di PAOLO RADI
CONVERSANDO DI CALCIO CON…
MANUEL
GOBBI
Manuel Gobbi giocatore e ora allenatore di Pavullo nel Frignano (Modena) così ci si presenta:
“Mi chiamo Manuel, ho 27 anni e sono nato a Modena ma cresciuto in un paese in provincia ai piedi dell'Appennino (Pavullo nel frignano).
Da ragazzo ho giocato a calcio (nel ruolo di portiere) solo in settori giovanili dilettantistici fino a 17 anni, poi ho esordito in Serie D con la Virtus Pavullese.
Ho giocato due anni in D poi ho militato tra promozione e prima categoria fino al 2016, successivamente mi sono laureato in Scienze Motorie all'università di Bologna (con una tesi di laurea che analizzava il modello di prestazione del portiere di calcio), per motivi di lavoro e studio ho smesso di giocare. Ho iniziato così nel 2016 ad allenare. Contemporaneamente iniziai (e da poco ho terminato) un percorso di studi in Osteopatia. Ho iniziato ad allenare in squadre dilettantistiche, sia come collaboratore tecnico, sia come allenatore portieri.
Fino al 2018 quando sono entrato nel Modena FC. Da allora alleno nel Modena FC, mi occupo di preparazione portieri -settore giovanile professionistico - (categoria U15) e allenatore di gruppi di bambini della scuola calcio dell’Accademy (portieri U12 e piccoli amici)”.
Il Covid ha stravolto le nostre vite, come ha vissuto questo lungo momento di pausa? Adesso ha ripreso a pieno ritmo la sua attività oppure per quello che riguarda i bambini della scuola calcio Accademy siete in pausa?
Non è stato facile, come credo per la maggior parte delle persone. Ci siamo ritrovati in mezzo a qualcosa che nessuno di noi si sarebbe mai aspettato, diciamo che è stato un periodo che ha cambiato molte cose della mia vita. Personalmente ho cercato di trovare ciò che di positivo ci poteva essere in questa situazione e devo dire che ho riscoperto l’importanza di alcuni aspetti della mia vita. Anche il calcio e lo sport ovviamente ne hanno risentito, soprattutto durante il primo anno di pandemia. Fortunatamente la scorsa stagione con il settore giovanile siamo quasi sempre riusciti a fare attività, seppur non giocando il campionato. Con i bambini dell’Academy abbiamo avuto qualche mese di stop dovuto alle zone rosse, ma ora fortunatamente ci alleniamo e giochiamo regolarmente. La società ha fatto un lavoro fantastico per permettere ai bambini di poter continuare a fare attività negli ultimi mesi.
Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?
Fin da bambino è stato lo sport che più mi appassionava. Andavo agli allenamenti e quando tornavo a casa continuavo a giocare con gli amici in cortile. È una passione che non si è indebolita negli anni, al contrario. Credo che chi ami questo sport, in un modo o nell’altro, lo porti con sé sempre.
I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, oppure le hanno detto la classica frase: “...non sarebbe meglio che pensassi allo studio?”
I miei genitori mi hanno sempre supportato e incoraggiato in ogni momento, anche quelli più difficili. Ovviamente la scuola è sempre stato un pilastro fondamentale della mia educazione, com’è giusto che sia per ogni ragazzo. Fortunatamente sono sempre riuscito a conciliare il calcio e lo studio, seppur non senza sacrifici. Tornassi indietro, rifarei le stesse cose.
Lei ha giocato in diverse squadre, a quale è rimasto più legato?
Sicuramente la squadra del mio esordio nel mondo dei grandi in Serie D, la Virtus Pavullese. Sono cresciuto nel loro settore giovanile fino ai Giovanissimi, sono ritornato in Juniores e lo stesso anno ho esordito in prima squadra. Giocare con la squadra della tua città in un campionato così importante è un’emozione forte. Ho tanti amici che hanno fatto parte di quella squadra in quegli anni, abbiamo condiviso momenti indelebili tra i quali ricordiamo sempre un’amichevole contro il Milan di Allegri a Milanello. Anche l’ultima squadra della mia carriera da giocatore è un ricordo speciale, una salvezza che a dicembre sembrava impossibile raggiunta a maggio con una giornata d’anticipo. Una grande emozione.
Oltre al calcio quali altri sport segue con grande interesse?
Non c’è uno sport in particolare. Dovessi sceglierne alcuni direi sicuramente tennis, pallavolo e i motori. Vivo a pochi chilometri da Maranello, sono cresciuto tifando Ferrari.
Come mai giuoca nel ruolo di portiere?
Fin da piccolo mi sono trovato a fare il portiere, probabilmente anche un po’ influenzato da mio padre che da ragazzo giocava a calcio nello stesso ruolo. Dico mi sono trovato perché è difficile sapere cosa mi abbia spinto davvero, penso che probabilmente essere un portiere non lo si possa scegliere, lo si sente dentro. È stato un ruolo che mi ha dato tanto crescendo. Chi gioca in porta sa quanto sia difficile farlo, quanto sia un ruolo di responsabilità e di grandi pressioni. Noi non abbiamo la gloria e la sfrontatezza degli attaccanti, abbiamo il sacrificio e la solitudine, forse però è proprio per questo che lo rende un ruolo unico.
Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore?
Ci sono tante caratteristiche che secondo me un buon allenatore dovrebbe avere: competenza, passione, empatia, resilienza, autorevolezza, apertura mentale. Potrei citarne tante altre ma credo che non esista la formula magica per essere un buon allenatore. Io credo molto nelle persone dietro i ruoli che ricoprono, nelle qualità umane oltre che tecniche, quindi forse per questo ti direi che in primis un buon allenatore dovrebbe essere coerente. Coerente con ciò che dice, coerente con ciò che è lui come persona. Essere se stessi, mostrarsi per ciò che si è veramente è il primo passo per conquistarsi la fiducia di un gruppo.
Per diventare un ottimo allenatore, oltre allo studio e alle varie abilitazioni, quanto è importante aver giocato calcio?
Non è fondamentale averlo fatto ma sicuramente ti può aiutare. Alcuni dettagli, alcune piccole cose riesci a coglierle meglio se fanno parte della tua esperienza personale, del tuo vissuto. Questo tante volte ti da una marcia in più.
Ti ispiri a qualche allenatore?
Non c’è un allenatore in particolare. Tanti grandi allenatori moderni diversi tra loro come Ancelotti, Mourinho, Klopp, Guardiola, Conte hanno caratteristiche che per chiunque sarebbero fonte d’ispirazione.
Ci può dire il suo più grande pregio e il suo più grande difetto – in campo calcistico – è ovvio
È una domanda a cui dovrebbero rispondere gli altri, non io. Tuttavia credo di essere un allenatore molto empatico, credo che gli insegnamenti vengano recepiti meglio e credo ci sia più disponibilità al sacrificio se dall’altra parte i ragazzi trovano una figura di riferimento che li sappia ascoltare oltre che dirigere. Credo questo possa però anche rappresentare un difetto se non dosato bene, bisogna essere bravi a bilanciare “carota e bastone” per avere la giusta autorevolezza.
Che cosa cerchi di trasmettere?
Passione innanzitutto, oltre che conoscenza tecnico tattica. I ragazzi di oggi sono diversi, hanno bisogno di trovare costantemente motivazioni e ispirazioni. Dobbiamo essere per loro un punto di riferimento, un esempio. I ragazzi di oggi tendono spesso ad abbattersi di fronte alle difficoltà o ai fallimenti, personalmente cerco di insegnargli ad essere positivi, a riconoscere ed accettare i fallimenti, trasformarli in opportunità e crescita. Anche per questo cerco di coinvolgerli e farli ragionare molto, c’è una frase di Socrate che mi ha sempre ispirato: “non posso insegnare niente a nessuno, posso solo cercare di farli riflettere”.
Se avesse la possibilità di tornare indietro, cambierebbe qualcosa, oppure è soddisfatto dei traguardi raggiunti?
Non cambierei nulla. Nel bene e nel male ciò che sono adesso è il risultato di quello che è stato prima. Se in un determinato momento della mia vita ho preso una decisione è stato perché, probabilmente, era quella che sentivo più giusta in quel momento per me.
Un sogno che vorrebbe che si realizzasse nell’immediato?
Più che un sogno realizzato mi piacerebbe, potessi scegliere, di riuscire a vivere sempre la vita con grande felicità. Nella società di oggi siamo sempre più occupati, stressati, miriamo a raggiungere traguardi e status sociali sempre più alti. Anziché ossessionarci con l’essere persone realizzate, dovremmo preoccuparci di più stare bene con noi stessi.
07 11 2021
(Tutti i diritti riservati)
Nessun commento:
Posta un commento