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martedì 16 luglio 2024

SEZIONE SPORT

 

 

 

 

Paolo Radi intervista

 

 

 

 

VITTORIO

STARA 

 

 



 

 

 

Vittorio Stara, di Napoli, prima giocatore di calcio è ora un allenatore, così ci si presenta.

 

“Ho iniziato a giocare a calcio in una squadra del mio quartiere Casoria-Arpino dall’età di 4 anni. Dopo questa esperienza mi sono trasferito nella società Casalnuovo calcio all’età di 14 anni per poi concludere all’età di 16 anni nelle giovanili della F.C Turris che militava in Serie D ed è stata la mia ultima esperienza di calcio giocato. Voglio anche precisare di aver giocato altri 3/4 anni prima di smettere nelle categorie categorie minori.

 

Come allenatore ho iniziato nella scuola calcio Real Casarea di Tavernanova in provincia di Napoli come collaboratore tecnico del mister.

 

Dopo 6 mesi in questa scuola calcio quest’anno farò il secondo allenatore/collaboratore nella Juniores nazionale della Palmese che milita in Serie D.”

 

 

 

Come prima domanda le voglio fare questa: lei ha ottenuto la licenza Uefa C per allenare, una bella soddisfazione, che ci può dire a riguardo di questo importante obiettivo raggiunto?

 

Il corso per l’abilitazione Uefa C è stato un traguardo che mi ha arricchito sia a livello umano che a livello di conoscenze calcistiche.

L’abilitazione non fa di te un allenatore, che sia chiaro, però ti apre un mondo: non solo per quello che ti spiegano i professori che comunque sono persone che hanno lavorato nel calcio che conta, ma ti forma soprattutto il confronto con i tuoi colleghi e alunni come te.

L’abilitazione è solo un punto di partenza che ti apre la mente e ti apre un mondo ma poi bisogna lavorare sul campo e apprendere il più possibile

 

 

Questa è una domanda che faccio sempre: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

 

Il calcio è una passione che ho da sempre fin da piccolo, posso guardare partite all’infinito senza mai annoiarmi, stare su un campo da calcio per ore e ore senza rendermi conto delle ore che sono passate. Penso che questo possa bastare per capire l’amore per questo sport.

 




 



I suoi genitori hanno appoggiato questa passione, oppure le dicevano la classica frase: “Non è meglio se pensi allo studio”?

 

I miei genitori non mi hanno mai posto limiti su quello che io volessi fare ma non ti nascondo che tutt’ora mi dicono di “trovarmi un lavoro” perché per tutte le persone che non vivono di calcio non possono capire, per loro questo non è un lavoro, infatti  è perdere tempo dietro un “qualcosa” che, ribadisco per loro,  non si avvererà mai.

 

Non posso dire che vivere di calcio a questi livelli sia facile oppure ti dia da mangiare o farti costruire una famiglia, ma se alla base si pensa al lato economico allora consiglio a tutti di non intraprendere questa strada.

 

Se poi si vuole dare un tempo per provarci e si crede nei propri sogni, nelle capacità e si ha voglia di lavorare duro consiglio a tutti di provarci sempre con la consapevolezza che riuscirci non è facile, ma mal che vada hanno provato a fare quello che più gli piaceva.

 

 

Ha 16 anni lei termina un’esperienza importante nel settore giovanile della F.C. Turris che militava in serie D, che esperienza è stata? Perché ha deciso di lasciare il club?

 

Ho deciso di lasciare il club perché mi sono reso conto che non erano categorie che mi appartenevano, penso che ogni persona debba fare  anche auto-critica e quando vedevo che c’erano ragazzi molto più forti e il livello man mano si alzava capivo che in quei contesti avrei fatto fatica Il calcio è fatto di categorie e ognuno deve avere l’umiltà e la consapevolezza di fare quello che più gli si addice per lui in quel momento.

Non è detto che partendo dal basso non si possa arrivare in alto anzi a volte è il percorso migliore per un giocatore.

 

 

Perché ha deciso a un certo punto della sua vita di diventare allenatore? 

 

Perché mi rendevo conto di avere un qualcosa che mi stava legando a questo sport. Era un mio pensiero continuo, mi piaceva guardare le partite e analizzare i movimenti dei calciatori in campo, piuttosto che vedere la singola giocata. È sempre stata una mia passione quindi ho detto perché non provarci.

 


 


Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 

 

Un allenatore deve avere 1000 qualità e risorse.

Sicuramente deve essere preparato, deve avere sempre l’intelligenza di mettersi in discussione e di non sentirsi mai arrivato.

Deve essere empatico e scaltro per leggere le varie situazioni anche all’interno dello spogliatoio e non solo all’interno di una partita.

 

 

     Qual è il suo stato d’animo prima di una partita? 

 

Prima di ogni partita mi sale un’ansia incredibile, spesso si va sul campo due ore o un’ora  e mezza prima, ma sembrano un’eternità.

Nel frattempo la sigaretta è l’unica che ti può fare compagnia per scaricare l’adrenalina pre partita.

 

 

    Quali consigli si sente di dare ai giocatori prima di una partita?

 

Ai giocatori dico sempre di stare tranquilli, sereni e di fare un’analisi di loro stessi.

La partita è lo specchio della settimana con molte imprevedibilità, però se in settimana hai lavorato bene e hai dato il massimo quelle imprevedibilità la domenica sei più pronto a risolverle.

 








  Che cosa le sta dando il calcio e che cosa le sta togliendo? 

 

Mi sta dando tanto sotto l’aspetto umano e di voglia di fare. Mi sta togliendo tanto tempo alla vita privata, amici, fidanzata, famiglia

 

 

Il calcio all’ultimo Europeo ha saputo esprimere poco, tante le critiche rivolte sia all’allenatore, sia ai giocatori, perché il calcio italiano non riesce a raggiungere certi obiettivi?

 

Non è vero che nel calcio Italiano si lavora sempre male, le categorie al di sotto dell’under 21 della nazionale stanno vincendo spesso o arrivando quasi sempre nelle fasi finali.

Purtroppo è anche vero che nel nostro campionato i giocatori top sono quasi sempre di altre nazionalità, ma questo non vuol dire il calcio italiano sia terminato o non dica ancora la sua.

 

Resta sempre uno dei campionati Italiano è sempre nei top 3 in Europa.

 

 

Alcuni opinionisti dicono che i giocatori italiani sono troppo viziati e che, mentre giocavano in quest’europeo, pensavano alle vacanze al mare, lei è d’accordo?

 

A un certo punto della carriera specialmente per chi è arrivato in nazionale i soldi non sono più un problema.

Non credo che i  giocatori stessero pensando alle vacanze, queste  sono dicerie di chi non vive il calcio nemmeno ai livelli più bassi, quando arrivi ad un certo punto c’è la soddisfazione personale, la voglia di vincere, entrano in gioco altri fattori che niente hanno a che fare con i soldi e le vacanze.

 

Quando si gioca un Europeo e si veste la maglia della Nazionale si pensa solo a quello e a fare bene. Il resto viene dopo

 

 

Un sogno per il futuro?

 

Arrivare il più lontano possibile.



Grazie 

 

15. 07  2024 

 

(Tutti i diritti riservati) 

 

 

 

  

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