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mercoledì 24 agosto 2022

SEZIONE SPORT

 

 

 

 

Paolo Radi intervista

 

 

 

 

DANILO

RUSSO






     



Danilo Russo di Castellamare di Stabia è nato l’8 luglio del 1987, è un calciatoreitaliano ed il  portiere della Juve Stabia

 

 

Inizia la sua carriera nel vivaio del Genoa, club col quale vince il torneo di Viareggio 2007, poi Russo milita in C2 e in C1. In seguito viene ceduto in compartecipazione al Vicenza, dove indossa il numero 1 (l'estremo difensore dei veneti Alberto Frison andrà al Genoa).

 

Nel luglio 2011 si trasferisce allo Spezia, squadra militante nel terzo livello del calcio italiano. Al suo primo anno vince tre titoli ed ottiene la promozione diretta in Serie B. Dopo aver appena iniziato la nuova stagione, nel 2013, la Pro Vercellilo  acquista in comproprietà  (Alex Valentini passare ai bianconeri). 

 

Nella stagione seguente la Pro Vercelli ne riscatta la comproprietà, Nel 2014/2015 gioca tutte le 42 partite di Serie B piazzandosi 13º nella Top 15 dei portieri di Serie B secondo una classifica stilata dalla Lega Serie B. Dopo aver giocato con  il Matera, Juve Stabia e Venezia, si trasferisce alla Casertana in serie C. Dalla stagione 2020 2021 a oggi gioca nella S.S. Juve Stabia.

 

Da precisare che Danilo Russo è diventato il primo calciatore professionista laureato in Calcio (scienze motorie - indirizzo Calcio, università San Raffaele di Roma). Russo ha discusso una tesi in parte autobiografica dal titolo “Il portiere moderno: ruolo traumatologia e prevenzione”.

 

 


 


 

 

Per prima cosa mi congratulo per essersi laureato in Scienze Motorie, come prima domanda le voglio fare questa, Il Covid ha stravolto le nostre vite, come ha vissuto questo lungo periodo di pausa? 

 

Il covid ha stravolto le nostre vite, è vero, ma sinceramente non ho mai avuto paura di contrarre il virus. Ho sempre vissuto con attenzione ed accortezza per salvaguardare soprattutto le persone con cui ho contatti, ma non ho mai avuto paura. Anzi, a dirla tutta, una volta contagiato, ho sperato che tutta la mia famiglia venisse contagiata per superare quell’ansia inconscia che televisione e media tutti (giustamente) hanno instaurato in noi col passar del tempo. Il periodo poi dello stop forzato è stato uno dei periodi più belli della mia vita. Ho avuto la possibilità di godermi la famiglia in ogni istante, cosa che al giorno d’oggi è diventata impossibile. È vero, ho dovuto rinunciare a qualcosa, ma nulla in confronto a chi ha dovuto affrontare un fallimento o un crollo improvviso della propria attività.

 

 

Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

 

Ho avuto la fortuna di nascere e crescere in un complesso di casette con un campetto da calcio condominiale. Quando ero bambino, era sempre occupato da ragazzi più grandi e come succede di solito, pur di giocare, accettai di giocare in porta. Da lì è nato tutto: in estate trascorrevo intere giornate nel campetto; in inverno, appena tornavo da scuola, dovevo subito terminare i compiti assegnati a casa per poter andare a giocare. Quel campetto mi ha regalato un’infanzia memorabile. 

 

 

I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, oppure le hanno detto la classica frase: “...non sarebbe meglio che pensassi allo studio?”

 

I miei genitori hanno sempre assecondato la mia volontà e la mia passione. Non potevano fare altrimenti. Vivevo con il pallone e di pallone. Probabilmente avrebbero preferito che studiassi, mia madre è un’insegnante, come lo sono stati i miei nonni, ma la passione per il calcio era troppo grande. Se fosse stato possibile, avrei proseguito in concomitanza calcio e studio. Avrei volevo studiare medicina, ma essendoci l’obbligo di frequenza ho dovuto scegliere. Tutt’ora mi piacerebbe iscrivermi al corso di laurea in fisioterapia o medicina, ma finché continuo a giocare, non posso. Ma non mi pongo limiti.

 

 

Com’è arrivato a giocare al Genoa? 

 

Al Genoa sono arrivato grazie al mister che avevo ai tempi della scuola calcio (Mister Antonio Gallo) e ad un intermediario (Angelo Belmonte). Ma soprattutto perché avevo un obiettivo, quello di diventare calciatore. Tutta la mia vita si è sempre incentrata sul calcio.

 

Si era ambientato bene oppure ha avuto le classiche difficoltà che ci sono per un giovane ragazzo che si allontana dalla famiglia?

 

All’inizio mi sono ambientato bene, ero entusiasta della nuova vita. Il mio sogno iniziava ad avverarsi sempre di più. Vivevo in un collegio assieme agli altri ragazzi del Genoa e della Samp. 

Avevo 14 anni quando sono andato via di casa. Vedevo la mia famiglia una volta ogni mese e mezzo circa; non avevo il coraggio di chiedere a mia madre i soldi per acquistare un biglietto del treno, figuriamoci quello dell’aereo. Quanti viaggi di notte seduto a terra nel corridoio dell’Intercity notte Genova-Napoli. 

 

A fine anno calcistico, ho iniziato a patire la lontananza e mia madre, essendo una insegnante, l’anno seguente (il secondo anno che avrei dovuto essere via di casa) ha chiesto il trasferimento in Liguria e ha avuto la forza di spostare mia nonna, se stessa e mio fratello per assecondare la mia passione. Abbiamo vissuto un anno nuovamente insieme, a Genova Nervi, dopodiché sono tornati tutti a casa in Campania. Questo mi ha aiutato molto, ha spezzato quella solitudine e mi ha permesso di andare avanti. Devo ringraziarla all’infinito perché non posso quantificare i sacrifici che ha fatto per me.

 

 

Lei ha giocato in diverse squadre, a quale è rimasto più   legato? 

 

Sono legato a tutte le squadre in cui ho giocato. A Vicenza ho trovato mia moglie, in altre città ho vinto campionati. Ogni squadra ed ogni città mi hanno dato qualcosa di diverso che porto tutt’ora dietro in maniera indelebile.




Lei è un giocatore conosciuto ed apprezzato da molti, che cosa significa tutto ciò? 

 

Significa che ho una possibilità in più di dare l’esempio. Per ‘esempio’ intendo trasmettere il rispetto, la lealtà, il perseguire gli obiettivi, la coerenza. Il calcio mi permette di trasmettere quei valori che spesso si dimenticano per strada. Tengo moltissimo a questi aspetti. Il calcio è diventato un mezzo.

 

 

Oltre al calcio quali altri sport segue con grande interesse?

 

Direi che seguo un po’ di tutto, dal tennis al beach volley, dall’atletica al nuoto, ma non in maniera accanita. Quello che preferisco è praticare lo sport in generale.

 

 

Si ricorda la sua parata più bella?

 

Mi ricordo di un rigore parato al Bentegodi contro il Verona. Giocavo nel Pergocrema, in serie C1. Quell’anno il Verona vinse il campionato, ma a Verona vincemmo 1 a 0 e parai, come dicevo, un rigore

Un’altra parata che ho impresso in testa è una parata all’incrocio che feci con la Pro Vercelli in Lega Pro durante la finale play off contro il Sud Tirol.

 



 





Un suo pregio e un suo difetto (calcisticamente parlando) 

 

Un mio pregio sono le uscite alte. Nonostante sia un portiere non molto alto, ho un buon tempo di stacco ed una buona lettura della traiettoria. Un difetto è nell’uno contro uno. Gli attaccanti o chi per essi mi saltano e mi fanno gol troppo facilmente se ci troviamo a tu per tu.

 

 

Se avesse la possibilità di tornare indietro, cambierebbe qualcosa, oppure è soddisfatto di dove è arrivato sino ad ora? 

 

Sono arrivato dove ho meritato. Mai nessuno mi ha regalato nulla. Posso dire di essere soddisfatto, anche se non ho giocato in Serie A. Credo che più che per le qualità tecniche, non sono mai riuscito ad impormi per via del mio aspetto emotivo. Credo sempre nella buona fede delle persone, invece moltissimi, quasi tutti, ti utilizzano come mezzo per raggiungere i propri obiettivi. Quello che mi pesa di più però, è il fatto di aver fatto mille rinunce quando ero ragazzo e di non aver creato un rapporto profondo con mio fratello. Non mi sono goduto la famiglia perché quando sono andato via di casa avevo 14 anni e mio fratello ne aveva appena 9. Praticamente lui è cresciuto come figlio unico e questo mi fa male da sempre.

 

 

Lei è nato a Pompei che cosa rappresenta questo luogo per lei?

 

Io sono solamente nato a Pompei, ho sempre vissuto a Castellammare di Stabia. Per me è una città fantastica: c’è il mare, c’è la montagna, ci sono le terme, bisogna passare da Castellammare per andare in costiera Sorrentina. Ci sarebbero tutti i presupposti per rendere turistica al mille per mille questa città. Non mi spiego perché non lo si voglia.

 

 

Famiglia e amici quanto sono importanti per lei? 

 

La famiglia è fondamentale. Senza non riuscirei a stare. Non riuscirei ad andare a giocare in una squadra da solo, senza mia moglie e i miei bimbi. Amici. amici è una bella parola. Conosco tantissime persone, ma amici pochi, per scelta. Ho sempre avuto interessi diversi rispetto agli altri componenti dei gruppi dei quali ho fatto parte. Non mi è mai interessato fare l’aperitivo o andare in discoteca. Non mi piace apparire, non mi piace farmi vedere perché ho la macchina bella o gli zaini firmati. Ho sempre pensato alla strada migliore per far il mio lavoro nel migliore dei modi. E poi non è facile cambiare città ogni anno o ogni due e continuare a mantenere quel rapporto intenso che si viene a creare quando si è sempre insieme, anche quando si è lontani 7/800 km. Quelli con cui sono riuscito a fare ciò, quelli che si sono dimostrati veri, autentici, sono gli amici. E sono orgoglioso di poterli contare sulle dita di una mano, perché li ho scelti e loro hanno scelto me”

 

 

Un sogno che vorrebbe che si realizzasse nell’immediato? 

 

Un sogno nell’immediato è vincere il campionato con la Juve Stabia e tornare a giocare in Serie B. 

Un sogno calcistico a lungo termine è poter arrivare da tecnico o da dirigente, dove non sono arrivato da giocatore. Un sogno di vita è quello riuscire a condurre una vita tranquilla e serena e godere del mare il più possibile. Non mi interessa avere lo smartphone di ultima generazione, voglio arrivare ad avere una serenità interiore che mi faccia vivere felice.

 

 

 

24  agosto   2022

 

(Tutti i diritti riservati) 

 

 

 

 

 

 

 

 

sabato 13 agosto 2022

SEZIONE SPORT

 

 

 

 

Paolo Radi intervista

 

 

 

 

GAETANO 

FORMICOLA

 


     


 

 

 

Gaetano Formicola è un giovane giocatore di Napoli e così ci si presenta: 

 

San Giorgio a cremano il sei giugno del 2001, mi ricordo che avevo 4/5 anni quando iniziati   a giocare nella Scuola Calcio Olimpia Barra.

 

Sono stato a Reggio Calabria con la Reggina nel settore giovanile, dopodiché sono andato al Rotonda in eccellenza (abbiamo vinto il campionato e siamo andati in serie d), ci sono restato la per altri due anni. 


Successivamente ho militato nel San Giorgio dove ho vinto un altro campionato di eccellenza, poi mi sono traferito a Scafati con la Scafatese, quest anno giocherò per il Real Agro Aversa”

 

 

 

 


Il Covid ha stravolto le nostre vite, come ha vissuto questo lungo periodo di pausa? Riusciva ad allenarsi quotidianamente?

 

Durante il periodo di pandemia, credo che un po’ tutti siamo stati penalizzati, sia dal punto di vista fisico e sia da quello con le proprie squadre.

 


Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

 

Sin da bambino questo sport è sempre stata la mia priorità. Partendo dal parco di casa mia per arrivare ad iniziare a giocare in un campo vero e proprio.

 

  

I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, oppure le hanno detto la classica frase: “...non sarebbe meglio che pensassi allo studio?”

 

I miei genitori si mi assecondavano, però gli studi erano sempre presenti. 

 

 









Quest’anno lei milita nel Real Agro Aversa, che cosa vorrebbe dire ai tifosi?

 

Sono felicissimo di approdare in una città come Aversa che ama il calcio, ho scelto questa città anche perché il direttore Paolo Filosa che mi ha convinto su ogni aspetto e lo voglio ringraziare pubblicamente insieme al presidente. Sono giovane e ho tanta voglia di fare bene quest'anno!!

 


Perché tutti provano a diventare calciatori? Che cosa gli attira, più la fama o i soldi? E per lei cosa significa tutto ciò?  

 

Si cerca di riuscirsi a realizzarsi per una soddisfazione personale, per quel che mi riguarda  cerco di realizzarmi nel calcio  soprattutto per dare una soddisfazione alla mia famiglia che crede sempre in quello che faccio.

 





 


Lei è abita a Napoli, quartiere San Giovanni a Teduccio, tra l’altro vicino al famoso murales che rappresenta Diego Armando Maradona, che effetto le fa camminare e vedere questo grande campione che tutto il mondo conosce?

 

Davanti al murales del grande Diego ci passo ogni giorno ed ogni giorno, uno sguardo verso di lui c’è sempre. 

 

 










Famiglia e amici quanto sono importanti per lei? 

 

La mia famiglia, la mia ragazza e i miei amici sono molto importanti per me. Tutti loro sono sempre pronti a darmi conforto anche nei momenti negativi. 

 


Un sogno nell’immediato che vorrebbe che si realizzasse? 

 

Il mio sogno è un po’ come quello di tutti noi: riuscirsi a realizzarsi il prima possibile.

 

 

13 08    2022

 

(Tutti i diritti riservati) 

 

 

 

 

 

venerdì 29 luglio 2022

SEZIONE SPORT

 

 

 

 

Paolo Radi intervista

 

 

 

 

SIMONE 

FABIO 

 








 

Simone Fabio di Roma così ci si presenta: “Ti posso dire che attualmente il ruolo che ricopro è quello del responsabile tecnico del centro federale di Roma per il progetto Evolution programme per la FIGC. 

 

Facciamo attività con ragazzi selezionati al centro federale mentre durante la settimana con l’area di sviluppo territoriale si va itinere nelle società per lo sviluppo della metodologia con i club del territorio. 

Ricopro il ruolo di responsabile tecnico federale da un paio d’anni. 

 

Sempre con la federazione mi occupo del progetto di didattica integrata nei licei sportivi. 

 

Per il resto, mi occupo di formazione e metodologia a 360º nel mondo del calcio giovanile con l’obiettivo di creare ambienti di apprendimento. 

 

Più che un lavoro la considero una missione: quella di far rivivere a più bambini e ragazzi possibili ciò che ho avuto la fortuna di vivere io alla loro età.

 

Da calciatore sono cresciuto nei vivai della Lazio prima e della Roma fino ai 17 anni e nonostante poi abbia interrotto presto la carriera da calciatore, credo che il calcio mi abbia migliorato come persona e mi abbia permesso di sviluppare capacità relazionali utili in qualsiasi campo, non solo in quello verde”.

 

 


 

 

 


Il Covid ha stravolto le nostre vite, come ha vissuto questo lungo periodo di pausa? 


Fortunatamente è alle spalle da diverso tempo la pausa. Rimane però negli occhi di tutti noi il disagio vissuto. Nella società è aumentata l’isteria, il cinismo, l’aggressività. Ho la fortuna di vivere a Roma, ed andando in giro difficilmente si respira un clima sereno, negli uffici, nel traffico di tutti i giorni. A volte sembra che bisogna uscire di casa con l’elmetto, ed è spiacevole perché purtroppo la guerra c’è ed è anche vicina, ma non qui. Dovremmo sentirci fortunati ogni giorno, aldilà dei problemi e delle difficoltà quotidiane, basterebbe rispettare il prossimo ed essere cittadini propositivi.












Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?


Credo giocando. Da piccolissimo mi ricordo le quattro di pomeriggio all’oratorio d’estate, appuramento fisso con gli amici e il pallone di gomma con cui giocavo dentro casa, a volte mi capitava di odorarlo. Aveva il profumo dei sogni. Non si spiega.




I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, appoggiandola nelle sue scelte, oppure le hanno detto la classica frase: “...non sarebbe meglio che pensassi allo studio?”


Sempre. Hanno sostenuto il mio percorso negli anni. Hanno incentivato l’attività senza mai pressarmi, facendomi capire se fosse quello che volevo e guidandomi nelle difficoltà, ma lasciandomi sempre lo spazio per vivere l’esperienza in prima persona. Non sono ancora genitore, ma lavoro nei settori giovanili. Nei workshop che organizzo sul ruolo del genitore - l’importanza di accompagnare i ragazzi nel percorso di calcio giovanile  - mi verrebbe da dirgli: fate esattamente come i miei. Risulterei essere di parte è vero, ma il mio giudizio è imparziale. Conosco così tante situazioni difficili nelle famiglie dei ragazzi, che se penso alla mia da bambino e adolescente, penso davvero di essere stato fortunato. Li ringrazierò sempre, ma mai abbastanza.











Lei si è formato nei vivai prima della Lazio e poi della Roma, che tipo di esperienza è stata? 


È stata l’esperienza che auguro di vivere a tutti i bambini e ragazzi che amano il calcio. Dal 1995 al 2002 alla Lazio, dal 2002 al 2008 alla Roma. Non penso sia giusto affermare che sono stati gli anni più belli della vita, ma i più belli che potessi vivere in quegli anni sì. Ricordo sempre le giornate di sole, il campo come una costante di vita. I compagni di squadra che sono stati i fratelli che non ho mai avuto essendo figlio unico. Gli devo tanto. Mi hanno permesso di condividere esperienze, trasferte, spogliatoi, camere d’albergo.  Da giovanissimo ho scoperto quello che solo il calcio può darti. Le emozioni di qualsiasi genere che ti permettono di scavare in profondità, di esprimere la tua personalità. 


I professionisti che ho incontrato negli staff di quegli anni sono coloro che mi hanno fatto innamorare ancor di più di questo sport, fino a farne un lavoro.

Poi devo dire che le realtà professionistiche in cui ho militato mi hanno permesso di conoscere la “strada principale del calcio”, quella che sto cercando di costruire ora nei settori giovanili dilettanti, perché aldilà del livello di apprendimento è giusto che più bambini e ragazzi possibili conoscano il calcio quello vero, quello bello, in cui là trasmissione dei valori è insita alla bellezza di questo sport. Spero che negli anni queste esperienze possano essere vissute da più giovani calciatori giovani possibili. Io nel mio piccolo lavoro per questo.




Le posso chiedere come mai ha abbandonato la carriera da giocatore? 


Non l’ho mai abbandonata totalmente. Diciamo che idealmente penso di averlo fatto nel 2010 abbandonando il professionismo. Quando vai nei dilettanti scopri un altro sport, che non è neanche paragonabile. Il motivo è nella testa. Ognuno di noi ha il suo carattere, ed essere giocatori forti significa anche saper convivere con le difficoltà, io ho sempre privilegiato il divertimento del calcio, la parte pura, l’essenza. 


Non ho mai accettato di perdere il sorriso e lottare per un obiettivo. Però credo sia sbagliato tutto ciò, perché dopo un certo percorso, si è grandi e sarebbe giusto comportarsi da professionisti e non da amatori. Ora capisco che eticamente sarebbe stato giusto non mollare, ma continuare a vivere esperienze importanti con il rischio di incontrare difficoltà. 


Forse ho amato troppo questo sport e da persona sensibile con i sentimenti forti faccio fatica. Ma non ho rimpianti e alibi. Sono felice del mio percorso anche se non ho fatto il calciatore professionista nella vita. E gli alibi esistono solo nei film.












Lei attualmente ricopre il ruolo molto importante che è quello di Responsabile tecnico del centro federale di Roma per il progetto Evolution programme per la FIGC. Come responsabile tecnico com’è organizzata la sua giornata lavorativa? 


Si inizia ben presto la mattina calendarizzando tutti gli impegni. Il lunedì facciamo attività con ragazzi selezionati, mentre durante la settimana sempre con lo staff tecnico, andiamo in itinere a formare gli staff dei club del territorio, quelli che lavorarono nei quartieri delle grandi città fino ai Paesi. È un lavoro affascinante perché devi entrare nella sfera di contesti sempre diversi e perché credo che il futuro e il cuore del calcio italiano risiedano proprio qui.

Settimanalmente sostengo anche corsi di formazione di primo livello Uefa e  grassroots sempre per il progetto Evolution programme voluto dalla FIGC.


Il pomeriggio è un momento cruciale delle mie giornate, è lì che è focalizzata l’attività.










Che studi, ha intrapreso per arrivare a ottenere questa importante mansione?


Iusm al Foro Italico di Roma, Scienze Motorie. Specificatamente al calcio, le licenze UEFA D, UEFA C e in ultimo UEFA B. Ad oggi sono fresco laureando in scienze politiche alla Luiss University, con cui collaboro per le attività di formazione. Credo sia giusto non smettere mai di mettersi in discussione, ed ecco perché ho deciso a 31 di laurearmi.










Inoltre sempre per la federazione si occupa di didattica integrata nei Licei sportivi. Nello specifico cosa cercate di fare con gli alunni? 


E’ davvero un’esperienza ricca. Conoscere giovani atleti di tutti gli sport, ti fa rendere conto quando la trasversalità sia reale in tutte le discipline. Un ragazzo che fa sport è incline al dialogo, al confronto aperto. È pronto ad adattarsi meglio di un coetaneo che non pratica. Nelle lezioni con loro trovare un chiave di comunicazione è davvero facile.










Lei più di chiunque altro conosce molto bene l’ambiente calcistico, lavorando per la F.G.C.I, molto spesso si sente dire che il calcio è malato, che non è più lo sport serio di una volta, che i bravi giocatori non ci sono più, come risponde a queste osservazioni?


Mi verrebbe da dire che forse è fin troppo serio. Ma ho capito il senso della sua domanda. Il calcio riflette la società, siamo troppo attratti dall’apparire, dal guadagno, dal successo, invece di concentrarci sull’essere, sulla gestione e sui valori. 


Riscopriamo l’essenza del calcio con politiche economiche di sostenibilità, con iniziative popolari, con la cultura nelle scuole e nelle accademie. Servono professionisti che testimonino quanto il calcio sia prima di tutto amore, passione e tanta voglia di mettersi in discussione.










Un suo pregio e un suo difetto (a livello lavorativo, è ovvio)? 


Sono due facce della stessa medaglia, essere dinamico mi permette di adattarmi alle situazioni velocemente, a volte riuscendo quasi ad improvvisare, ma ho difficoltà a programmare ed organizzare con costanza.










Un giocatore che lei ammira tantissimo? 


Il Simone da bambino, non quello dopo però Perché sognavo di essere tutti i migliori giocatori e provando ad esserli sono cresciuto come una persona migliore. Il giocatore che ammiro ha quel tipo di fantasia e quel coraggio di sbagliare che solo i bimbi riescono ad avere. La sfida è crescere mantenendolo.  











Famiglia, fidanzata e amici quanto sono importanti per lei? 


La famiglia per me è l’origine della vita. Credo nella famiglia, nell’amore e l’esempio dei miei genitori mi ha portato a pensare di farne presto una mia. La compagna è la mia metà, parte di me che preservo e che considero la mia priorità più grande. Gli amici sono i fratelli che ho scelto nella vita, di veri ce ne sono pochi, ma quelli che sono fondamentali.




Un sogno che vorrebbe che si realizzasse nell’immediato? 


La serenità per le persone che amo, tutti i loro sogni esauditi sarebbero il mio sogno più bello. Per il resto sta a me, per i miei che ho  sogni oltre a sognarli c’è il bisogno di inseguirli. Con dedizione ed entusiasmo.

 

 

 

 

 

 

30   luglio    2022

 

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