma (squadra per la quale faccio il tifo) di Fabio Capello che quell’anno arrivò seconda. Vedevo pallone in ogni cosa, dalla tv ai videogiochi, quindi anche la mia famiglia ha contribuito tanto.


Ci potrebbe spiegare cos’è il Futsal?

Il Futsal nasce in Uruguay ed ancora oggi nel Sud-America è lo sport più praticato dai giovani. Ci sono differenze in termine di regolamento con il calcio a 11, tra le tante: le partite si giocano 5vs5, ci sono due tempi da 20 minuti effettivi, si utilizza il pallone a rimbalzo controllato e soprattutto i cambi sono illimitati e volanti. In Italia è una disciplina che sta crescendo. 









Quali sono state le sue sensazioni quando ha avuto la lesione al crociato?  

Il 20 dicembre 2015 si giocava questa partita importantissima contro l’altra prima in classifica. Ricordo che a pochi minuti dalla fine recuperai in scivolata un pallone a centrocampo, l’avversario cadde sulla mia gamba destra facendola fare una brutta torsione. Capii subito che la cosa era abbastanza grave. Dopo 4 mesi di terapie e palestra rientrai in campo, ma dopo qualche settimana ebbi la ricaduta facendo una semplice corsetta. Da allora mi sono dedicato a ciò che ho sempre desiderato fare (l’allenatore). Non le nascondo che mi manca tantissimo giocare nelle partite che si organizzano tra amici.



Perché tutti provano a diventare calciatori, a differenza che allenatori? 

Giocare a calcio ti mette allegria, ti dà libertà di pensiero e azione, insomma è il sogno di tutti i bambini diventare calciatore. L’allenatore è visto come quella figura rigida, che ti insegna le regole e l’educazione, e appena sbagli un esercizio è già lì pronto a riprenderti per correggerti. Insomma è un po’ associato alla figura del maestro a scuola. Personalmente non ho mai sentito un bambino dire: “Da grande voglio diventare un maestro”.  






Un aggettivo per descrivere sé stesso? 

Caparbio.



Qual è la principale qualità che deve avere un calciatore? 

Nel calcio moderno non si va più alla ricerca della qualità, ma delle qualità. Tra queste: prestanza fisica, velocità di pensiero, buona resistenza e un bagaglio tecnico individuale discreto.



Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 

L’allenatore è un punto di riferimento per tutti i suoi atleti, deve essere bravo a “fare gruppo” e far sentire importanti tutti i calciatori in egual modo, cosicché tutti riescano a dare il 101% nel momento in cui vengono chiamati in causa.









Alcuni allenatori ottengono brillanti risultati in una squadra, poi passano ad un’altra e non riescono a raggiungere nessun obiettivo. Quali possono essere i motivi?

I motivi possono essere diversi. Quello più comune è l’ambiente: ci sono società che vogliono subito vedere i risultati e risulta difficile in poco tempo abituare i calciatori al tipo di gioco che chiedi (magari per caratteristiche diverse a quelle che avevano i tuoi vecchi giocatori). Quindi devi essere bravo a variare modulo a seconda del baglio tecnico e tattico dei calciatori che hai a disposizione, senza però “eliminare” ciò che è la tua filosofia di gioco.



La squadra in cui sogni di allenare?

Se si parla di club la Roma, ma il mio sogno più grande è quello di allenare la Nazionale durante un Mondiale.






Chi è secondo lei il migliore allenatore del momento? E il suo preferito?

Ci sono tantissimi allenatori bravi, ma se proprio devo dirne uno: Pep Guardiola. Ha vinto tutto ciò che c’è da vincere con squadre di club senza però mai modificare la sua filosofia di fare calcio. Il mio allenatore preferito è Luciano Spalletti.





Grazie   

a cura di Paolo Radi







24  11   2018 
(Tutti i diritti riservati)  





















venerdì 23 novembre 2018




PAOLO RADI  


PRESENTA 





10 DOMANDE 

A 


CARMINE PIROZZI 







 Carmine Pirozzi è nato a Napoli nel 1998 anni. Ha iniziato a 4 anni    a dare calci al pallone, poi ha frequentato la scuola di calcio Materdei, è rimasto sino alla categoria Giovanissimi, poi la scuola gli ha offerto la chance di giovare nell’Altovicentino che era in serie D, ci è rimasto un anno e mezzo, ha pure giocato nella Juniories Naz. Dove ha segnato 6 gol. Successivamente ho militato nella Paganese e feci un anno ad Ancona, nella Lega Pro (Beretti) ho giocato pure contro la sua città, il Fano. A causa di un infortunio al ginocchio sono stato fermo 8 mesi, a Napoli feci una scelta, quella di allenare nella mia scuola di calcio inziale. Vengo chiamato da altre squadre, sono che rinuncio a tutto perché il calcio l’avevo abbandonato. Quest’estate la chiamata di un grande direttore sportivo Antonio Gravagnoli mi ha dato la possibilità di rimettermi in pista. Ora gioco nell’Aurora Vodice Sabaudia (Promozione girone D). Il direttore è molto fiducioso in me e spero di poter realizzare le loro aspettative. Poi…vedremo!








La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

All’età di 4 anni, poi ho iniziato a frequentare la scuola di calcio Materdei. Il calcio per è tutto, passione e sacrificio.








Lei ha giocato in diverse squadre, a quale squadra è rimasto più legato?
   
   La squadra del cuore per il loro modo di concepire lo sport, è stata    la società dell’Altovicentino, dove sono rimasto un anno e mezzo.


Possiamo dire che ha iniziato molto giovane, se non avesse intrapreso quest’attività che cosa le sarebbe piaciuto fare, anche se vista la sua giovane età, può svolgere qualsiasi professione? 

   Visto che frequentavo l’Istituto Alberghiero, mi sarei diplomato e mi sarebbe piaciuto aprire un ristorante.


Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. Perché tutti provano a diventare calciatori?
    
Semplicemente perché tutte le famiglie vogliono che i propri figli pratichino come sport solo il calcio.






In che ruolo gioca? 

   Centrocampista.

Squadra italiana in cui le piacerebbe fare una splendida carriera? 

    Atalanta Calcio. 


Che cosa rappresenta per lei Napoli? 

   Napoli per me è una splendida cartolina, oltre ad essere una città  bellissima bisogna precisare che ci sono tanti calciatori di spessore.








Un suo difetto? 
  
   Difficile trovarlo!


Un suo pregio

   Ho entrambi i piedi buoni.


Messi, Maradona o Ronaldo? 

   Non ho dubbi, Maradona





Grazie   

a cura di Paolo Radi   





23  11   2018 
(Tutti i diritti riservati)