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giovedì 26 ottobre 2017

I   N   T   E   R   V   I  S   T   A  





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PARTIGIANO IN CAMICIA NERA


CONVERSAZIONE

con


ALESSANDRO CARLINI



a cura di Paolo  Radi



Alessandro Carlini giornalista di Ferrara che lavora per l’Ansa e collaboratore per la Repubblica, nel 2017  ha pubblicato per Chiarelettere  un libro che fa discutere l’Italia intera: 'Partigiano in camicia nera' - La storia vera di Uber Pulga . Noi gli abbiamo rivolto qualche domanda.











Alessandro sei nato a Ferrara, la prima domanda è d’obbligo come mai la scelta di fare il giornalista?

Esattamente sono nato a Portomaggiore, in provincia di Ferrara, verso il mare e le valli, fin da lì la passione per la campagna e il mondo rurale che ho portato anche lavorando in giro per il mondo. Sono un giornalista dell'Ansa, redazione di Londra, e in precedenza ho lavorato negli Usa, in Europa e Medio Oriente per altre testate italiane. La passione per questo mestiere nasce prima di tutto dal desiderio di conoscere realtà diverse dalla mia e descriverle oltre che da un profondo amore per la storia. Il giornalismo talvolta è contribuire a scrivere un pezzo di storia nel momento in cui si compie. 







Lavori per l’Ansa di Londra e collabori con la Repubblica, di cosa ti occupi in particolare?

In particolare di Gran Bretagna naturalmente, ma anche di altri Paesi, sempre nell'ambito degli esteri, con sempre un particolare riguardo alla storia, mia grande passione.


Veniamo ora al tuo libro che ha suscitato tante discussioni e polemiche “Partigiano in Camicia Nera” edito da Chiarelettere nel 2017, l’idea di questo libro ti è venuta da tuo nonno Franco Pulga, cugino di Uber Pulga, ucciso a 25 anni nel febbraio del 1945 dai suoi stessi camerati repubblichini, questa storia la conoscevi sin da bambino oppure ti è stata raccontata da adulto?

Si può dire che sia l'eredità che mio nonno mi ha lasciato, dopo la sua morte avvenuta nel 2005. Mi parlava fin da piccolo delle vicende straordinarie di Uber Pulga, fascista convinto che alla fine decide di morire per la Resistenza. Il nonno mi aveva lasciato molti documenti sulla vicenda del nostro cugino, fra cui il foglio matricolare di Uber e alcune lettere, ma mancavano altri tasselli, determinanti nella ricostruzione della sua storia, che sono riuscito a trovare nelle mie ricerche in Italia e all'estero.








Il titolo del libro sembrerebbe un  ossimoro, partigiano/nero, non trovi? Come mai questa scelta?

Lo sarebbe se non si considerano i documenti che ho trovato e che sono alla base della scelta, mia personalissima, del titolo, piaciuto molto alla casa editrice. In un verbale dei Carabinieri di Collecchio del 1950 infatti risulta, nero su bianco, che Uber Pulga venne fucilato per essersi unito ai partigiani nella zona collinare fra Parma e Reggio all'inizio del 1945, disertando dalla sua unità, la divisione Italia della RSI, ma mantenendo la divisa con la camicia nera da ufficiale (era sottotenente) di Salò. Gli serviva infatti per convincere i partigiani a collaborare con loro, infiltrandosi in un deposito militare di Reggio Emilia per fornire armi alla Resistenza. Ma l'azione non andò in porto e lui venne catturato e piazzato davanti al muro delle fucilazioni a Gaiano di Parma.


Uber Pulga, come narrano i fatti  sceglie il fascismo, viene addestrato al controspionaggio in Germania, e a Reggiolo (provincia di Reggio Emilia) si infiltra in un gruppo di partigiani. Grazie a questi meriti il Duce decide di incontrarlo di persona, cosa si può dire di questo incontro?

Mussolini incontra Uber in una visita alla divisione Italia nel Parmense, siamo nel gennaio 1945, la guerra è perduta, il Paese è in rovina, il Duce è l'ombra di se stesso, un uomo alla fine dei suoi giorni di dittatore. Va a Collecchio di Parma per decorare e promuovere Uber dopo la sua missione da infiltrato tra i partigiani di Reggiolo che ha consentito alle forze della RSI di uccidere due patrioti e quindi mettere in ginocchio una unità partigiana nel Reggiano. Uber in teoria aspettava quel momento da una vita, lui cresciuto nel mito di Mussolini che si ritrova il Duce davanti agli occhi, lì per conferirgli i gradi desiderati da sempre. Ma non è così. Dandogli la mano si rende conto dell'errore tragico, nella maledizione in cui è incorso seguendo quell'uomo. Il senso di colpa lo macina e lo divora, Uber ricorda i partigiani morti per le sue spiate e inizia un processo di rifiuto del fascismo che lo porta alla diserzione e al tentativo di unirsi ai partigiani.








Perché ad un certo punto, deluso dal fascismo, ma  non rinnegandolo, diventa partigiano, non sarebbe stato più logico, combattere sino alla fine, oppure fuggire dall’Italia vista la sua delusione nei confronti della RSI?

Rinnegarlo e basta non avrebbe avuto senso, Uber, soldato per una vita, tenta di rimediare militarmente all'errore commesso, sostenendo la Resistenza. E' impensabile per lui fuggire, lo potrebbe fare tranquillamente con la sua esperienza di spia alle spalle. Ma non lo fa, anzi, in un certo modo va incontro alla morte, la cerca.


Uber Pulga come emerge dal libro pare non seguire nessuna bandiera. Anche se aveva aderito alla RSI, collabora con i partigiani, però non segue neanche la “bandiera rossa”, un personaggio controverso per molti lettori, non trova?

Controverso per noi oggi, direi, abituati a dare definizioni chiare di fenomeni umani, come quelli storici, che in realtà furono ben più complessi. Uber aveva la ''guerra civile'' di un intero Paese dentro di sé, la rappresenta per ogni sua parte. Alla fine sceglie una parte per cui morire, la Resistenza, ma sentendo ancora forte le scelte di tutta una vita in tutt'altra direzione. Ricordando lui ricordiamo un po’ tutti i ragazzi che non sono tornati da quel terribile conflitto.  



Non pensa che molti lettori e storici potrebbero far fatica a comprendere questa figura, che alla fine ha seguito solo la propria coscienza?

Penso che viviamo un'epoca in cui ci sia bisogno invece di figure così. Sappiamo già tutto degli eroi cosiddetti “puri”, che avevano fin da sempre scelto una parte, quella “giusta”. Ma in realtà sono molto più interessanti, umani e simili a noi e alla nostra società in disgregazione per alcuni, o liquida per altri, figure complesse, con mille sfaccettature, che lasciano aperti interrogativi e dubbi, gli stessi che abbiano noi. Uber Pulga è di sicuro uno di loro e in un certo modo uno di noi.



Questo libro è anche la storia della sua famiglia,  durante la  stesura e dopo aver svolto tante ricerche storiche, è riuscito a distaccarsi ed essere oggettivo nel raccontare questa vicenda?

Penso di sì. Anzi, ho calcato la mano non risparmiando niente al mio parente e alle sue azioni commesse in guerra. Non volevo che qualcuno mi accusasse di scrivere un panegirico sulle gesta di Uber Pulga, tutt'altro, ci sono parti del libro che sono state difficili da “digerire” dal punto di vista emotivo.



Il libro  ci offre la figura tormentata di un uomo, un uomo che diventa il simbolo di un’Italia “divisa in due”: seguire il Duce sino alla fine o combatterlo, è così?

Proprio così, Uber ha in sé la contraddizione di una nazione attraversata dalla guerra fratricida. Lui che ha combattuto da entrambe le parti percepisce proprio quella divisione e non è un caso che dica al cappellano militare che lo confessa prima di andare di fronte al plotone d'esecuzione: “Ho tradito tutti”.  


E' proprio così, non ci sono vie di mezzo nelle scelte di Uber Pulga, è un personaggio drammatico anche in questo.

E' il personaggio tragico per definizione, potrebbe ricordare gli archetipi della tragedia greca nella sua contraddizione che si scioglie e libera solo nella morte finale.



Alcuni critici hanno definito il protagonista “ un fascista responsabile”, trova questa affermazione corretta?

Uber Pulga può essere definito in molti modi, c'è chi l'ha chiamato anche fascista rosso o partigiano nero. Alla fine è morto da partigiano ma portando ancora la camicia nera.



Ancora oggi l’Italia è divisa, sembrerebbe che la guerra civile non sia affatto conclusa, basta infatti una semplice affermazione per essere accusati di “fascismo” o di “comunismo”. Quando finirà quest’odio che ci attanaglia?

Finirà quando ci sarà una memoria condivisa, un passato condiviso e non più la diatriba dei vincitori e dei vinti. Ma ci saranno i vivi che rispetteranno i morti senza più coinvolgerli nelle loro sterili polemiche ideologiche.



Il 25 aprile è sempre per molti una giornata controversa, i motivi sono tanti, provo ad elencartene qualcuno: siamo stati liberati dagli americani e non dai partigiani, l’Italia è stata invasa e non liberata, i liberatori sono diventati i nuovi dominatori, oppure i partigiani hanno riscatto agli occhi del mondo la volontà di un popolo ci combattere i nazifascisti, e altri slogan che tutti conosciamo. Per lei che cosa rappresenta il 25 aprile?

Il 25 aprile deve restare come la festa dei liberatori e fra loro io considero gli alleati, senza i quali non sarebbe stata possibile la liberazione, e naturalmente i partigiani, senza i quali avremmo ancora il drammatico retaggio dei tedeschi, la cui Resistenza e ribellione ad Adolf Hitler fu un fenomeno purtroppo limitato. Per me è un giorno straordinario da trascorrere ricordando quei ragazzi che sono morti per garantirci un mondo libero, con tutti i difetti che può avere, ma fondamentalmente libero. 




Grazie e al prossimo libro!




27      Ottobre     2017




Grazie


mercoledì 25 ottobre 2017

25   Ottobre   2017  



PAOLO RADI PRESENTA





I PENSIERI DI GIORGIO CARTA





Giorgio Carta ex-ufficiale, svolge la professione di avvocato.
Quelle che seguono sono le sue riflessioni.




Figurine






Attenzione: per essere à la page, si raccomanda di sostituire momentaneamente il motto “no jus soli” e le invettive anti immigrati con la foto di Anna Frank. 
Tanto su Facebook le pernacchie non si sentono e la coerenza è un optional.





Giorgio Carta 25  Ottobre  2017



sabato 14 ottobre 2017

14   Ottobre    2017  



PAOLO RADI PRESENTA





I PENSIERI DI GIORGIO CARTA




Giorgio Carta ex-ufficiale, svolge la professione di avvocato.
Quelle che seguono sono le sue riflessioni.




Anche oggi…






Buongiorno. Anche oggi (come ieri e come domani) spenderemo il milione e trecentomila di euro giornalieri necessari per la missione in Afghanistan*, che si protrae da 16 anni. 
Ma voi continuate ad indignarvi per il Wi-Fi gratuito agli immigrati, che forse manco ci sarebbero se non avessimo infestato il mondo con le nostre missioni di pace.
(*) fonte Fatto quotidiano





Giorgio Carta 14 ottobre  2017