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sabato 30 marzo 2019

   PAOLO RADI PRESENTA    









10 DOMANDE 


A  


DARIO CANELLI










   Dario Canelli di Caserta è un giovane allenatore di 29 anni molto conosciuto in Campania, a 21 anni era già istruttore CONI FIGC, adesso ha il patentino UEFA B. Sino a dicembre era l’allenatore dell’A.S.D.Virtus Goti, categoria Juniores Regionali U19.Inoltre è stato allenatore del settore giovanile della Casertana. Noi gli abbiamo rivolto le nostre 10 domande. 
e






Signor Dario Canelli, la prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il gioco del calcio sarebbe stata la sua più grande passione?

Beh, diciamo quando ho iniziato a muovere i primi passi; una passione che mi ha trasmesso mio padre che con il tempo mi ha regalato diverse emozioni e sarebbe impossibile farne a meno.



Perché tutti provano a diventare calciatori, a differenza che allenatori? 

Partiamo dal presupposto che allenatore e calciatore sono due professioni diverse, non è detto che chi ha giocato a medio ed alti livelli possa diventare un grande allenatore. Ovvio che un giovane aspira prima di tutto a diventare un calciatore, soprattutto per la fama. A mio parere, è molto difficile fare l’allenatore perché abbiamo un brutto cliente: il giocatore!








Ad un certo punto lei decide di diventare allenatore, perché questa scelta? 

Sai quando si è ragazzi si pensa più al divertimento. Ho avuto la mia occasione ma non l’ho saputa sfruttare. Crescendo vedevo negli altri ragazzi la stessa determinazione e voglia che avevo io alla loro età, così ho deciso di aiutarli a non fare determinati errori. Mi sono messo in gioco, mettendomi dall’altra parte. Mi piacciono le sfide e studio per cercare nuova soluzione ed idee.




Secondo lei perché l’anno scorso l’Italia non è riuscita a partecipare al Mondiale in Russia, qualcuno dice che la colpa è di quello che avviene nel settore giovanile, quello che le voglio chiedere è: perché non ci sono pitalenti come avveniva circa 15 anni fa, circa?

Secondo il mio parere le colpe partono principalmente dalle scuole calcio che dovrebbero pensare meno alla retta mensile ed investire di più sugli istruttori qualificati. Un altro errore che commettono già dai primi calci e pulcini è il seguente: la società e i genitori puntano ai risultati sportivi, ma molto meno alla crescita del bambino. Un'altra cosa, spero che  meritocrazia torni ad essere il primo valore, solo così possiamo ritornare ad essere l'Italia di un tempo.








Spesso si legge nelle cronache calcistiche di padri che litigano con l’allenatore perché non ha fatto giocare il figlio; oppure perché l’ha sostituito troppo presto. Liti furibonde che arrivano anche al contatto fisico; perché avviene questo? Il calcio è comunque un gioco, dov’è finito il sano agonismo? 

Tutto questo succede perché ormai le società danno molto spazio ai genitori ma non delineano quella linea che separa campo e spalti. Ma a volte l’errore parte anche da noi addetti ai lavori che li coinvolgiamo in situazioni che non competono a loro, cioè:  “cose da campo”!





Un aggettivo per descrivere sé stesso? 

Sono molto estroverso e se faccio fatica in questo calcio e perché non scendo a compromessi, ci metto sempre la faccia e so di dover imparare ancora tanto,  comunque mi reputo un buon psicologo dei miei ragazzi.








Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 

Per essere un allenatore, come qualsiasi altra professione, bisogna essere abilitati. Le prime qualità che bisogna avere sono quelle umane, instaurare il rapporto con un ragazzino o calciatore che sia è molto importante e nelle qualità ci metterei anche il saper trasmettere sicurezza e competenza che non è mai fine a sé stessa.



Qual è il suo allenatore di riferimento, il suo faro guida, e perché? 


 Che domande! Il mio punto di riferimento è sempre stato Zdenek Zeman. Per me dovrebbe essere un esempio etico per le scuole calcio e non solo. Lui è una delle poche facce pulite di questo sport e poi penso che abbia portato qualcosa di diverso e di molto importante nel mondo calcistico. Senza pensare ai tanti campioni che ha scoperto e valorizzato, non avrà vinto tanto come allenatore, ma per molte società è stata una grande risorsa.








Chi è secondo lei il migliore allenatore fra questi tre nomi:   Josè Mourinho, Massimiliano Allegri e Josep Guardiola?

 Sono tre tipi di allenatori diversi con tre stili e modi di fare differenti, con un’unica cosa in comune: una mentalità vincente. Ma noi giovani allenatori, compreso me, ci ispiriamo più ad un Peppe Guardiola perché il suo modo di giocare e il suo scacchiere tattico fa davvero spettacolo.








Tutti nel mondo del calcio sembrano rincorrere la “fama, i soldi e la celebrità”, lei invece? 

Il guadagnare fa gola a molti, ma in qualsiasi settore di lavoro. Io non sono ancora a certi livelli tanto da guadagnare, ma posso dire di mettere in campo una cosa che vale più dei soldi, i valori e l’essere un uomo leale.









Grazie   



a cura di Paolo Radi   





29    03    2019 
(Tutti i diritti riservati)  



giovedì 14 marzo 2019



PAOLO RADI PRESENTA











CONVERSAZIONE CON




ENRICO CLEMENTI











Enrico Clementi vive a Viterbo, è laureato in Filosofia e Scienze dell’Educazione. È referente nazionale del Dipartimento “Pedagogie e Didattiche delle Attività Motore per l’Infanzia e l’Età Adulta”, afferente al Settore ASI di Psicologia dello Sport, diretto da Sammy Marcantognini e con sede a Fano (PU).

Tiene corsi di formazione per tecnici di settore e aspiranti tecnici che desiderino lavorare in ambito sportivo, ma più in generale educativo. L’area elettiva del Dipartimento è quella dell’outdoor education e della pedagogia esperienziale, declinate sia in chiave pedagogica che sportiva. Proveniente dagli sport endurance e dallo sci alpino, master ASI in Psicologia dello Sport, gli abbiamo rivolto alcune domande. 






Signor Enrico Clementi abbiamo saputo che lei ha il diploma di Conservatorio, mi permetta questa domanda, come mai una volta preso il diploma lei non ha continuato nel campo musicale?


In realtà ho svolto attività professionale fino a fine anni Novanta, spaziando dal jazz alla musica classica contemporanea (repertori aleatori) e ho raggiunto importanti traguardi in tale ambito. Ho fondato anche un quartetto di musica classica contemporanea, il “Diachronic Ensemble”, che ha ottenuto menzioni e premi, tra i quali quelli al Concorso Internazionale Città di Stresa e quello del Gaudeamus Interpreters Competition di Rotterdam, vantando collaborazioni con compositori del calibro di Boris Porena, Vinko Globokar, Fernando Grillo… Diciamo che avendo intrapreso la professione molto giovane, ho avuto semplicemente desiderio di cambiare e questa è un po’ la cifra della mia vita: sono curioso e ho bisogno di stimoli nuovi e diversi, come pure amo “partire da zero” e uscire dalle zone di confort, cioè a dire da quelle abitudini e “certezze” che spesso non ci permettono di esplorare a pieno il nostro potenziale. 




Come mai la scelta di iscriversi alla Facoltà di Filosofia e Scienze dell’Educazione? 


Credo che quanto appena detto possa già in parte essere una risposta. Aggiungo che ho sempre pensato che sia fondamentale un confronto con il “perché” delle cose: se ho un buon “perché”, posso pensare a “come” fare una certa cosa, a “come” andare in una certa direzione o operare scelte.
 Il fondamento della vita, del “senso attivo” della vita, è filosofico, ancora prima che pratico e per me questo è stato sempre molto chiaro! Non ho mai fatto scelte importanti prima di sapere “perché” intendevo fare certe scelte, per quale fine, preoccupandomi poi del “come” agire per raggiungere quel determinato fine.

 Ma tutto questo senza nevrosi e senza iper-problematizzare la realtà e cercando quella “sprezzatura” (come direbbe la nostra Cristina Campo), quella naturalezza, quella semplicità, che corrisponde al ritmo, alla “musica” della mia interiorità. La facoltà di  Scienze dell’Educazione, è un    corollario del pensiero filosofico e le materie che  vengono studiate ci offrono strumenti per organizzare le varie forme di sapere: ci permettono di usare un un metodo e ci suggeriscono “come” tentare risposte ai “perché” della vita. 









Lei è referente nazionale del Dipartimento “Pedagogie Didattiche delle Attività Motorie”, afferente al Settore ASI di Psicologia dello Sport che ha sede a Fano, in breve in che cosa consiste la sua attività?


Il Dipartimento nasce a luglio scorso – per volontà dei referenti ASI, nonché amici di Fano, in particolare di Sammy Marcantognini (responsabile del Settore e Presidente ASI Marche) e Francesca Petrini (Presidente ASI Pesaro-Urbino) - e quindi siamo ancora in fase di strutturazione del Dipartimento stesso, nel quale sono confluite delle attività formativa che già il Settore svolgeva: Operatore centri estivi sportivi, Operatore attività motorie per la terza età, Operatore sportivo, ecc. 

Quindi oltre ad aver ampliato l’offerta formativa con corsi diversi (Operatore esperienziale outdoor, Età evolutiva e postura, postura e caratteristiche di personalità, Facilitatore attività sportive outdoor, ecc.) lavoro oggi, essendo il progetto di respiro nazionale, alla loro delocalizzazione e quindi alla creazione e al coordinamento degli staff che andranno poi ad erogare la formazione. Una parte importante, inoltre, riguarda l’attività comunicativa, promozionale e volta al sostegno di servizi di Nostra competenza, quali ad esempio i Centri Estivi Sportivi (a Fano e nella zona nord delle Marche i Centri Jump sono molto diffusi e noti), o le attività con bambini disabili (su Viterbo e Provincia stiamo sperimentando attività integrate con bambini con disturbi dello spettro autistico), o ancora attività di supporto ad atleti per l’ottimizzazione delle prestazioni sportive.  









Sappiamo che lei è un appassionato di Sci alpino, molto spesso veniamo a conoscenza di gravi incidenti che accadono sulle piste. Questo perché secondo lei? Irresponsabilità? Personale addetto alle piste poco responsabile? Oppure altro?


Lo sci è uno sport “pericoloso” e quindi un certo grado di rischio è implicito nell’attività stessa. Detto questo i vari fattori che lei indica sono o possono essere compresenti e sono o possono essere delle concause nell’evenienza di incidenti.

Certamente una scarsa padronanza degli attrezzi e un’insufficiente preparazione atletica, oltre al mancato uso di protezioni (casco, guscio) e all’utilizzo di attrezzature magari non idonee, contribuiscono a loro volta ad aumentare il rischio di incidenti. Di fatto oggi sia i controlli in pista che le norme di sicurezza sono aumentate, ad essere però bassa è la cultura legata non solo allo sci, ma agli sport invernali e agli ambienti di montagna. Si lamenta questo da più parti e come Settore/Dipartimento (viste le mie competenze e la mia rete in quest’ambito) stiamo strutturando attività invernali – Centri Sportivi Invernali – che rompano, in un certo senso, con la logica della “settimana bianca” e propongano invece attività educative di più ampio respiro, nelle quali il tema “sicurezza” è senz’altro di enorme rilievo.








Passiamo ora alle classiche 10 domande?  



Ultimo libro letto?

STM Special Training Method – Calzetti & Mariucci Ed. di Sammy Marcantognini 


Ultimo film visto?

The constitution – Due insolite storie d’amore, di Rajko Grlić (Croazia)


Scrittore italiano preferito?

Ignazio Silone



Scrittore straniero?

Albert Camus



Cantante, gruppo rock, o compositore?

Ascolto di tutto… diciamo Arvo Pärt (compositore estone)



Pittore? 

Paul Klee



Programma o serie televisiva preferita? 

Non ho una televisione, ma ad esempio “Quante storie” con Augias non è male 



Paese estero in cui le piacerebbe vivere? 

Canada



Com’è organizzata la vostra giornata lavorativa?

Varia a seconda delle attività. Se back office: orario ufficio, se attività formativa (in genere nei week-end) 9-13/14-18, se supporto ad atleti o squadre si programmano training specifici di allenamento mentale a cadenza ed intensità variabili, tenendo conto della fase di preparazione. 
In genere però il lavoro di back office e tutto il resto sono spesso compresenti e si alternano (incluso la formazione personale e gli allenamenti) nella stessa giornata.



Tratto principale del suo carattere? 

La stabilità. Sono relativamente “stabile” e comunque in grado di funzionare, sul piano operativo, gestendo in altri momenti e in altra sede le eventuali difficoltà emotive. 







Un ringraziamento particolare va al fotografo  Francesco Galli




14  03 2018 
(Tutti i diritti riservati) 

















mercoledì 20 febbraio 2019

PAOLO RADI PRESENTA    








8 DOMANDE 


A  


GIUSEPPE M. D’AMBROSIO











Giuseppe M D’ambrosio è nato a Torre Annunziata nel 1980 e ci abita pure. Ha giocato a calcio sino a 17 anni, a causa di un infortunio ha dovuto abbandonare questo sport.  È tifoso del Savoia calcio, fra le più antiche squadre di calcio italiane, venne fondata nel 1908. Quattro anni fa il Savoia era in serie C, ora milita in serie D. E molto legato alla sua città, città in cui è nata e vissuta Maria Orsini Natale, scrittrice e giornalista, famosa per il romanzo Francesca e Nunziata.  Noi gli abbiamo rivolto alcune domande.








La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Mi dicono che la mia passione per il calcio sia nata subito. Ho cominciato a camminare calciando un pallone. 





Se non avesse intrapreso quest’attività agonistica quale sport le sarebbe piaciuto praticare? 

Nessuno sport avrei voluto praticare, mi piace solo il calcio!








Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. Perché tutti provano a diventare calciatori? 

Diventare calciatore non significa avere un "lavoro di lusso",  l’essere calciatore lo devi sentire   dentro, di te,  devi amare quel pallone come un bimbo ama i suoi giocattoli.





Ha 17 anni a causa di un trauma al ginocchio lei ha abbandonato il calcio, eppure avrebbe potuto rientrare, perché questa decisione? 

Io purtroppo ho avuto l’infortunio al ginocchio troppo presto, ma ho sbagliato  nel non riuscire a concentrare le mie forze per riprendermi. Purtroppo da ragazzi si commettono certi, errori: di gioventù. 



Tutti voi che abitate a Torre Annunziata siete tifosi del Savoia calcio e di nessun’altra squadra, come mai? 

 Nel 1908 nacque il nostro Glorioso Savoia Il Savoia, per noi torresi non è solo la nostra squadra del cuore; la nostra è una fede che ci viene tramandata dai nostri nonni e dai nostri padri.

 Nel 1923 /24 si laureò Campione dell’Italia centromeridionale. ll mio amore per  il Savoia è nato da bambino come ogni torrese mio nonno mi portava a vedere i bianchi e io m’ innamoravo sempre di più, anche guardando i suoi Ultras e le bandiere sventolare; inoltre  quel coro  iniziava intonando questo verso: “Savoia squadra del Mio Cuor” :sì, del Mio Cuore, perché da quando sono nato tifo Savoia ho impresso nella mia mente tante partite, ma la più indimenticabile fu il 13 giugno del 1999 più di 20 mila Torresi invasero il Partenio di Avellino questo perché  si vinse 2 a 0 contro la Juve Stabia. Si festeggio per tutta la città e per tanti giorni i giocatori furono portati in trionfo su delle carrozze.  Il motivo era  il ritorno in serie B dopo tanti anni, ma per noi torresi era come se avessimo vinto il campionato di serie A.


Nella foto in bianco e nero  che le ho dato si vedono i Campioni d’ Italia del 1924 e questa è la foto dei 20 mila al Partenio di Avellino.

 Mentre in quella a colori  possiamo vedere   le carrozze che portavano i giocatori del Savoia nelle vie della città.













Poi dopo 2 anni il Savoia fallì ma il nostro amore per con delle carrozze il Savoia di certo non terminò.  Si ricomincio da capo, dall  Eccellenza; ci sono stati   tanti periodi bui, altre persone di altre squadre avrebbe lasciato, ma noi non abbiamo mai mollato perché c ‘è un coro che fa così:” Tifosi come noi non ce ne sono più non ce ne sono più”  Nel  2014 si è ritornati in serie C dopo aver vinto un campionato di Serie D.




Abbiamo anche saputo che lei tiene molto alla sua città? Che cosa rappresenta per lei? 


Torre Annunziata sorge sui resti Dell’ antica Oplontis sepolta dall’ eruzione del 79. Era detta Capitale Dell Arte Bianca con più di 100 pastifici infatti la scrittrice Maria Orsini gli dedico un libro e un film alla nostra Amata Torre Annunziata

È Una città molto famosa anche per la pesche siccome ha un porto di grande estensione La festa Patronale è quella del 22 Ottobre dove in un solo giorno si riuniscono tutti i Torresi anche quelli emigrati dai altri paesi. 

La Madonna della Neve è il nostro simbolo il 22 Ottobre si narra dai vecchi pescatori di Torre che il Vesuvio che eretta a da molti giorni loro andarono a prendere la Madonna x avverare il Suo Miracolo e così fu la Madonna fermo la lava.












Due sogni che vorrebbe si realizzassero? 

Il sogno che voglio di rivedere il mio Savoia almeno in serie B perché lo meritiamo e una città che dara molto turismo e lavoro x tutti non può una città che prima aveva una densità di 70 mila abitanti ora ad essere 40 mila vorrei che il nostro popolo si riprenda in tutto perché noi amiamo la nostra città e anche io sto facendo molto fatica siccome ho una bambina di riuscire a restare nel mio paese.


Il secondo sogno che vorrei che si realizzasse sarebbe quello di avere un buon lavoro in un’azienda gestita da me. Questo mi potrebbe permettere di andare a vedere il mio Savoia e restare nel mio paese di nascita.



Un lato positivo del suo carattere e uno negativo? 

Il mio lato positivo che do sempre il cuore in tutto e negativo che sono troppo orgoglioso in tutto.




Grazie   

a cura di Paolo Radi  



20    02   2019 
(Tutti i diritti riservati)