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sabato 8 marzo 2025

SEZIONE SPORT

 

 

 

 

Paolo Radi intervista

 

 

 

 

CARMINE

SALERNO

 

 

     



 


Carmine Salerno, classe 73 Di Gragnano (Napoli) è attualmente istruttore/mister presso FC Sabaudia (latina) Categoria esordienti 1° anno. Così ci si racconta:

 

Inizio a giocare all’età di 10 anni, mio padre è stato un grande calciatore, ha giocato al Savoia, a Gragnano a vinto tanti campionati, in Germania in serie C, in una città vicino a Francoforte, lo acquistarono in Italia e lo portarono in Germania, nasco da un papà che è stato un grandissimo calciatore, molto forte. 

 


Detto ciò all’età di 10 anni vado al Club Napoli di Castellamare di Stabia, è proprio qui che Donnarumma si è formato. Faccio tutta la trafila sino ai giovanissimi. Nell 86/87 vinciamo il campionato giovanissimi regionali dove incontro squadre quali: Avellino Salernitana Acerrana, Juve Stabia e il Napoli di Giovanotti, un calciatore di belle speranze come Fabio Cannavaro.

 

Appena compiuti i sedici anni passo nelle giovanili della Juve Stabia di Castellamare di Stabia, faccio il campionato con gli allievi, allievi nazionali, dopo di che a 17 anni la società sportiva Gragnano nasce di nuovo, l’SSC Gragnano, mio padre che ne faceva parte, era l’allenatore, mi volle in prestito. 

 


Partiamo dalla terza categoria, stagione 1990 1991, erano tutti giocatori del paese, vinciamo facilmente il campionato di terza categoria facilmente, passiamo in prima categoria, saltiamo la seconda perché acquisiamo un titolo vacante. Nella stagione 1991 -1992 in prima categoria vinciamo il campionato, poi 1992 – 1993 vinciamo il campionato di promozione, e poi ritorno all’A.C. Stabia che era diventata la seconda squadra di Castellamare di Stabia, la squadra faceva il campionato interregionale, faccio il percorso, tra gli Juniores prima squadra, faccio delle presenze nell’Interregionale, a metà campionato passo nuovamente in prestito al Gragnano che stava completando il campionato di promozione.

 

Vinciamo il campionato di promozione e passiamo in eccellenza. Nel ’93 e ’94 facciamo un bel campionato di eccellenza. A questo punto sono a un bivio, sono ancora dell’A.C Stabia che però in quel frangente è fallita, quindi essendo svincolato passo al Gragnano. Decido di andare a prestare servizio per il militare, la tentazione era quella di fare il gruppo atleti, ma sarei dovuto andare a giocare in serie C, all’epoca era il semiprofessionismo.

 

Però visto che non ero un grande fenomeno, potevo fare la serie D, ero il classico terzino, mediano, all’epoca così si chiamavano i giocatori, finché negli ultimi anni il calcio non si è un po’modernizzato e torno a fare il terzino destro fluidificante, libero non solo di marcare, ma anche di poter varcare la metà campo avversaria, non più il puro marcatore, ma quello che poteva dare un po’ di spinta in più visto che avevo una gran bella corsa, ero veloce, e dunque potevo sfruttare queste mie caratteristiche fisiche. 

 

Visto che avevo capito che non sarei potuto diventare il calciatore che avrei voluto essere, decido di intraprendere la carriera militare 

 

Continuo a giocare a calcio, perché vengo trasferito a Salerno e visto che la distanza era minima per andare a Gragnano, continuo a giocare in varie categorie, balzando dalla prima, all’eccellenza, alla promozione, ovviamente ero felice di giocare per il Gragnano, avrei dato anima e corpo pur di continuare a vestire quella maglia. Vado poi a giocare per il Sant’Antonio Abate, un’altra bella realtà della zona, sempre in promozione, sino a che non smetto nel 1995 di giocare. 

Poi mi sono dedicato anima e corpo alla mia attività, al mio lavoro, visto che sono sottufficiale dell’esercito. Ho vinto vari campionati seppur non di grande prestigio, annovero anche il campionato regionale scolastico, molto importante all’epoca. In Umbria ad esempio abbiamo fatto le fasi nazionali, dove giocai contro un ragazzo che si rivelerà essere un grande giocatore: Oscar Tacchi. All’epoca abbastanza famoso tra i campi della serie B e serie C. 

 

Negli ultimi anni dai quarant’anni in su mi sono dedicato, sempre nel calcio, nelle vesti di mister, istruttore, dapprima con le prime squadre, a Sabaudia, ho fatto il secondo sia in prima categoria, sia in promozione, ho fatto il secondo alle Juniores regionali del Sabaudia.

Poi però mi sono dedicato ai piccoli, ho una squadra di esordienti al primo anno con l’FC Sabaudia, che sta Borgovodice. A livello di marcature ho fatto pochi goal, 5 o 6 della mia carriera. Da allenatore ho vinto a livello nazionale la Coppa Esercito, allenando la squadra del Comaca, la finale è stata vinta a Roma, nello Stadio dell’Esercito. L’anno successivo siamo arrivati secondi perdendo la finale

 

A livello calcistico sono oramai che organizzo un evento di beneficienza, a Sabaudia allo stadio Fabiani, per quanto riguarda la ricerca sulla distrofia muscolare di Distrofia muscolare di Duchenne e Becker. L’incasso lo devolvo all’associazione Parent  Project  con sede a Roma. Negli anni come si evince dalle foto ho fatto venire la nazionale attori qui a Sabaudia, era presente fra i tanti attori Edoardo Leo, ha arbitrato Marinelli, (Serie A).

 

Infine ci tengo a precisare che a cavallo degli anni 90-91 e 91-92 per festeggiare le vittorie del campionato con la S.S.C. Gragnano discutiamo per 2 anni consecutivi amichevoli contro la nazionale militare di serie C.

Come allenatori ho avuto l’onore di essere allenato da personaggi del calibro come Gennaro Olivieri ex di Roma e Spal.

 

 

 


 

 

Come prima domanda le voglio fare questa, in che senso il calcio oggi è cambiato rispetto a ieri?

 

Il calcio si è trasformato rispetto a quando giocavo, una volta c’era l’attaccamento per la maglia, per la squadra della propria città, l’attaccamento era forte, quei valori si sono persi, oggi si pensa a giocare solo per i soldi, anche nelle categorie inferiori, oggi sento parlare di cifre che vanno dai 1600, 1000, 700 euro per offrire le proprie prestazioni sportive per la squadra per la quale bisogna indossare la maglia, sono cifre alte per certe categorie inferiori in qui questi valori dovrebbero primeggiare, vestire la maglia della propria città dovrebbe essere un onore. 

 

Oltre al rimborso spese non si dovrebbe pretendere chissà cosa, anche perché queste società tendono a sparire visto che i costi sono alti. Io mi ricordo che quando indossavo la maglia per la squadra del mio paese, era per motivo di orgoglio, si voleva primeggiare per portare in alto il nome della città in cui eri nato, l’ho fatto per il Gragnano, per il Sant’Antonio Abate, e per altre società.

 

Aggiungo, anche il modo di giocare è cambiato moltissimo, prima era molto più semplice, oggi il gioco del calcio è diventata una scienza complessa. 

 

Il modo di approccio alla partita è cambiato, oggi è diventata di moda la creazione di gioco dal basso, partendo dal portiere che deve sapere giocare con i piedi, deve passare la palla a destra e a sinistra per trovare questi fantomatici spazi da goal. Tutto ciò dal mio punto di vista porta danni, più che benefici, perché oggi la maggior parte dei goal nascono perché nascono da questa costruzione dal basso, si perde palla di fronte alla propria area di rigore e si finisce per subire goal senza nemmeno dare agli avversari la possibilità di crearsela l’opportunità di fare goal, ma gliela creiamo con questa ripartenza dal basso.



 




Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

 

Ho avuto la fortuna di avere mio papà, Luigi, che oggi non c’è più e che è stato fortissimo, peccato che io non abbia preso da lui e quindi la mia passione mi è stata trasmessa da lui, l’ho visto giocare quand’ero piccolo, era l’ultimo anno di carriera quando vinse il campionato con il Gragnano, aveva quarant’anni, il Gragnano andò all’interregionale, la squadra veniva dalla promozione. 

 

Giocava da libero, anche se lui era una mezz’ala. I festeggiamenti che ne seguirono mi fecero entrare dentro quella grande passione e negli l’ho coltivata quella grande passione, cercando di imitarlo. Ma tra me e lui c’era un abisso, lui aveva una tecnica sopraffine, aveva un piede destro che qualcuno paragonava al sinistro di Maradona. Le mie caratteristiche erano l’agonismo, la voglia di non mollare mai, la passione l’ho presa da lui, lui ad esempio ha girato grandi società, ha giocato nel Savoia, nel Gragnano che in quegli anni era una squadra formidabile, sino a che non è stato acquistato da una squadra di serie C in Germania, dato che noi avevamo dei parenti. 

 

Questi parenti vennero a trovarci con dei dirigenti di questa squadra tedesca, lo videro e lo vollero nel loro club. Noi infatti abbiamo vissuto un anno in Germania, peccato che ebbe un bruttissimo infortunio al perone sciolse il contratto così siamo dovuti tornare in Italia.




 





La sua decisione è stata influenzata dal fatto che suo papà è stato un bravissimo giocatore, oppure indipendentemente sarebbe diventato un calciatore comunque?

 

Fondamentalmente è stato papà ad indirizzarmi, ciò non toglie che ho amato questo sport si da quando ho iniziato a tirare due calci al pallone, comunque al di là del papà ho sempre giocato a calcio, l’ho sempre amato e l’amerò sempre, se mio padre non mi avesse influenzato avrei giocato a calcio ugualmente.

 

È legatissimo alla S.S. C. Gragnano,  sicuramente questo club deve aver qualcosa di particolare, che cosa? 

 

Questa società non c’è più, sono nato a Gragnano e per abitante della propria città indossare questa maglia è un orgoglio e un vanto. 

 

Non essendo un grande fenomeno mettevo nel giocare a calcio l’essere un gragnanese che è quella voglia di non mollare mia un centimetro, di lottare fino all’ultimo secondo della partita e sudare per portare la città di Gragnano il più in alto possibile. Nella mia città ho vinto tre campionati consecutivi, sino all’eccellenza, poi lì ci sono stati dei cambiamenti con un nuovo allenatore che puntò non più sul gruppo storico dei ragazzi della città, ma era interessato ad altro e qui entra in gioco il fattore economico. 

 

Gragnano resterà sempre nel mio cuore perché è la città dove sono nato, ci ho vissuto tanti anni, parte della mia famiglia vive ancora lì, è un legame indissolubile che porterò sempre dentro.







 


 

Suo padre era l’allenatore quando lei era al Gragnano, che tipo di rapporto c’era sul campo?

 

Mio padre ha allenato il Gragnano dopo il fallimento, alla guida entrò un ingegnere, (ma anche altri ingegneri) il signor Di Ruocco, con alcuni di Gragnano decisero di riportare il calcio, in una città che ha sempre vissuto di calcio.

 

Questa società nell’hinterland napoletano è sempre stata molto importante, (all’inizio si chiama Leonida Gragnano). Dunque mio padre diventa allenatore, mentre io all’inizio ero nella Juve Stabia e avevo appena compiuto 16 anni, avevamo appena vinto un campionato quello degli allievi regionali e avremmo dovuto fare le fasi regionali e decisi di e andai a iniziare il percorso nella terza categoria con il Gragnano appunto, anche se mio non era d’accordo. Per evitare ogni discussione mio padre non mi faceva giocare, anche se ero di un livello più alto rispetto a quelli che giocavano, perché aveva paura delle solite voci: “ Quello è il figlio dell’allenatore ecco perché gioca”.

 

 

Un giorno perdiamo uno scontro diretto con il San Gennariello Calcio, una squadra di Napoli, 3 a 0 finì la partita. Da quel momento in poi si vide costretto a mettermi in campo, da quel giorno in poi sino alla vittoria di campionato non sono più uscito dalla squadra. In prima categoria mio padre lasciò la guida per vicissitudini legati al fattore economico.

 

 Mio padre aveva un’idea, i dirigenti un’altra, mio padre voleva portare questo gruppo con pochi innesti mirati senza spendere tanto, il presidente, invece aveva delle ambizioni immediate, voleva vincere tutto e subito. Mio padre venne dirottato verso la Juniores e arrivò un altro allenatore. Il rapporto con papà è sempre stato un bel rapporto, io non lo vedevo in quelle vesti, per me era l’allenatore, era lui che comandava a livello calcistico. 

 

Anche se quando venne strattonato da un giocatore avversario, durante una partita, entrò in campo per difenderlo il figlio e non il giocatore.




 





Lei ha fatto pochi goal, si ricorda il migliore?

 

Di goal ne ho fatti pochi, 5 direi quello che ricordo di più è sicuramente quello che feci indossando la maglia del Gragnano, giocavamo contro il Terzigno e feci il goal del 4 a 0, con un tiro da dentro l’area in diagonale. 

 

È il primo goal che feci con il Gragnano e non avevo nemmeno 17 anni, poi ne feci un altro con la Gelbison con un tiro da fuori area, e non so nemmeno come riuscì a realizzarlo.

 






Nella sua carriera ha collezionato successi, ma anche qualche sconfitta, se dovesse fare un bilancio, come sarebbe, appunto questo bilancio? 

 

Bilancio positivo, ho vinto tanto rispetto alla mia carriera calcistica, ho vinto 4 campionati, un campionato regionale, da giocatore ho vinto un trofeo con a livello scolastico regionale, grande soddisfazione, per il primo anno la Campania è stata rappresentata dall’ITIS Renato Elia di Castellamare di Stabia, e abbiamo vinto la fase regionale. 

 

Anche da allenatore qualcosa sono riuscito a vincere, la Coppa Esercito, alla fine un bilancio più che positivo. Chiudo facendo presente questo: non sono mai retrocesso.

 

Quando lei giocava generalmente che ruolo aveva all’interno del gruppo, mi spiego ascoltava i consigli dei compagni, discuteva serenamente con loro, oppure tendeva a imporre la sua volontà?

 

La parola squadra significa far parte di un gruppo ed esserne completamente integrato, è importante dunque, creare un gruppo ben amalgamato, dove si lotta tutti assieme, se manca ciò il singolo riesce a primeggiare, mi piaceva molto ascoltare i compagni, i consigli di quelli più esperti di me, questo è successo anche quando ho indossato la fascia di capitano. L

 

La squadra viaggia in un corpo unico, ero un ragazzo socievole, aperto al dialogo, mi piaceva divertirmi, e far divertire, ero gioviale, nel campo mi trasformavo in un’altra persona. In conclusione nel gruppo è importante: ascoltare e farsi ascoltare.

 







Un suo pregio e un suo difetto (calcisticamente parlando)? 

 

Un mio pregio era quello di essere un combattente, uno che non mollava mai, davo il 110 per cento anche quando non stavo bene, il difetto? Non mi piaceva perdere, quando mi rendevo conto che stavamo perdendo, la lucidità mi andava via,  

 


 


Come mai ha intrapreso la carriera militare, era un suo sogno sin da bambino?

 

L’ho intrapresa quando ho capito che non avrei potuto raggiungere gli obiettivi calcistici che da bambino pensavo di avere. La carriera mi è sempre piaciuta perché da ragazzo ero interessato a quella vita avventurosa, fatta di rischi. 

 

La divisa dell’esercito e quella dei carabinieri le ho sempre amate e che un giorno mi sarebbe piaciuto indossare. Così quando ho avuto la possibilità ho fatto domanda per andare a fare parte del nucleo atleti e così sono riuscito ad entrare nell’esercito. Mi è piaciuto molto l’ambiente che sono a diventare, sottoufficiale dell’esercito.


 

Di Gennaro Olivieri che ricordo ha?

 

E’ stato un allenatore molto severo, però anche amichevole, difensore di grandissimo valore, tra l’altro aveva militato nella Roma, nella Spaal Verona, posso dire il prototipo di un difensore di un tempo, mi ha plasmato a livello calcistico, prima facendomi diventare terzino destro, inizialmente ero mediano, poi mi ha adattato a difensore centrale. Devo dire che mi ha insegnato molto a livello di tecnica, il terzino destro dell’epoca era in grado di svolgere un ruolo un po’ più offensivo, egli mi insegno che  ci si poteva  liberare da compiti di marcatura. 

 

In conclusione lo porterò sempre nel cuore, è stato il mio mentore e il mio più grande maestro. 


 

Perché ha deciso a un certo punto della sua vita di diventare allenatore? 

Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 


 

La decisione di allenare l’ho preso quando ho capito che non potevo calcare più i campi da gioco, in maniera attiva, cioè da giocatore. 

 

Il rettangolo di gioco ti provoca una malattia, non potevo stare lontano dal campo, cosi ho deciso di passare dall’altra parte, su “quella maledetta panchina”.

 

 La qualità principale di un allenatore non è facile da spiegare, esso sono molteplici, devi essere amico, complice, maestro, educatore, genitore, ne devi avere tanto di caratteristiche, devi mantenere un rapporto di stima reciproca, e far loro capire che alcuni limiti non vanno mai superati, si rischierebbe di entrare in una routine che farebbe male a tutti. E devi far capire cosa tu vuoi da loro, devi entrare nella loro testa e nel loro cuore.



 


 

 

Che cosa le sta dando il calcio e che cosa le sta togliendo? 

 

  Il calcio mi ha dato tanto, come conoscere molte persone, tante città diverse dalla mia, ho avuto tante amicizie, ho imparato tanto. Mi ha offerto la possibilità di competere a certi livelli, di mettermi in gioco e di dimostrare quello che posso fare. 

 

 A livello personale non mi toglie tanto, anzi stare nel campo di calcio quelle due ore “mi libera la testa” dai soliti problemi quotidiani, dal lavoro, dai problemi che possono sorgere a livello famigliare. Con un bambino che non sta tanto bene, l’allenamento mi fa distrarre un poco, in conclusione mi libera la mente.

 

 






Senta se lei domani ricevesse una proposta di fare l’allenatore fuori dall’Italia, e fuori dall’Europa, se la sentirebbe di lasciare il lavoro e di partire con la famiglia per una nuova avventura?

 

Sarebbe un sogno, difficile da realizzare, ho un bambino che quando manco non è felice, e perciò devo restare a casa per aiutarlo nelle attività quotidiane. Alla fine questo sogno  resterebbe tale e chiuso nel cassetto.

 

Un sogno per il futuro?

 

Sarebbe quello di avere delle strutture sempre più moderne, soprattutto per i bambini e ragazzi, io alleno i bambini e penso che allenerò sempre i bambini, o ragazzini, massimo 13, o 14 anni, perché il calcio sta diventando qualcosa di troppo serio, per questa età, si rincorre il risultato, la vittoria, si stanno perdendo alcuni valori che il calcio voleva dare, il calcio è gioco e molti educatori ed allenatori stanno perdendo alcuni valori. 

 

Il mio sogno è dunque quello che i bambini possano avere delle sedi attrezzate, affinché i ragazzi possano allenarsi sempre e divertirsi sempre, i campi non dovrebbero avere un manto sintetico, ma un manto erboso adeguato, inoltre ci vorrebbero dei campi coperti, perché quando piove spesso e volentieri i ragazzi sono costretti ad interrompere gli allenamenti.

 






A chi vorrebbe dedicare questa intervista?

 

Questa intervista è stata un viaggio a ritroso nel tempo, ci sono tre persone a cui la voglio dedicare, una è sicuramente mio papà che non c’è più, poi a Gennaro Ulivieri e alla mia famiglia, mia moglie e i miei figli, e infine avevo detto tre, ma ora sono quattro le dediche  perché la dedico anche a te che mi hai dato l’opportunità di ricordare i bei tempi. Grazie. 

 

Io la ringrazio per la dedica, è stato molto gentile.

 

 

 

 

 Grazie 

 

08 02    2025 

 

(Tutti i diritti riservati) 

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