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mercoledì 1 maggio 2019


PAOLO RADI PRESENTA    








10 DOMANDE 


A  

FACUNDO GANCI 







 Facundo Ganci è di Buenos Aires, ha circa 30 anni e da 8 anni (grazie al fatto che i suoi bisnonni erano italiani) ha la doppia cittadinanza. Nella capitale argentina giocava nella Primera B Metropolitana (la nostra Lega Pro). All’età di 22 anni si traferisce in Italia ottenendo un primo contratto nel Brindisi calcio, gioca successivamente in altre quattro squadre, da due anni gioca per il Fasano calcio.  (BR).

Abita a Fasano è sposato ed è padre di due bambini. Noi gli abbiamo rivolto le nostre 10 domande.






La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Sinceramente non mi ricordo un periodo della mia vita senza avere un pallone da calcio vicino. Fin da quando ho memoria sono sempre stato appassionato di calcio, giocavo a casa, a scuola nei momenti di ricreazione, per strada…ogni cosa che trovavo per terra lo facevo diventare un pallone e lo portavo a calci. Infatti mia madre si arrabbiava sempre e invece mio padre era felice perché anche lui ha questa passione.



Se non avesse scelto il calcio, quale altro sport le sarebbe piaciuto praticare? 

Mi piace molto il Paddle. Da più piccolo ero molto bravo, ci andavo a giocare spesso con mio padre, mio fratello e con alcuni amici. Adesso sono anni che non lo pratico, in Italia poi non è uno sport molto conosciuto. 







Lei è nato in Argentina, di conseguenza la domanda è pertinente, che differenza c’è tra il calcio argentino e quello italiano? 

La differenza principale si trova in alcuni concetti fondamentali, in Italia si da priorità alla tattica, se non sei bravo tatticamente non puoi giocare nel calcio italiano. Invece in Argentina si dà molta più libertà tattica ai calciatori, quello che conta è la tecnica individuale. Per questo ci sono tanti calciatori argentini che non si sono adattati al calcio italiano, sono andati ad altri campionati e hanno fatto molto bene. Non è facile giocare qui in Italia, ma a me piace e mi trovo benissimo. 



Lei da 8 anni è cittadina italiano, che cosa le manca dell’Argentina, inoltre quando è arrivato in Italia si è ambientato bene oppure ha avuto qualche difficoltà? 

Dall’Argentina mi mancano: la mia famiglia e i miei amici. Poi per il resto l’Italia è molto simile, sia nel cibo che nelle abitudini; di conseguenza, con mia moglie ci siamo ambientati subito, proprio per questo motivo. 









Che cosa le ha dato il calcio e che cosa le ha tolto? 

Sicuramente mi ha dato tanto e sono sicuro che continuerà a darmi, appunto, tanto. È il mio lavoro, quindi la mia famiglia vive di calcio e per me è un piacere poter essere un calciatore.

Poi sicuramente qualcosa me la toglie, il fatto di essere lontano dai parenti e gli amici, un po’ si soffre. Quando ero piccolo molte volte non potevo andare ai compleanni degli amici perché dovevo giocare la mattina dopo, oppure  ho dovuto rinunciare alle gite scolastiche per non mancare agli allenamenti.



Squadra italiana in cui le piacerebbe giocare? 
Napoli.






Un suo pregio? 
Perseverante.


Un suo difetto? 
Mi arrabbio molto facilmente.
   




     Che cosa rappresenta la famiglia per lei?
     Tutto. Per me è la cosa più importante.



Ultima domanda, Maradona o Messi due campioni che hanno caratteristiche differenti, quali sono le loro differenze; lei chi preferisce dei due? 

Io preferisco Messi. Per una questione di principi, non solo è uno dei calciatori più forti della storia, è anche una brava persona e fa una vita tranquilla, si vede che è un uomo di famiglia. Maradona secondo me è il calciatore più forte in assoluto della storia, ma non condivido tante cose che ha fatto nella sua vita, sento che non mi rappresenta come calciatore. 



Grazie

a cura di Paolo Radi   





01    05   2019 
(Tutti i diritti riservati)  






























domenica 7 aprile 2019




PAOLO RADI PRESENTA    








 FRAMMENTI DI VITA DI

UN 

GIOVANE 

GIOCATORE


di Raffaele Selva 


  


Mi chiamo Raffaele Selva, sono nato e cresciuto a Scampia in una quartiere che è difficile vivere, ma soprattutto crescere, ringrazio mia madre che mi ha cresciuto con dei sani principi.


All’ età di 11 anni mi prese il Napoli è da lì come ogni bambino che ha dei sogni ho iniziato a crederci anche perché ero abbastanza bravo. Sono cresciuto con il settore giovanile del Napoli fino ad arrivare in primavera; il mio entusiasmo era alle stelle poi come tutte le cose belle venne la fine.  A me servivano i soldi per mantenermi e mio cugino mi propose di andare in prestito con Frattense. 



 Mi davano 400 euro al mese e fu il mio primo stipendio da calciatore, però non calcolai che non potevo mai giocare essendo il essendo il mio primo anno nell’ under; c’erano tre over in attacco e il mister preferiva loro anche se quando subentravo facevo delle buone prestazioni. Però il mister non mi faceva giocare questo perché i ragazzi erano di proprietà della Frattense mentre io ero solo in prestito dal Napoli è non mi valorizzavano.








Poi andai a Nola ma lo stesso non giocavo e non capivo il perché, stavo vedendo la mia intera vita fatta di sacrifici svanire nel nulla così dopo 4 mesi decisi di farmi svincolare e provare ad andare a giocare fuori dalla Campania, infatti mi sono trasferito in Toscana con la Bucinese squadra d eccellenza, lì ho giocato e fatto gol, ma in 4 mesi “non ti vede nessuno” specialmente se sei napoletano e vai fuori ti guardano “tutti male”.



Deluso decisi di smettere con il calcio, un giorno mi telefonò un mio amico che mi fece conoscere il direttore Antonio Gravagnoli, mi propose di andare nelle squadre di nome Aurora Vodice Sabaudia, il club si trova vicino a Roma. Mi disse che avrei guadagnato qualcosa, ma dovevo però scendere in prima categoria e vincere 2 campionati di seguito.



Infatti vincemmo il campionato, ma quello dopo iniziò con tante sconfitte perché la squadra non fu impostata per vincere prendevamo tanti gol. Capii che se volevo rimanere nell’ambiente calcistico avrei dovuto lavorare la notte, ed è quello che feci. Facevo il turno di notte in una sala slot,  era molto duro per me perché dopo aver fatto la notte mi mettevo in macchina o in treno e andavo a giocare  senza dormire, era troppo faticoso. decisi di andarmene da Sabaudia per approdare al Procida calcio.



 Lì ho iniziato bene giocando subito da titolare, poi il rapporto che avevo con il Mister si è interrotto, non mi stava facendo più giocare.



 La scorsa domenica scorsa mi ha messo il numero 10 sulla maglia e mi ha fatto giocare, non ho fatto goal però mi sono messo a disposizione della squadra. Continuo a lavorare tutte le notti. 









 Lavoro “corro come un dannato per poi andare ad allenarmi” perché io nella mia vita non ho mai mollato mi reputo un guerriero, ho lottato sempre nella mia vita fin da bambino ora sono tanti i sacrifici che sto facendo, ma non mollo sono sempre più consapevole delle mie capacità e delle  le mie qualità che in pochi hanno in queste categoria;  mi serve solo un po’ di fortuna!




 Grazie 


a cura di Paolo Radi   



07    04    2019
(Tutti i diritti riservati)  





























sabato 6 aprile 2019




PAOLO RADI PRESENTA    







CONVERSAZIONE CON 



UN MUGNANESE DOC!



BIAGIO SEQUINO






Biagio Sequino è nato il 08/04/1994 a Mugnano dall’età di sette età di 7 anni fino ai 14 sono stato nel settore giovanili della scuola calcio amici di Mugnano dove ho avuto la fortuna di vincere un campionato nazionale a Legnano Sabbiadoro nelle fasi finali CSI. 
Poi ho militato due anni negli allievi nazionali con l’ex Neapolis Mugnano. 

Successivamente ho girato in promozione due anni con il Mugnano city a cui ho legato molto essendo mugnanese. Poi al Don Guanella Scampia che è ora in promozione, successivamente con il   Qualiano ho fatto un grande campionato da protagonista in prima categoria. Ho ricevuto tante chiamate per un campionato di vertice, ma ho scelto il gruppo e gli amici di sempre, infatti quest’ anno sono partito per una nuova avventura con la Puteolana, (promozione) ma poi per lavoro in aeronautica mi sono dovuto fermare.
Mi sto allenando   a Montichiari qui a Brescia che è una bellissima società e per il futuro vedremo…









    Signor Biagio Sequino, la prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione

Beh la mia famiglia è molto numerosa, amante del calcio. Quindi sin da piccolo ho capito che sarebbe stata per me una passione...







Lei ha giocato in diverse squadre, le possiamo chiedere in quale si è trovato meglio e perché? 

Devo essere sincero mi sono trovato bene in tutte le squadre ma essendo mugnanese... quando ero al Mugnano city mi sentivo a casa. Sentivo le partite diversamente, in conclusione ho dei ricordi bellissimi.




    Possiamo dire che ha iniziato molto giovane, se non avesse intrapreso quest’attività che cosa le sarebbe piaciuto fare, anche se vista la sua giovane età, può svolgere qualsiasi professione? 

Da bambino tutti sognano di diventare un calciatore...ed anche io l’ho sognato. Ma la vita militare ho sempre pensato che sarebbe stata una buona scelta per la mia vita. 


Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. Per lei invece cosa rappresenta?

Il calcio per me rappresenta...passione, amicizia, emozioni.




Abbiamo saputo che lei ha ricevuto tante chiamate da diverse squadre, perché le ha rifiutate? 

Perché sono stato sempre Molto legato al gruppo e alle società. E io sono uno che ci tiene al gruppo. Sai quando stai bene con gli altri penso non ci sia cosa più bella. Quindi difficilmente riesci a lasciare la squadra. 




 Che cosa rappresenta Mugnano per lei?

Mugnano è il mio paese. Ho trascorso gli anni più belli all’Alberto Vallefuoco dai tempi della scuola calcio amici di Mugnano…con il presidente Antonio Miluccio un pilastro del calcio mugnanese che poi l’ho ritrovato come direttore al Mugnano city in quei due anni di promozione dove abbiamo compiuto dei miracoli sportivi...ed oggi mi fa male vedere che Mugnano non ha una squadra della città.  on uno stadio del genere.



 Tratto principale del suo carattere? 

Tratto principale del mio carattere l’umiltà. Mi sento di essere una persona molto umile. Non mi sono mai sentito di vantarmi per aver fatto cosa poi…In fin dei conti sono un calciatore dilettante che si diverte con questa passione da sempre.








Ultima domanda, che cosa rappresenta per lei l’amicizia? 

L’ amicizia come nella vita anche nel calcio per me è la cosa fondamentale che metto al primo posto. ripeto quando sei sereno con gli altri tutto è più leggero, ti senti bene con il gruppo e con te stesso.





 Grazie   

a cura di Paolo Radi   





    06    04    2019
(Tutti i diritti riservati)  

giovedì 4 aprile 2019



PAOLO RADI PRESENTA    










C O N V E R S A Z I O N E  


CON  


GIANLUCA CIPOLLETTA 















Gianluca Cipolletta talento napoletano classe 1983. La sua storia é simile a quella di tanti altri scugnizzi di una delle città più belle e difficili del mondo, inizia ovviamente con un pallone come giocattolo preferito.
 Un gioco si ma che negli anni diventa una passione e addirittura una ragione di vita. Gianluca tra le strade di Napoli cresce, gioca, si diverte e fa divertire tanti altri con le sue giocate da vero predestinato, si perché chiunque l’abbia visto da bambino avrebbe giurato che un giorno quel ragazzino avrebbe calcato grandi palcoscenici. 
A 13 anni entra a far parte delle giovanili del Napoli ma appena un anno dopo viene a mancare il suo più grande tifoso, il suo papà.
 Da lì in poi diventa tutto più difficile, camminare da solo per un ragazzino di quel’ età non e facile, a 16 anni lascia Napoli, direzione Siena all’ epoca militante in serie C1, il suo talento ed i suoi piedi gli permettono di girare e di farsi apprezzare ovunque, ma senza una vera guida le scelte si sbagliano e si commettono errori ai quali non sempre è concesso recuperare. 
Cosi torna in Campania e inizia il suo girovagare tra i dilettanti (Terzigno, Angri, Ercolanese, Portici, Serino, Sanseverinese) per citarne alcune. 






Oggi Gianluca lavora e gioca, gioca ancora a calcio quel calcio che lo ha tenuto lontano dalla strada e al quale lui ha giurato eterno amore a prescindere dalla fama o dalla categoria. Beh un campione mancato dicono tutti quelli che lo hanno visto giocare nei campetti della città con il suo N.10 sulle spalle, e nei quali Gianluca si è fatto amare ed osannare al punto di essere diventato una favola metropolitana. Lui però non ha rimpianti, è felice della sua vita e oggi a 36 anni è sposato con Lucia e papà di 2 figli maschi Vincenzo e Thomas, magari chissà il destino ha ancora in serbo qualcosa...










La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Prima era molto diverso da oggi, non esistevano tutti questi videogame, tablet o smartphone, ai miei tempi si usciva di primo pomeriggio e si rientrava quando faceva buio e la maggior parte del tempo si passava a giocare a pallone. Quindi sin da piccolissimo. 




A tredici anni viene a mancare suo padre, quanto crede che abbia influito questo evento nella sua potenziale carriera. 

Beh perdere un genitore a quell’ età credo sia evento drammatico a prescindere da tutto, mio padre per me e per la mia famiglia era tutto. La mia casa da quel giorno ha vissuto momenti veramente difficili e di conseguenza la mia vita, questo sia nel quotidiano che soprattutto nel calcio. 







Diventare calciatore e il sogno di ogni bambino, a Napoli poi e visto anche come un mezzo per fuggire dalla criminalità e povertà? 


Beh a Napoli si vive calcio, si respira calcio, in ogni vicolo trovi porte disegnate sui muri...è proprio li che nasce la vera passione quella senza interessi fatta solo di divertimento ed amore per questo sport. 
Poi riuscire a farcela e un discorso a parte che non è sempre frutto del merito, purtroppo non basta essere bravi. 


Cosa credi ti sia mancato per arrivare più in alto. 

Mah non saprei, non è nel mio carattere addebitare alla sfortuna oppure al destino colpe che magari ho io, forse non ero poi così bravo come mi descrivono. Ma uno dei motivi per cui ho fatto fatica e stato sicuramente che non sono mai voluto scendere a compromessi con nessuno e questo mondo a tutt’oggi e a tutti livelli si mantiene solo su quello. 









Hai sempre giocato con la maglia N 10 ma qual è il vero tuo ruolo in campo?

Si ho sempre indossato quel numero, diciamo che almeno prima il N.10 era sinonimo di talento quando la numerazione era 1-11 ogni numero aveva un significato e caratteristiche specifiche e quasi tutti aspiravano al N 10 che poi a Napoli e stata indossata dal più forte della storia. 


Il tuo goal più bello?

Più bello non saprei...non ho mai avuto l’etichetta di bomber, mi e anche sempre piaciuto far fare goal agli altri, ma tra i goal che ho fatto ne ricordo qualcuno per emozioni che mi ha regalato come uno da centrocampo quasi al 90'.








Dopo tanti anni di calcio giocato cosa ti ha lasciato questo sport.

Direi i rapporti umani che ho costruito   negli anni in cui ho giocato, la cosa più bella che porterò con me sono gli amici  veri che ho avuto la fortuna di conoscere.


Cosa ti ha tolto invece il calcio?

Tolto non saprei, certo nel mio piccolo qualche sacrificio l’ho fatto, ma rifarei tutto nello stesso identico modo. 









Hai due figli, farai ripercorrere la tua stessa strada anche a loro? 

Non voglio influenzare i miei figli su che strada intraprendere, sarò sempre al loro fianco qualsiasi passione abbiano, ma di certo non mi dispiacerebbe seguirli su un campo da calcio.


In ultimo un consiglio da dare ai più giovani.

Oggi e difficile consigliare i giovani, ascoltano poco, io li vivo negli spogliatoi ed il loro atteggiamento e troppo influenzato da quello che vedono in TV o sui social, pensano troppo alla forma e poco al contenuto, ed è proprio questo che mi sento di dirli: “cercate di lavorare sul campo e non sugli smartphone”.











Grazie   

a cura di Paolo Radi   


04    04   2019 
(Tutti i diritti riservati)