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lunedì 8 luglio 2019




A CURA DI PAOLO RADI 










 UNA CONVERSAZIONE 
     

     
 CON 




NUNZIO   
CALOGERO 




Nunzio Calogero, è   giovane ragazzo originario di Comiso ed appassionato fin da bambino di calcio professionistico, egli pensa che le passioni si vivano e che vadano coltivate e interpretate. 


Era dirigente accompagnatore a 17 anni nel Comiso. “Il calcio va vissuto dal vivo”. È stata la passione a spingerlo in un ruolo così impegnativo e stimolante sin da ragazzo e per la sua città. Dopo una lunga pausa, di ben otto anni, al cospetto del progetto ambizioso del Marina di Ragusa, non poteva tirarsi indietro e così si è “messo in gioco” “Non ha mai giocato nel calcio a 11, ma solo nel futsal, a discreti livelli. Ricorda diversi momenti emozionanti in campo: 


“Mi colpiva quando un avversario mi stringeva la mano, sorpreso magari delle mie qualità tecniche, nonostante la stazza fisica che mi contrassegnava sino a qualche anno “. La famiglia è fondamentale nella vita, ci dice: “Io sono sposato e ho un bambino piccolo. Mi sento molto fortunato. Non vivo di calcio, quindi dopo il lavoro dedico quasi tutto il tempo libero al Marina. Togliere tempo alla famiglia per vivere una passione non è certo facile.


 Per riuscire in questo caso la ricetta è una sola. Puoi farlo solo quando hai a fianco una moglie intelligente che comprende le tue esigenze, rispetta i tuoi spazi e capisce quante emozioni mi trasmetta il mio ruolo di dirigente: a me è successo”. Marina è n progetto importante, una famiglia composta da 20 dirigenti, operativi che agiscono da veri fratelli. Un progetto a cui dedico gran parte del mio tempo libero, perché ci credo tantissimo”.


Questa esperienza è nata tre anni fa con prerogative giuste e per arrivare in alto. E ci sono arrivati. Deve ringraziare coloro che hanno avuto fiducia in un dirigente che non è nemmeno di Marina di Ragusa, ma che lavora e vive a Comiso. Nunzio ha conosciuto persone straordinarie che hanno fatto dell’umiltà e della dignità uno stile di vita. Noi gli abbiamo rivolto alcune domande. 










    La prima domanda èun classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua piùgrande passione?

Sin da piccolo sono sempre stato appassionato di calcio dilettantistico, penso che le passioni non si scelgono, ma si vivono e vanno coltivate giorno dopo giorno



Lei ha giocato a Futsal, che cosa l’ha attratta di questa disciplina?

Senza dubbio è una disciplina molto legata al calcio a 11, i principi sono simili, anche se le caratteristiche tecniche necessarie sono ben diverse










Se non avesse scelto il calcio, quale altro sport le sarebbe piaciuto praticare? 

Non riesco ad immaginarmi senza calcio, infatti le domeniche primaverili a cavallo tra una e l'altra stagione, si trasformano in noia totale... ah, ah, ah, ah, ah, ah, !




Perchétutti i giovani provano a diventare calciatori? Mentre invece disertano altri sport, secondo lei la motivazione è quella economica e di diventare famosi?


Sin da piccoli tutti sognano di diventare calciatori perchè in Italia, inutile nasconderlo, il calcio è di gran lunga lo sport più seguito e criticato, quindi questa cultura si trasmette di generazione in generazione.







Ci può spiegare in breve questo progetto calcistico del “Marina Ragusa?


Un progetto importante, una famiglia composta da 20 dirigenti, operativi che agiscono da veri fratelli. Un progetto a cui dedico gran parte del mio tempo libero, perché ci credo tantissimo. E’ stato “un qualcosa” nato tre anni fa con prerogative giuste e per arrivare in alto. E ci siamo arrivati. Devo ringraziare coloro che hanno avuto fiducia in un dirigente che non è nemmeno di Marina di Ragusa, ma che lavora e vive a Comiso. Ho conosciuto persone straordinarie che hanno fatto dell’umiltà e della dignità uno stile di vita.



Un suo pregio? 

Dei pochissimi pregi che ho non penso ne debba parlare io, ma gli altri, altrimenti si rischia di essere considerati egocentrici!



Un suo difetto? 

Di difetti ne ho tanti, sicuramente sono molto testardo ed istintivo.







Che cosa rappresenta la famiglia per lei? 

La famiglia è fondamentale nella vita. Io sono sposato e ho un bambino piccolo. Mi sento molto fortunato. Non vivo di calcio, quindi dopo il lavoro dedico quasi tutto il tempo libero al “Marina”. Togliere tempo alla famiglia per vivere una passione non è certo facile. Per riuscire in questo caso la ricetta è una sola. Puoi farlo solo quando hai a fianco una moglie intelligente che comprende le tue esigenze, rispetta i tuoi spazi e capisce quante emozioni mi trasmetta il mio ruolo di dirigente. A me è successo”.




      Che particolarità ha Ragusa rispetto alle altre città della Sicilia? 

Ragusa è una città bella, sia da vivere che per apprezzare i suoi monumenti ( capolavori architettonici costruiti dopo il terremoto, insieme a tutti quelli presenti nel Val di Noto sono stati dichiarati nel 2002 Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO )per non parlare di Marina, che è un gioiello sotto tutti i profili, gente per bene, unita e soprattutto umanamente straordinaria, forse sarà il mare che porta: serenità e mentalità aperta.








  Qual è il sogno nel cassetto? 


Non  sono abituato a sognare, penso che ognuno di noi sia artefice del proprio successo nel futuro, a parte delle eccezioni che non siamo noi a decidere.
Vorrei solamente, per il bene dei nostri figli, che questo spettacolare quanto falso mondo calcio,  fosse negli anni a venire  sempre meno composto da gente che sfrutta, illuda o approfitta delle persone che invece ai sogni ci crede e cerca di realizzarli con tutta la propria forza; molte volte i giovani si  fidano dal ciarlatano di turno che incontrano nel loro cammino.



  

a cura di Paolo Radi   





08  07   2019 
(Tutti i diritti riservati)  





















martedì 2 luglio 2019




 A CURA DI PAOLO RADI 







 UNA CONVERSAZIONE 
     

     
 CON 



  GENNY  
 SABATINO  









Genny Gennaro Sabatino è nato a Napoli il 6 aprile del 1993 ho vissuto fino all’età di 6 anni a Scampia poi si è trasferito a Magnano di Napoli dove attualmente abita. 
E’ passato alla Sibilla Bacoli dove ha fatto 1 campionato di allievi e l’anno dopo è passato in prima squadra dove ho disputato il campionato di serie D.
All’età di 17 anni si trasferisce al Pomezia calcio nella Beretti nazionale e un anno dopo ritorna alla Sibilla Bacoli.
Successivamente milita nel Procida calcio, nel gennaio di quell’ annata a causa di un brutto incidente in motorino è costretto a fermarsi per due anni.
Matura l’idea di smettere con il calcio, ma poi grazie all’aiuto di un suo caro amico Biagio Sequino (da noi intervistato) che lo porta a giocare in prima categoria con il Qualiano, riprende con entusiasmo l’attività.  
Dall’anno scorso sono è tesserato con lʼOratorio Don Guanella di Scampia dove disputa il campionato di promozione.










    La prima domanda èun questa: dallo scorso anno sei tesserato con l’Oratorio Don Guanella di Scampia, com’è andato il campionato? 

Si sono approdato al Don Guanella a dicembre, quando sono arrivato la squadra aveva 6 punti e i risultati facevano fatica ad arrivare poi pian piano la strada si è fatta in discesa e abbiamo trovato una salvezza tranquilla.



Come si è trovato in questa squadra? 

A Scampia mi trovo benissimo non fai parte di una squadra ma di una grande famiglia.











Sappiamo che lei è molto amico di Biagio Sequino, ed è stato lui a farlo riprendere a giocare, che caratteristiche ha Biagio Sequino, appunto? 

Si sono un amico di Biagio fin da piccolo. Biagio è un ottimo terzino una persona che gioca sempre e solo per vincere.



Lei in che ruolo gioca?

Io sono un esterno d’attacco, ma so adattarmi molto bene  anche come mezz’ ala.






Se non avesse scelto il calcio, quale altro sport le sarebbe piaciuto praticare? 


Non saprei... perché fin da piccolo già ero deciso su quale sport praticare. Forse avrei scelto il tennis come alternativa.



Perchétutti provano a diventare calciatori, mentre pochi sono quelli che praticano altre attività agonistiche? Eppure una città come Napoli offre tutto. 

 Beh fare il calciatore sarebbe il lavoro più bello del mondo, siamo onesti chi da bambino non l’ha mai pensato? L’ 80% dei ragazzi a Napoli pratica calcio, l ‘altro 20 % non so che sport pratichi.








Anche lei da ragazzo sognava di approdare in una grande squadra, oppure era consapevole dei suoi limiti da calciatore? 

Sì, anche io ho sognato di arrivare alla vetta,  in qualche circostanza ero anche salito su quel famoso 'treno' che può portarti verso la gloria, ma per colpa di qualcuno che fa “del male in questo sport” non sono riuscito a realizzare il mio sogno.





Intervistando diversi giocatori, molti mi hanno detto che tifano Juve, Milan, mentre io mi aspettavo solamente Napoli, com’è possibile? Posso capire il Milan, ma la Juve...

La nuova generazioni tifa queste squadre perché sono le più vincenti. Ma se intervisti persone dai 25 anni a salire,  tutti ti risponderanno quasi sicuramente:  “forza Napoli”.






Un suo pregio e un suo difetto?  

Sono un ragazzo calmo umile, molte volte può essere sia un pregio che un difetto.


Leggo molto spesso sui social che per molti ragazzi campani, un amico è come un fratello, è più un modo di dire, oppure per voi è così veramente? 

L’amico è veramente un fratello molte volte ci passo insieme l’intera giornata, in quella giornata siamo più di fratelli.







La famiglia che cosa rappresenta per lei? 

La famiglia per me è tutto.



Lei ci ha detto che da Scampia si è trasferito a Mugnano, vede su Scampia, nei giornali, in televisione (penso a un servizio delle Ieneproprio su Scampia) si leggono e si vedono “tante cose”, ma com’è Scampia veramente?  


Come in ogni quartiere ci sono mille problematiche, ma purtroppo viene messo in risalto solo il lato negativo che accomuna questi posti, trascurando quello che c’ è di buono e le brave persone che ci vivono.










Grazie   

a cura di Paolo Radi   





02    07   2019 
(Tutti i diritti riservati)  


















venerdì 21 giugno 2019



A CURA DI PAOLO RADI 








UNA CONVERSAZIONE
     

     
 CON  




MARCO   
CESARETTI  









 Marco Cesaretti, è nato e cresciuto a Ostia Lido, sin da quando è  nato ha sempre giocato a calcio, da più piccolo è riuscito anche a diventare campione nazionale con la rappresentativa regionale giovanissimi; dopo aver iniziato a dare i primi calci al Pescatori Ostia è passato all’Axa poi diventata Totti Soccer School in cui ha svolto praticamente tutto il settore giovanile, l’ultimo anno di allievi invece ha giocato con l’Ostiamare dove l’hanno successivo ha fatto il salto direttamente in Serie D, scendendo con la juniores solo nella fase finale (uscendo ai quarti),  qui ha superando abbondantemente le 50 presenze di cui la stragrande maggioranza titolare.  

L’anno successivo ha  militato  in promozione fra Cerveteri e la Rustica principalmente per motivi legati al tirocinio universitario che l'ha occupato  parecchio tempo, l’ultimo anno giocato è stato l’anno scorso, fra Cavese (dove ho giocato pochissimo causa e infortuni e morbillo) e Monti Cimini, qui ha ritrovato un po’ di continuità e nonostante la retrocessione è sempre  stato  uno dei più positivi.

 Per quando riguarda il percorso scolastico ho frequentato il Liceo Scientifico tradizionale uscendo con 81 e studiando quando poteva, poi ho deciso di frequentare l’università nel corso di Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane, a luglio spera di laurearsi. 

In un futuro prossimo gli piacerebbe studiare Mercato del Lavoro alla Facoltà di Economia con il fine di diventare un HR Specialist. Si definisce un ragazzo tranquillo, gli piace viaggiare e ed è un appassionato di sport in generale, segue NBA e il tennis oltre al calcio principalmente, nel secondo sport menzionato sta provando a cimentarsi, “ma sono ancora un principiante” così ci ha riferito. 









Come prima domanda le faccio questa: Lei è tifoso della Roma, che cosa può essere successo all’interno del Club? La conferenza di Totti ha suscitato un gran vespaio, alcuni lo hanno criticato, altri lo hanno osannato. Molti amici romani mi hanno detto: “Ritengo che Totti sia stato un grande campione, ma io tifo Roma, non Totti. “Lei che idea si è fatto di questa vicenda che sta facendo discutere l’Italia intera? 

Allora per quanto riguarda la situazione all’interno della Roma, sinceramente vedo un gran caos, era inevitabile che succedesse, quando i giocatori diventano così emblematici per i loro team, gli addii sono cose delicate, per quanto riguarda Totti (che da buon romano e romanista idolatro) a parer mio al contrario di quanto si dice la sua situazione è stata gestita bene come giocatore, come dirigente malissimo, le colpe stanno da ambedue le parti. 


Totti non poteva pretendere di essere subito un dirigente di massimo spicco dopo 0 anni di attività, mentre la società come figura importante doveva inserirlo gradualmente quanto meno per chiedere un parere, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato prendere Fonseca senza dirgli niente, il che per un direttore tecnico è assurdo. Quello che non ho apprezzato sono stati i modi, la situazione dopo la gestione è stata imbarazzante, già dall’addio di De Rossi era già complicata, lui non ha fatto altro che versare benzina sul fuoco, e sicuramente qui si è vista la differenza fra l’intelligenza di De Rossi che dopo il suo addio ha chiesto ai tifosi di sostenere la squadra e Totti (che comunque a Roma può fare tutto).









Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Per quanto riguarda il calcio ho capito subito che sarebbe stata la mia passione a 3 anni, infatti già correvo con la maglia di Ronaldo il fenomeno dell’Inter (nonostante io sia della Roma) ho massacrato i miei genitori per farmi andare alla scuola calcio (la prima al Pescatori Ostia) e poi quando hanno provato a mandarmi a nuoto per due anni sono tornato a "martellare" finché non mi hanno iscritto nuovamente (stavolta alla Totti Soccer School). Comunque  la passione principalmente me l’ha trasmessa mio nonno che ai tempi allenava e prima ancora era un ottimo portiere. Tanto è che volevo fosse quello il mio ruolo, lui però mi disse “se ti vuoi divertire, non fare il portiere” e così fu. 

Da piccolo oltre l’aspetto della pratica il calcio era praticamente tutto per me, ero un almanacco, leggevo, guardavo partite di tutti i campionati, le squadre argentine e brasiliane le vedevo su Sportitalia, tanto è che scoprivo un tanti di giocatori prima che diventassero top player (Huntelaar, Snejder, Suarez, Bale, Higuain, Vertonghen, Hernanes, Luis Fabiano) e questa bene o male è stata sempre una piccola soddisfazione 







I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, oppure le hanno detto la classica frase: “pensa a studiare che è meglio”?

I miei genitori mi hanno sempre fatto mantenere i piedi per terra, soprattutto mio padre che quando sbagliavo non aveva "peli sulla lingua", mi hanno sempre fatto vedere il calcio come una cosa secondaria rispetto allo studio, prima bisognava studiare e per questo devo ringraziarli infinitamente.

Non hanno mai mancato comunque di spronarmi, la “spinta” decisiva per arrivare dove sono arrivato per esempio me l’ha data mia madre all’inizio dei Giovanissimi, ci approcciavamo al calcio a 11. 


Succede che ha inizio stagione non vengo convocato per un amichevole pre-campionato, io li per li cercai di trovarmi l’alibi: non mi era ancora arrivato il cartellino, però, mia madre mi disse chiaro e tondo che alcuni miei amici senza cartellino erano stati convocati e che se volevo essere convocato dovevo impegnarmi di più perché quella volta non mi ero meritato di esserlo. Da lì giocai tutte le partite fra tornei e campionato titolare, aveva cambiato completamente la mia mentalità eliminando gli alibi.








Lei si è diplomato al Liceo Scientifico quanto è importante la cultura per diventare un calciatore completo, certamente conta fare gol, però quando vieni intervistato su alcuni argomenti, penso che sia importante dimostrare altro, non trova? 

Lo studio per me è stato sempre importante, fortunatamente non ho mai dovuto “spendere troppo tempo” per studiare avendo una bella testa (forse perché troppo pigro ho trovato un modo di apprendere velocemente), comunque studiare apre la mente e la cultura non è da confondere con l’intelligenza, la prima ti fornisce le conoscenze necessarie riguardo la realtà e con la seconda si possono prendere le scelte giuste, ma senza la prima l’intelligenza è cieca. 

La cultura ti rende notevolmente una persona più piacevole anche nelle relazioni sociali e per me giocatori come Giorgio Chiellini sono un esempio.

Totti venne deriso ai tempi e con intelligenza sfruttò questa wave per scrivere le barzellette, ma nel 2019 il suo modo di esprimersi non so quanto possa reggere, tant’è che ha iniziato a frequentare corsi di dizione per migliorarsi.







Lei ha giocato in tantissime squadre, a quale è rimasto più  legato? 

La squadra a cui sono rimasto più legato, nonostante io sia grato a Ostia che mi ha permesso di giocare in Serie D per tre anni, è la Totti soccer school, li ho vissuti gli anni più belli dai pulcini agli allievi. Giocavo il sabato e domenica (anno 1995 1996)  ormai ero diventato un veterano, con alcuni compagni di squadra ancora mi ci sento e sono diventati i miei migliori amici (fra cui Gabriele Bolletta). 


 Poi c’è stata la bellissima avventura del Beppe Viola (il torneo giovanile più importante del Lazio) passammo i giorni per la classifica avulsa contro squadre che giocavano in campionati regionali, noi facevamo l’Elite e successivamente avremmo dovuto incontrare squadre come la Viterbese, Atletico Roma (professionisti), Urbetevere e Frosinone (professionisti). Noi arrivati a metà classifica nell’Elite, battemmo tutte queste squadre con ampio merito, ricordo ancora quando il giorno della finale contro il Frosinone i fotografi avevano già preparato le foto con scritto “Frosinone campione Beppe Viola’’, è uno dei ricordi calcistici a cui sono più legato.




Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. 
Perché tutti provano a diventare calciatori? Tutti cercano la fama e il successo, è cosi? 

Nel mondo moderno si vuole tutto e subito, arrivare nel calcio ti porta soldi e successo in brevissimo tempo, la consapevolezza però sta nel fatto che uno su un milione arriva a quei livelli e purtroppo le conoscenze in questo campo sono fondamentali (escludendo i Maradona e Messi che sono uno su un miliardo), e soprattutto nel fatto che se non hai la testa vieni spazzato via. 

Molti giovani abbandonano la scuola alle medie per provare a sfondare, e poi? Ai 35 anni cosa si deve fare? Si deve avere la fortuna di rimanere in quel mondo. Credo che ormai nel calcio stiano girando cifre spropositate e queste fanno “girare la testa a molti giovani”, ora si pensa a Instagram, alle magliette da 1000 euro... questa situazione è figlia dei tempi e del mondo calcistico.









 Molti giocatori diventati delle celebrità, una volta terminata la carriera calcistica alcuni: sono caduti nel dimenticatoio, altri si sono uccisi, altri ancora sono stati accusati di aver preso parte alle commesse clandestine; secondo lei che cosa non ha funzionato nel loro “essere calciatori”


Per essere calciatori ci vuole principalmente la testa, affrontare la fama, i soldi e certi ambienti non è facile.  Non bisogna mai dimenticarsi chi si è e da dove si viene altrimenti è facile sbandare e finire nel baratro, si perde la visione della realtà e le cose importanti diventano altre (donne, soldi , droga, scommesse); per quanto riguarda la paura di finire nel dimenticatoio ci sta, è soprattutto questione di fortuna, bisogna   essere bravi nel posto giusto al momento giusto, ma se si è coerenti con la persona che si era prima questa cosa sarà vista solo come una bella esperienza o una spinta economica in più.




 Secondo lei, meglio essere un “re nella propria provincia” o personaggio di secondo piano a livello nazionale? 

Sicuramente meglio essere re della propria provincia, un esempio sono Totti e De rossi, hanno scritto la storia scegliendo di rimanere a Roma, ora sono delle leggende in tutto il mondo non solo a Roma, nonostante che con il proprio club abbiano vinto poco, sicuramente essere un re nella propria provincia ti fa rimanere più nel cuore delle persone e ti da più ammirazione anche per quanto riguarda gli avversari. I personaggi di secondo piano in ambiti più importanti spesso hanno un successo personale maggiore, ma agli altri arriva poco... poi dipende se mi chiedi se vorrei essere un panchinaro in serie A o un capitano intramontabile in Promozione ti rispondo: panchinaro in serie A.







Ho intervistato prima di lei il giocatore Gabriele Bolletta e Mirko Moi, che cosa vi accomuna?  

Gabriele lo conosco benissimo per me è un fratello, ci accomunano tante cose: entrambi siamo stati studenti giocatori, lui ha avuto la forza e la costanza di continuare a giocare io mi sono disincantato, mi hanno nauseato certi comportamenti, spero per lui che riesca a risalire di categoria perché al di là dell’amicizia è un portiere veramente fenomenale; poi usciamo regolarmente insieme, siamo ragazzi tranquilli. 

Per quanto riguarda Mirko purtroppo non ho avuto l’opportunità di conoscerlo in maniera approfondita, ho giocato insieme a lui a tornei di calcetto estivi, come giocatore non ha bisogno dei miei elogi, perché è davvero forte, nelle occasioni in cui l’ho incontrato si è dimostrato un ragazzo semplice e disponibile, con lui le differenze sono molte di più soprattutto per quanto riguarda le scelte, lui ha scelto spesso di andare a giocare fuori lontano da casa, ed è una scelta da ammirare. 


Io e Gabriele pur avendo l’opportunità abbiamo scelto di rimanere sempre a casa, soprattutto per motivi legati allo studio e alle relazioni social; è una differenza di mentalità, c’è chi ha colto nel calcio un’occasione di vivere fuori e chi invece ha preferito che questo sport non pregiudicasse le proprie scelte di vita. 

Poi si è sempre in tempo per farlo quindi non è detto.








Grazie   

a cura di Paolo Radi   





21      06    2019 
(Tutti i diritti riservati)