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giovedì 4 aprile 2019



PAOLO RADI PRESENTA    










C O N V E R S A Z I O N E  


CON  


GIANLUCA CIPOLLETTA 















Gianluca Cipolletta talento napoletano classe 1983. La sua storia é simile a quella di tanti altri scugnizzi di una delle città più belle e difficili del mondo, inizia ovviamente con un pallone come giocattolo preferito.
 Un gioco si ma che negli anni diventa una passione e addirittura una ragione di vita. Gianluca tra le strade di Napoli cresce, gioca, si diverte e fa divertire tanti altri con le sue giocate da vero predestinato, si perché chiunque l’abbia visto da bambino avrebbe giurato che un giorno quel ragazzino avrebbe calcato grandi palcoscenici. 
A 13 anni entra a far parte delle giovanili del Napoli ma appena un anno dopo viene a mancare il suo più grande tifoso, il suo papà.
 Da lì in poi diventa tutto più difficile, camminare da solo per un ragazzino di quel’ età non e facile, a 16 anni lascia Napoli, direzione Siena all’ epoca militante in serie C1, il suo talento ed i suoi piedi gli permettono di girare e di farsi apprezzare ovunque, ma senza una vera guida le scelte si sbagliano e si commettono errori ai quali non sempre è concesso recuperare. 
Cosi torna in Campania e inizia il suo girovagare tra i dilettanti (Terzigno, Angri, Ercolanese, Portici, Serino, Sanseverinese) per citarne alcune. 






Oggi Gianluca lavora e gioca, gioca ancora a calcio quel calcio che lo ha tenuto lontano dalla strada e al quale lui ha giurato eterno amore a prescindere dalla fama o dalla categoria. Beh un campione mancato dicono tutti quelli che lo hanno visto giocare nei campetti della città con il suo N.10 sulle spalle, e nei quali Gianluca si è fatto amare ed osannare al punto di essere diventato una favola metropolitana. Lui però non ha rimpianti, è felice della sua vita e oggi a 36 anni è sposato con Lucia e papà di 2 figli maschi Vincenzo e Thomas, magari chissà il destino ha ancora in serbo qualcosa...










La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Prima era molto diverso da oggi, non esistevano tutti questi videogame, tablet o smartphone, ai miei tempi si usciva di primo pomeriggio e si rientrava quando faceva buio e la maggior parte del tempo si passava a giocare a pallone. Quindi sin da piccolissimo. 




A tredici anni viene a mancare suo padre, quanto crede che abbia influito questo evento nella sua potenziale carriera. 

Beh perdere un genitore a quell’ età credo sia evento drammatico a prescindere da tutto, mio padre per me e per la mia famiglia era tutto. La mia casa da quel giorno ha vissuto momenti veramente difficili e di conseguenza la mia vita, questo sia nel quotidiano che soprattutto nel calcio. 







Diventare calciatore e il sogno di ogni bambino, a Napoli poi e visto anche come un mezzo per fuggire dalla criminalità e povertà? 


Beh a Napoli si vive calcio, si respira calcio, in ogni vicolo trovi porte disegnate sui muri...è proprio li che nasce la vera passione quella senza interessi fatta solo di divertimento ed amore per questo sport. 
Poi riuscire a farcela e un discorso a parte che non è sempre frutto del merito, purtroppo non basta essere bravi. 


Cosa credi ti sia mancato per arrivare più in alto. 

Mah non saprei, non è nel mio carattere addebitare alla sfortuna oppure al destino colpe che magari ho io, forse non ero poi così bravo come mi descrivono. Ma uno dei motivi per cui ho fatto fatica e stato sicuramente che non sono mai voluto scendere a compromessi con nessuno e questo mondo a tutt’oggi e a tutti livelli si mantiene solo su quello. 









Hai sempre giocato con la maglia N 10 ma qual è il vero tuo ruolo in campo?

Si ho sempre indossato quel numero, diciamo che almeno prima il N.10 era sinonimo di talento quando la numerazione era 1-11 ogni numero aveva un significato e caratteristiche specifiche e quasi tutti aspiravano al N 10 che poi a Napoli e stata indossata dal più forte della storia. 


Il tuo goal più bello?

Più bello non saprei...non ho mai avuto l’etichetta di bomber, mi e anche sempre piaciuto far fare goal agli altri, ma tra i goal che ho fatto ne ricordo qualcuno per emozioni che mi ha regalato come uno da centrocampo quasi al 90'.








Dopo tanti anni di calcio giocato cosa ti ha lasciato questo sport.

Direi i rapporti umani che ho costruito   negli anni in cui ho giocato, la cosa più bella che porterò con me sono gli amici  veri che ho avuto la fortuna di conoscere.


Cosa ti ha tolto invece il calcio?

Tolto non saprei, certo nel mio piccolo qualche sacrificio l’ho fatto, ma rifarei tutto nello stesso identico modo. 









Hai due figli, farai ripercorrere la tua stessa strada anche a loro? 

Non voglio influenzare i miei figli su che strada intraprendere, sarò sempre al loro fianco qualsiasi passione abbiano, ma di certo non mi dispiacerebbe seguirli su un campo da calcio.


In ultimo un consiglio da dare ai più giovani.

Oggi e difficile consigliare i giovani, ascoltano poco, io li vivo negli spogliatoi ed il loro atteggiamento e troppo influenzato da quello che vedono in TV o sui social, pensano troppo alla forma e poco al contenuto, ed è proprio questo che mi sento di dirli: “cercate di lavorare sul campo e non sugli smartphone”.











Grazie   

a cura di Paolo Radi   


04    04   2019 
(Tutti i diritti riservati)  





















sabato 30 marzo 2019

   PAOLO RADI PRESENTA    









10 DOMANDE 


A  


DARIO CANELLI










   Dario Canelli di Caserta è un giovane allenatore di 29 anni molto conosciuto in Campania, a 21 anni era già istruttore CONI FIGC, adesso ha il patentino UEFA B. Sino a dicembre era l’allenatore dell’A.S.D.Virtus Goti, categoria Juniores Regionali U19.Inoltre è stato allenatore del settore giovanile della Casertana. Noi gli abbiamo rivolto le nostre 10 domande. 
e






Signor Dario Canelli, la prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il gioco del calcio sarebbe stata la sua più grande passione?

Beh, diciamo quando ho iniziato a muovere i primi passi; una passione che mi ha trasmesso mio padre che con il tempo mi ha regalato diverse emozioni e sarebbe impossibile farne a meno.



Perché tutti provano a diventare calciatori, a differenza che allenatori? 

Partiamo dal presupposto che allenatore e calciatore sono due professioni diverse, non è detto che chi ha giocato a medio ed alti livelli possa diventare un grande allenatore. Ovvio che un giovane aspira prima di tutto a diventare un calciatore, soprattutto per la fama. A mio parere, è molto difficile fare l’allenatore perché abbiamo un brutto cliente: il giocatore!








Ad un certo punto lei decide di diventare allenatore, perché questa scelta? 

Sai quando si è ragazzi si pensa più al divertimento. Ho avuto la mia occasione ma non l’ho saputa sfruttare. Crescendo vedevo negli altri ragazzi la stessa determinazione e voglia che avevo io alla loro età, così ho deciso di aiutarli a non fare determinati errori. Mi sono messo in gioco, mettendomi dall’altra parte. Mi piacciono le sfide e studio per cercare nuova soluzione ed idee.




Secondo lei perché l’anno scorso l’Italia non è riuscita a partecipare al Mondiale in Russia, qualcuno dice che la colpa è di quello che avviene nel settore giovanile, quello che le voglio chiedere è: perché non ci sono pitalenti come avveniva circa 15 anni fa, circa?

Secondo il mio parere le colpe partono principalmente dalle scuole calcio che dovrebbero pensare meno alla retta mensile ed investire di più sugli istruttori qualificati. Un altro errore che commettono già dai primi calci e pulcini è il seguente: la società e i genitori puntano ai risultati sportivi, ma molto meno alla crescita del bambino. Un'altra cosa, spero che  meritocrazia torni ad essere il primo valore, solo così possiamo ritornare ad essere l'Italia di un tempo.








Spesso si legge nelle cronache calcistiche di padri che litigano con l’allenatore perché non ha fatto giocare il figlio; oppure perché l’ha sostituito troppo presto. Liti furibonde che arrivano anche al contatto fisico; perché avviene questo? Il calcio è comunque un gioco, dov’è finito il sano agonismo? 

Tutto questo succede perché ormai le società danno molto spazio ai genitori ma non delineano quella linea che separa campo e spalti. Ma a volte l’errore parte anche da noi addetti ai lavori che li coinvolgiamo in situazioni che non competono a loro, cioè:  “cose da campo”!





Un aggettivo per descrivere sé stesso? 

Sono molto estroverso e se faccio fatica in questo calcio e perché non scendo a compromessi, ci metto sempre la faccia e so di dover imparare ancora tanto,  comunque mi reputo un buon psicologo dei miei ragazzi.








Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 

Per essere un allenatore, come qualsiasi altra professione, bisogna essere abilitati. Le prime qualità che bisogna avere sono quelle umane, instaurare il rapporto con un ragazzino o calciatore che sia è molto importante e nelle qualità ci metterei anche il saper trasmettere sicurezza e competenza che non è mai fine a sé stessa.



Qual è il suo allenatore di riferimento, il suo faro guida, e perché? 


 Che domande! Il mio punto di riferimento è sempre stato Zdenek Zeman. Per me dovrebbe essere un esempio etico per le scuole calcio e non solo. Lui è una delle poche facce pulite di questo sport e poi penso che abbia portato qualcosa di diverso e di molto importante nel mondo calcistico. Senza pensare ai tanti campioni che ha scoperto e valorizzato, non avrà vinto tanto come allenatore, ma per molte società è stata una grande risorsa.








Chi è secondo lei il migliore allenatore fra questi tre nomi:   Josè Mourinho, Massimiliano Allegri e Josep Guardiola?

 Sono tre tipi di allenatori diversi con tre stili e modi di fare differenti, con un’unica cosa in comune: una mentalità vincente. Ma noi giovani allenatori, compreso me, ci ispiriamo più ad un Peppe Guardiola perché il suo modo di giocare e il suo scacchiere tattico fa davvero spettacolo.








Tutti nel mondo del calcio sembrano rincorrere la “fama, i soldi e la celebrità”, lei invece? 

Il guadagnare fa gola a molti, ma in qualsiasi settore di lavoro. Io non sono ancora a certi livelli tanto da guadagnare, ma posso dire di mettere in campo una cosa che vale più dei soldi, i valori e l’essere un uomo leale.









Grazie   



a cura di Paolo Radi   





29    03    2019 
(Tutti i diritti riservati)  



giovedì 14 marzo 2019



PAOLO RADI PRESENTA











CONVERSAZIONE CON




ENRICO CLEMENTI











Enrico Clementi vive a Viterbo, è laureato in Filosofia e Scienze dell’Educazione. È referente nazionale del Dipartimento “Pedagogie e Didattiche delle Attività Motore per l’Infanzia e l’Età Adulta”, afferente al Settore ASI di Psicologia dello Sport, diretto da Sammy Marcantognini e con sede a Fano (PU).

Tiene corsi di formazione per tecnici di settore e aspiranti tecnici che desiderino lavorare in ambito sportivo, ma più in generale educativo. L’area elettiva del Dipartimento è quella dell’outdoor education e della pedagogia esperienziale, declinate sia in chiave pedagogica che sportiva. Proveniente dagli sport endurance e dallo sci alpino, master ASI in Psicologia dello Sport, gli abbiamo rivolto alcune domande. 






Signor Enrico Clementi abbiamo saputo che lei ha il diploma di Conservatorio, mi permetta questa domanda, come mai una volta preso il diploma lei non ha continuato nel campo musicale?


In realtà ho svolto attività professionale fino a fine anni Novanta, spaziando dal jazz alla musica classica contemporanea (repertori aleatori) e ho raggiunto importanti traguardi in tale ambito. Ho fondato anche un quartetto di musica classica contemporanea, il “Diachronic Ensemble”, che ha ottenuto menzioni e premi, tra i quali quelli al Concorso Internazionale Città di Stresa e quello del Gaudeamus Interpreters Competition di Rotterdam, vantando collaborazioni con compositori del calibro di Boris Porena, Vinko Globokar, Fernando Grillo… Diciamo che avendo intrapreso la professione molto giovane, ho avuto semplicemente desiderio di cambiare e questa è un po’ la cifra della mia vita: sono curioso e ho bisogno di stimoli nuovi e diversi, come pure amo “partire da zero” e uscire dalle zone di confort, cioè a dire da quelle abitudini e “certezze” che spesso non ci permettono di esplorare a pieno il nostro potenziale. 




Come mai la scelta di iscriversi alla Facoltà di Filosofia e Scienze dell’Educazione? 


Credo che quanto appena detto possa già in parte essere una risposta. Aggiungo che ho sempre pensato che sia fondamentale un confronto con il “perché” delle cose: se ho un buon “perché”, posso pensare a “come” fare una certa cosa, a “come” andare in una certa direzione o operare scelte.
 Il fondamento della vita, del “senso attivo” della vita, è filosofico, ancora prima che pratico e per me questo è stato sempre molto chiaro! Non ho mai fatto scelte importanti prima di sapere “perché” intendevo fare certe scelte, per quale fine, preoccupandomi poi del “come” agire per raggiungere quel determinato fine.

 Ma tutto questo senza nevrosi e senza iper-problematizzare la realtà e cercando quella “sprezzatura” (come direbbe la nostra Cristina Campo), quella naturalezza, quella semplicità, che corrisponde al ritmo, alla “musica” della mia interiorità. La facoltà di  Scienze dell’Educazione, è un    corollario del pensiero filosofico e le materie che  vengono studiate ci offrono strumenti per organizzare le varie forme di sapere: ci permettono di usare un un metodo e ci suggeriscono “come” tentare risposte ai “perché” della vita. 









Lei è referente nazionale del Dipartimento “Pedagogie Didattiche delle Attività Motorie”, afferente al Settore ASI di Psicologia dello Sport che ha sede a Fano, in breve in che cosa consiste la sua attività?


Il Dipartimento nasce a luglio scorso – per volontà dei referenti ASI, nonché amici di Fano, in particolare di Sammy Marcantognini (responsabile del Settore e Presidente ASI Marche) e Francesca Petrini (Presidente ASI Pesaro-Urbino) - e quindi siamo ancora in fase di strutturazione del Dipartimento stesso, nel quale sono confluite delle attività formativa che già il Settore svolgeva: Operatore centri estivi sportivi, Operatore attività motorie per la terza età, Operatore sportivo, ecc. 

Quindi oltre ad aver ampliato l’offerta formativa con corsi diversi (Operatore esperienziale outdoor, Età evolutiva e postura, postura e caratteristiche di personalità, Facilitatore attività sportive outdoor, ecc.) lavoro oggi, essendo il progetto di respiro nazionale, alla loro delocalizzazione e quindi alla creazione e al coordinamento degli staff che andranno poi ad erogare la formazione. Una parte importante, inoltre, riguarda l’attività comunicativa, promozionale e volta al sostegno di servizi di Nostra competenza, quali ad esempio i Centri Estivi Sportivi (a Fano e nella zona nord delle Marche i Centri Jump sono molto diffusi e noti), o le attività con bambini disabili (su Viterbo e Provincia stiamo sperimentando attività integrate con bambini con disturbi dello spettro autistico), o ancora attività di supporto ad atleti per l’ottimizzazione delle prestazioni sportive.  









Sappiamo che lei è un appassionato di Sci alpino, molto spesso veniamo a conoscenza di gravi incidenti che accadono sulle piste. Questo perché secondo lei? Irresponsabilità? Personale addetto alle piste poco responsabile? Oppure altro?


Lo sci è uno sport “pericoloso” e quindi un certo grado di rischio è implicito nell’attività stessa. Detto questo i vari fattori che lei indica sono o possono essere compresenti e sono o possono essere delle concause nell’evenienza di incidenti.

Certamente una scarsa padronanza degli attrezzi e un’insufficiente preparazione atletica, oltre al mancato uso di protezioni (casco, guscio) e all’utilizzo di attrezzature magari non idonee, contribuiscono a loro volta ad aumentare il rischio di incidenti. Di fatto oggi sia i controlli in pista che le norme di sicurezza sono aumentate, ad essere però bassa è la cultura legata non solo allo sci, ma agli sport invernali e agli ambienti di montagna. Si lamenta questo da più parti e come Settore/Dipartimento (viste le mie competenze e la mia rete in quest’ambito) stiamo strutturando attività invernali – Centri Sportivi Invernali – che rompano, in un certo senso, con la logica della “settimana bianca” e propongano invece attività educative di più ampio respiro, nelle quali il tema “sicurezza” è senz’altro di enorme rilievo.








Passiamo ora alle classiche 10 domande?  



Ultimo libro letto?

STM Special Training Method – Calzetti & Mariucci Ed. di Sammy Marcantognini 


Ultimo film visto?

The constitution – Due insolite storie d’amore, di Rajko Grlić (Croazia)


Scrittore italiano preferito?

Ignazio Silone



Scrittore straniero?

Albert Camus



Cantante, gruppo rock, o compositore?

Ascolto di tutto… diciamo Arvo Pärt (compositore estone)



Pittore? 

Paul Klee



Programma o serie televisiva preferita? 

Non ho una televisione, ma ad esempio “Quante storie” con Augias non è male 



Paese estero in cui le piacerebbe vivere? 

Canada



Com’è organizzata la vostra giornata lavorativa?

Varia a seconda delle attività. Se back office: orario ufficio, se attività formativa (in genere nei week-end) 9-13/14-18, se supporto ad atleti o squadre si programmano training specifici di allenamento mentale a cadenza ed intensità variabili, tenendo conto della fase di preparazione. 
In genere però il lavoro di back office e tutto il resto sono spesso compresenti e si alternano (incluso la formazione personale e gli allenamenti) nella stessa giornata.



Tratto principale del suo carattere? 

La stabilità. Sono relativamente “stabile” e comunque in grado di funzionare, sul piano operativo, gestendo in altri momenti e in altra sede le eventuali difficoltà emotive. 







Un ringraziamento particolare va al fotografo  Francesco Galli




14  03 2018 
(Tutti i diritti riservati)