SEZIONE SPORT
Paolo Radi intervista
LORENZO
FANTOZZI
Lorenzo Fantozzi è un allenatore di calcio di Roma, e così si presenta ai lettori: “
“Lorenzo Fantozzi nato a Roma il 2 settembre 1999.
Sono cresciuto a Roma, nel quartiere di Cinecittà, sin da bambino ho sviluppato una forte passione per il calcio, grazie sicuramente a mio padre, anche lui amante da sempre di questo sport.
Contemporaneamente alla passione per il calcio, è nato e cresciuto sempre di più l’amore per la Roma, squadra di cui sono tifoso da che ho memoria e che mi accompagna tutt’oggi nella vita sportiva e non.
L’avventura come tecnico è iniziata quasi per gioco, ma con la consapevolezza che avrei fatto di tutto per farla andare nella giusta direzione.
Devo ringraziare Valerio D’Andrea (oggi allenatore dell’U14 dell’AS Roma) se ho l’opportunità di poter inseguire questo sogno, fu lui ad introdurmi in questo mondo quando non avevo neanche 19 anni, egli mi presentò ad una storica società di Roma, la Nuova Tor Tre Teste, una delle realtà dilettanti più importanti del nostro paese.
Da quel momento in poi non c’è stato giorno in cui la mia gioia nell’entrare in campo, non sia salita giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, partita dopo partita fino ad arrivare a qui, quasi 6 anni dopo, con la stessa passione del primo giorno.
Come detto in precedenza, la mia storia come tecnico prende vita nella società rossoblù di via dei Candiani, un posto a cui sarò per sempre legato, avendolo avuto come casa per quasi 4 anni, ma soprattutto per le persone che ho conosciuto, tecnici di una preparazione maniacale da cui ho rubato con gli occhi ogni giorno passato al loro fianco, e ai ragazzi che ho avuto il piacere, prima che l’onore di allenare.
Ho sempre svolto un duplice impegno nei miei anni da tecnico, sia con l’attività di base (scuola calcio) sia con i ragazzi più grandi dell’agonistica.
Questa simbiosi mi ha arricchito in modo esponenziale, avendo avuto modo e tempo per relazionarmi con tantissime personalità diverse, anagraficamente e caratterialmente.
Lavorare con i bambini è appagante come poche cose al mondo, a volte, mentre parliamo, ci guardano come se stessimo recitando il vangelo, come se avessimo tutte le verità del mondo in tasca; la realtà è però che credo di aver imparato più io da loro che viceversa in questi anni, attraverso i loro stati d’animo, le loro parole e paure, i loro sguardi e le loro necessità, mi hanno aperto gli occhi e fatto soffermare con molta più meticolosità nel capire cosa spinge le persone a relazionarsi in un determinato modo piuttosto che in un altro.
Al contempo, il lavoro con i ragazzi dell’agonistica è stato meraviglioso, tutti gli anni, nessuna esclusione.
Gli adolescenti di oggi sono scaltri, intelligenti e molto criptici, ma, per quanto se ne possa dire, ti danno tutto se sai prenderli per il verso giusto.
La soddisfazione più grande dopo tanti anni è incontrare ragazzi (diventati nel frattempo uomini) e vedere l’affetto che ancora ripongono per me, non credo ci sia nulla di più bello per un allenatore.
Lasciare un ragazzo di 15 anni e ritrovarne uno di 20 che vedendoti corre ad abbracciarti significa aver creato qualcosa, aver lasciato un po’ di te dentro di loro, aver fondato qualcosa che esula dal campo e da qualsiasi discorso tecnico.
Per tutto questo spazio non posso che ringraziare Marco Mei, tra i più forti allenatori della nostra regione, a cui ho avuto il piacere e l’onore di fare da collaboratore per 5 anni e che mi ha insegnato (insieme a Francesco di Leonardo, nostro storico prof) quasi tutto quello che so su questo “mestiere”, diventando per me negli anni, più che un collega, un secondo papà.
La mia esperienza alla Tor Tre Teste si interrompe, a malincuore, nel 2022, a causa di aspetti non legati al campo.
Mi sposto all’Urbetevere, altra società tra le più importanti a Roma, e con cui mi appresto a cominciare la terza stagione.
A questa società devo tanto, tantissimo: ho avuto l’opportunità di confrontarmi a livelli altissimi, contro realtà professionistiche, italiane e non solo, ho avuto ruoli di spicco e una considerazione mai ricevuta prima, ho sempre percepito una forte stima da parte dell’ambiente che mi ha fatto sentire importante come non credevo fosse possibile.
Negli ultimi due anni, ho poi, di fatto, completato le categorie che non avevo mai avuto l’occasione di allenare, portando il mio bagaglio tecnico ancora più in alto, e di questo non posso che esserne fiero.
Sono passato per ogni annata, dai piccoli amici ai pulcini, dai primi calci agli esordienti, dai giovanissimi agli allievi avendo un quadro molto più completo sul percorso che un bambino fa all’interno di una società sportiva.
Non so dove questo percorso mi porterà, ma sono sicuro che ne sarà valsa la pena, nonostante tutti i sacrifici prodotti finora e che farò in futuro per andare dietro ad una bellissima pazzia, ossia il calcio”.
La prima domanda è questa, per la terza stagione lei è all’Urbetevere, da come ho capito lei è molto soddisfatto di esserci, quali sono i motivi?
Assolutamente si, sono felice di poter continuare il mio percorso in questa società che ormai è diventata una famiglia dopo quasi tre anni.
Come detto in precedenza, in questo ambiente percepisco la stima e il bene da parte di tantissime persone, che non tardano mai nel farmi sentire apprezzato e ben voluto e non posso che esserne contento.
In questo ambiente, ormai saturo di addetti ai lavori, è comune vedersi come una goccia nell’oceano, una rotella del meccanismo e nulla più, sensazione che non ho mai provato da quando sono parte di questa società, dove i miei “colleghi”, oltre alle tante occasioni di confronto e crescita, non sono mai mancati nel farmi sentire estremamente stimato.
Lei abita a Roma e sin da piccolo sviluppa una forte passione per il calcio, le chiedo, possibile che non ci fosse un altro sport che la potesse appassionare? Eppure Roma offre quasi tutto dal punto di vista dello sport.
Sicuramente si, questo mondo è pieno di sport meravigliosi e stimolanti, ma se devo essere sincero, soprattutto da bambino, non c’era nulla che mi appassionasse quanto il calcio.
Provai ad interessarmi ad altro, ma il mio pensiero ricadeva sempre e solo sul pallone, non c’era nulla che mi piacesse più di vedere e giocare a calcio.
Con l’andare avanti degli anni, però, ho cominciato ad apprezzare anche altro, su tutto il tennis, di cui ormai sono follemente innamorato e di cui guardo davvero molto, anche e soprattutto per staccare un po’ dal mondo calcistico.
Da ragazzo ha frequentato qualche scuola calcio, ha giocato in qualche categoria?
Ho giocato in diverse società del mio quartiere fino all’adolescenza, salvo poi smettere un po’ prematuramente per vicissitudini extra campo.
Perché ha deciso a un certo punto della sua vita di diventare allenatore? Che cosa l’attira?
Scegliere una sola sfaccettatura di questo “mestiere” mi risulta davvero difficile, devo essere onesto.
Una delle cose che maggiormente apprezzo del fare il tecnico, è sicuramente la possibilità di esprimermi, prima come persona e poi come istruttore.
Vedere le proprie idee prendere forma e trasformarsi in qualcosa di reale, credo intrighi tanti e non solo il sottoscritto, questo, unito alla gioia di condividere con i ragazzi lo sport che amiamo, cercando di aiutarli a rincorrere un sogno non può che farci piacere.
Non è semplice allenare i bambini, credo che bisogna avere molta pazienza, lei in che maniera si rapporta a loro?
Penso che non esista una formula esatta che vale per tutto.
Ogni bambino ha delle necessità diverse, sta all’istruttore poi scegliere il miglior modo per rapportarcisi.
E invece con i ragazzi che tipo di rapporto istaura?
Io ho sempre cercato di creare rapporti amichevoli con tutti i ragazzi che ho allenato, dai più piccoli ai più grandi.
Credo che un ragazzo se trova un ambiente dove sa che è valorizzato, apprezzato e anche ascoltato se serve, può solo migliorare il lavoro che si svolgerà in campo.
Lei è mai capitato che qualche ragazzino le rispondesse in malo modo? Oppure i rapporti sono sempre improntati ad un dialogo costruttivo?
Certo, capita un po’ a tutti credo.
Ci vuole pazienza a volte, in altre occasioni serve essere un po’ più rigidi, ma alla base c’è sempre la ricerca del dialogo per comprendere le cause di alcuni comportamenti che non sappiamo spiegarci.
Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore?
Credo l’empatia, come dicevamo prima se i ragazzi comprendono che possono fidarsi di noi saranno ancora più spronati a lavorare poi in campo.
Che cosa le sta dando il calcio e che cosa le sta togliendo?
Mia ha dato veramente molto, dai rapporti umani creati al di là del campo alle esperienze bellissime anche fuori Roma, posso dirmi migliorato come tecnico e come persona.
Mi ha tolto sicuramente del tempo, questo vale per ogni attività se portata avanti con serietà, penso.
Il calcio italiano da diversi anni non fa altro che dare delle grosse delusioni, mi riferisco alla nazionale, l’ultimo europeo ne è un esempio. Qualcuno dice che sono troppo viziati, altri danno la colpa ai troppi giocatori stranieri, dove sta la verità secondo lei?
La verità sta sempre nel mezzo, non credo che ci sia qualcosa che incida più di altro, è il risultato di tanti fattori.
Non ho certamente le competenze per poter dire cosa non ha funzionato negli ultimi anni, penso però che i giocatori forti ancora ci siano anche nel nostro paese.
Un suo pregio e un suo difetto, dal punto di vista calcistico, sono evidenti?
Un aspetto che penso mi contraddistingua in campo è lo spirito con cui mi dedico a questa “professione”, metto tutto me stesso quando sono in campo. Lo ritengo certamente un pregio, al tempo stesso questa forte “presenza” a volte potrebbe risultare controproducente in alcune situazioni.
Il miglior allenatore in questo momento?
Ce ne sono davvero tanti bravi.
Dai più “rivoluzionari” ai più tradizionalisti, credo che, soprattutto in Europa, tanti tecnici, conosciuti e non meritino una menzione.
Al top non posso non mettere Ancelotti, sulla vetta del calcio mondiale da decenni ormai, penso non possa esimermi dal giudicarlo il più vincente, quantomeno, degli ultimi anni.
Insieme a lui metto sicuramente Klopp e Guardiola, due meravigliose sfaccettature del calcio moderno, una incentrata maggiormente sul sovrastare gli avversari da tutti i punti di vista, fisico e non, con palla e senza; l’altra con l’espressione più pura possibile di talento e pulizia tecnica, dalla qualità dei giocatori alla proposta sul campo.
Non dobbiamo, però, dimenticarci che anche nel nostro paese ci sono tanti allenatori davvero di qualità.
Ne potrei citare tantissimi: Spalletti, Conte, Inzaghi, De Zerbi, a questo punto devo dare una menzione d’onore per l’allenatore per cui stravedo e cioè: Gasperini, non so se qualcun’altro avrebbe potuto rendere l’Atalanta quella che è oggi, trovando ogni anno, sempre con giocatori nuovi e caratteristiche diverse, un modo per incastrare i tasselli e rendere la propria proposta funzionale e bella da vedere.
Snaturarsi senza perdere la propria indole, non c’è nulla che “salvi” un allenatore più di questo.
Se dovesse ricevere un’offerta da un club estero, partirebbe immediatamente oppure ci rifletterebbe un po’ su?
Bisogna sempre trovarcisi nelle situazioni, è chiaro.
Penso però che il confronto con “l’ignoto” ci faccia solo crescere, umanamente e professionalmente.
Certo, lasciare casa e i propri affetti non dev’essere una scelta facile da prendere, ma non mi precluderei nulla, in particolar modo in paesi che apprezzo al di la del calcio.
La sua famiglia l’ha sempre supportata durante questi anni, oppure le avrà detto la solita frase che spesso i genitori dicono: “Non sarebbe meglio che pensassi allo studio?”
Devo essere sincero, sono un ragazzo fortunato con una bella famiglia alle spalle.
Non posso che ringraziarli per avermi sempre supportato nel modo giusto, senza mai essere invadenti o poco rispettosi nei confronti di questa passione.
Un sogno per il futuro?
Sesso mi capita di sentire persone sostenere che faranno di tutto per non cambiare, per rimanere intatti e il più simili possibili alla propria versione originale.
Io la vedo in modo opposto, sinceramente.
Pur senza cambiare indole, credo che mutare, migliorarsi, aggiornarsi, sia alla base della propria crescita, lavorativa e non.
Ogni esperienza che viviamo ci cambia un pochino penso, ci smussa qualche angolo ancora troppo aguzzo, ci fa capire come comportarci in futuro, tutto ciò per fare in modo che qualcosa di spiacevole non capiti una seconda volta, insomma, vivere ci modifica in qualche modo, e io spero sempre di cambiare e di non rimanere la versione precedente di me stesso.
A chi vuoi dedicare questa intervista?
Non voglio dilungarmi troppo ma ce ne sarebbe bisogno date le tante persone che ogni giorno mi dimostrano il loro affetto.
Sicuramente alla mia famiglia, come detto prima, nel modo giusto, mi hanno sempre supportato e continuano a farlo tutt’oggi e non posso che ringraziarli per questo.
A tutti i miei amici, di cui non faccio i nomi, perché capiranno da soli, non so da quanti anni ormai mi sopportano, ben prima che arrivasse tutto questo (l’esperienza calcistica intendo), ci tengo a sottolineare che “non mancate mai nel dimostrarmi quanto ci teniate a me, nei momenti belli e brutti, nessuna differenza, sono veramente grado di avervi vicini”.
Ai miei “colleghi”, quelli diventati fratelli e confidenti, Luca, Alessio (x2), Nicolas, Fabrizio, Francesco, Marco, Niko, Gianni, a quelli le cui strade si sono divise sui campi, ma che non smettono di essere presenti nella mia vita, Mattia e Matteo, e ad Emiliano, non so dove sei, ma ti penso sempre e mi manchi amico mio.
Ultima ma non per importanza, Sabrina, la mia fidanzata, che mi ha odiato, per averle tenuto nascosto tutto, ma che merita di stare qui tanto quanto le altre persone precedentemente menzionate
.
Anche da lontano so che sei la mia tifosa numero uno, e lo so perché lo sei stata ancor prima che ci legassimo, grazie per ogni singolo incoraggiamento, dimostrazione di stima e parola di sostegno, sei davvero importante per me.
Grazie
29 08 2024
(Tutti i diritti riservati)
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