di PAOLO RADI
CONVERSANDO CON...
GENNARO
SILVESTRO
Gennaro Silvestro è nato a Napoli il 18 03 1982, classicisticamente si forma nella Damiano promotion di Carmine Tascone (noto talent scout nazionale), esordisce nei campionati dilettantistici a 16 anni in serie D per poi passare nelle fila dell Arzanese in eccellenza, rimane due anni “da protagonista” purtroppo un brutto infortunio alle ginocchia lo tiene fermo ai box per un po', riparte nel campionato di promozione dove vestirà le casacche dell’ Aversa e Trentola Ducenta.
Poi inizia un “girovagare” in prima categoria dove vince un campionato a Villa Literno. Ritorna in promozione per vestire le casacche dell’Ortese e Maddalonese, successivamente è in prima categoria dove è assoluto protagonista al Valle di Maddaloni Casagiove, al Casavatore, Scampia, Giugliano, Mondragone, Albanova per poi terminare la carriera al Cardito.
Attualmente ha intrapreso la carriera di allenatore tra le fila della Boys Caivanese dove nel’ anno appena concluso è stato vice- allenatore della prima squadra, quest’anno dirigerà in prima persona la Juniores della stessa Caivanese.
Lavora come infermiere presso l’Ospedale Monaldi di Napoli, reparto di fisiopatologia respiratoria diretto dal professore Giuseppe Fiorentino, e in questo brutto periodo è stato in prima linea a causa del Covid 19.
Come prima domanda le voglio fare questa, il mondo dello sport è stato stravolto, come ogni settore della vita, secondo lei, tutto tornerà come prima, oppure anche il calcio subirà dei cambiamenti?
La pandemia da Covid-19 ha determinato stravolgimenti in ogni ambito, in quanto, forse, non si era pronti ad affrontare e gestire nell’immediato una situazione del genere. Il mondo dello sport ed in particolare del calcio ha adottato misure cautelative per permettere almeno alle leghe superiori di terminare la stagione, ma inevitabilmente, con cambiamenti che si ripercuoteranno anche nelle prossime stagioni attraverso particolari riforme che coinvolgeranno tutte le categorie, e non so dunque se tutto potrà tornare come prima, penso di no.
Secondo lei c’erano le condizioni per far ripartire il campionato di serie A?
No, era più opportuno che il sistema calcio subisse uno stop forzato in quanto non vi sono le condizioni primarie per far si che si possa svolgere al meglio tale attività: basti pensare agli stadi chiusi al pubblico, gli assembramenti in campo, per no parlare delle condizioni fisiche non ottimali dei calciatori.
Purtroppo, e ribadisco purtroppo, la seria A e B sono le uniche macchine del sistema calcio a produrre ricchezza, pertanto hanno ritenuto opportuno che le stesse dovessero continuare in un modo o nell’altro per non rischiare di far fallire un sistema già debilitato e ridotto male, tutto questo a discapito delle altre categorie (dalla C alla terza categoria) che invece si son dovute accontentare di “chiudere i battenti”.
Le categorie minori sono state penalizzate, lo trova giusto? Possibile che non esisteva una soluzione per farle giocare, con le dovute precauzioni?
Mi riallaccio a quanto detto in precedenza: purtroppo le categorie minori non portano alcuna ricchezza al sistema calcio e di conseguenza si è ritenuto opportuno non far ripartire i campionati dilettantistici determinando una crisi generalizzata; tutto questo porterà alla scomparsa di molte società che non potranno iscriversi ai prossimi campionati e alla perdita economica per calciatori ed allenatori che si sono trovati senza percepire stipendi e/o rimborsi. Quindi credo che come si è provveduto a far ripartire la serie A, doveva ripartire anche il mondo dilettantistico, anche se ritengo sarebbe stato più opportuno bloccare tutto.
Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?
Praticamente da sempre: ricordo che già all’età di 3 anni scalpitavo per giocare in strada tra i ragazzini più grandi di me affascinato da quella sfera che dovevo scagliare tra due pietre che delimitavano la porta per poter gridare “goooool”. A 6 anni già iniziai a calcare i primi campetti di calcio fino poi ad intraprendere la carriera agonistica (sempre a livello dilettantistico) che è terminata all’età di 34 anni, oggi a 38 faccio l’allenatore.
I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, oppure le hanno detto la classica frase: “...non sarebbe meglio che pensassi allo studio?”
Ho avuto la fortuna di avere due genitori splendidi che hanno sempre assecondato la mia passione per il calcio anche perché a scuola ero uno studente modello quindi riuscivo a conciliare studio e calcio tranquillamente, senza mai far prevaricare la passione alla formazione scolastica. Mio padre stato il mio primo tifoso (purtroppo è scomparso 26 anni fa ed era molto giovane) e ricordo con orgoglio che mi diceva che ero un bravo calciatore, inoltre lo rendevo felice perché a scuola avevo sempre il massimo dei voti.
Vederlo sorridere mi riempiva il cuore, poi quando avevo solo 12 anni se n’ è andato per sempre non scorgere più il suo sguardo a bordo campo mentre tutti gli altri papà incitavano i figli, mi lasciava pensare cosa sarebbe stato se lui fosse li accanto a me.
Forse potevo dare di più al calcio però sono orgoglioso di ciò che sono ora.
Lei abita vicino a Napoli e le occasioni per praticare altri sport non le mancano, possibile che non ci sia stata qualcun’altra attività agonistica che potesse interessarla?
A Napoli si vive e si muore di calcio (inteso come passione), infatti e di ragazzini ancora oggi a tirare calci ad un pallone in ogni angolo di strada sognando Maradona… poi venendo da una famiglia di calciatori, era inevitabile coltivare tale passione, se non avessi avuto la passione per il calcio mi sarebbe piaciuto diventare un podista o un ciclista.
Quanto crede che sia importate avere una buona cultura per frequentare il “mondo del calcio”?
Credo che una buona cultura , ma aggiungo anche una buona educazione, siano le prerogative per frequentare qualsiasi ambito, anche nel calcio se non hai queste caratteristiche sarai sempre limitato perché non avrai mai margini di crescita tali da poterti affermare.
Lei ha giocato in tantissime squadre, a quale è rimasto più legato?
Beh sarebbe riduttivo sceglierne una piuttosto che un’altra, fortunatamente ovunque abbia giocato ho sempre lasciato un buon ricordo di me prima come uomo e poi come calciatore, mi lego molto alle persone con cui ho trascorso dei periodi insieme, quindi ogni squadra o società dove ho militato ha sempre lasciato un ricordo indelebile nel mio cuore, oggi faccio parte della famiglia della boys caivanese, pertanto il mio pensiero è rivolto esclusivamente verso i colori giallo-verdi.
Ad un certo punto lei decide di diventare allenatore, come mai questa scelta?
Il mondo del calcio mi ha sempre appassionato. Sono un “malato di calcio” e come tale non potevo starne fuori una volta appeso le scarpette ai chiodi, ho scelto di fare l’allenatore perché già in campo mi sono sempre definito un allenatore, ho sempre avuto quella capacità di guidare i miei compagni, e di ciò se ne è accorto il mio attuale direttore sportivo insieme al resto della società che mi hanno dato l’opportunità di intraprendere questa avventura facendo leva sulla mia passione e sulle mie esperienze di campo.
Sino adesso con buoni risultati, spero sempre di poter ricambiare tale fiducia.
Lei giocava nel ruolo di?
Ero un centrocampista centrale, il classico regista davanti la difesa, anche se molte volte ho giocato da mezzala perché adoravo inserirmi e farmi trovare pronto sotto porta.
Il tuo goal più bello?
Ce ne sono stati più di uno, ricordo un 5 a 0 dove feci una tripletta su calcio di punizione (tutti a tre su calcio piazzato), ma forse il più bello fu quello contro l’Ischia (io militavo nell’arzanese)in eccellenza, su un cross dalla sinistra al volo, da fuori area, calciai di destro sul palo opposto al portiere insaccando la palla all’incrocio dei pali.
Da allenatore alla fine di una partita, ripensa a quello che avrebbe potuto fare di per la preparazione oppure gira pagina e si prepara alla prossima?
Sinceramente solo per un po’, già sono proiettato verso il prossimo incontro.
Che cosa le ha dato il calcio e che cosa forse le sta togliendo?
Il calcio mi ha dato tanto mi ha insegnato soprattutto l’importanza di far parte di un gruppo, mi ha fatto capire quanto sia importante la forza che può generarsi dal condividere la stessa passione. Forse mi sta togliendo solo un po’ di tempo da trascorrere con i miei affetti, ma fa parte del gioco e di ciò ne sono sempre stato cosciente.
Il suo più grande difetto da allenatore?
A volte i miei giocatori mi rimproverano di essere molto “martellante”.
Ovviamente il suo più grande pregio?
Di essere molto diretto, di dire sempre ciò che penso... e di avere sempre un dialogo con i miei calciatori.
Qual è la qualità principale che deve avere un allenatore?
Deve saper creare gestire e fortificare il gruppo, la forza di un allenatore è saper trasmettere l’importanza del concetto di squadra perché il calcio non è uno sport individuale.
Se dovesse descrivere sé stesso con poche parole, che cosa direbbe?
Che sono un sognatore, spero sempre che ogni giorno possa regalarmi un sorriso
Quanto è importante la famiglia per lei?
La famiglia è alla base della nostra cultura, soprattutto noi qui al sud abbiamo sempre privilegiato il concetto di unione di stabilità di affetto, che credo sia fondamentale per instaurare qualsiasi tipo di rapporto. La famiglia quando è unita e ti è accanto è la migliore arma per far fronte a qualsiasi difficoltà.
Gli amici che ruolo ricoprono nella sua vita quotidiana?
Gli amici sono un altro punto cardine della mia vita, perché sono coloro che insieme alla famiglia riempiono i momenti di solitudine e sono sempre pronti a darti una mano, ovviamente parlo di quelli veri di quelli che senza interessi ti sono vicini con tutto il loro affetto. Di solito sono sempre pochi.
In questo brutto periodo che stiamo vivendo lei sicuramente avrà fatto diversi straordinari presso l’Ospedale dove lei lavora, come ha vissuto questi momenti? Infine tutto ritornerà come prima?
Sì, prima di essere un allenatore sono un infermiere e lavoro presso il reparto di fisiopatologia e riabilitazione respiratoria dell’ospedale Monaldi di Napoli.
Questo per noi tutti infermieri è stato un periodo di duro lavoro dove i turni massacranti spesso non ci davano neanche l’opportunità di tornare a casa dalle nostre famiglie, sono stati davvero momenti duri e difficili, ma ciò non ci ha destabilizzati in quanto è il nostro lavoro e l’abbiamo scelto per essere vicino alle persone che soffrono, con tutti i rischi del caso, sono orgoglioso e contento di ciò che sono e continuo a fare nell’ambito del mio lavoro. Certamente la fase critica è ormai alle spalle ma bisogna sempre stare in allerta in quanto l’evoluzione di questo virus è ancora imprevedibile. Tornare a come si stava prima? Non so... il mondo è in continua evoluzione e questa pandemia è stata un duro banco di prova, credo che inevitabilmente il mondo sia destinato a cambiare: speriamo in meglio!
Grazie
a cura di Paolo Radi
06 07 2020
(Tutti i diritti riservati)
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