SEZIONE SPORT
Paolo Radi intervista
SIMONE
FABIO
Simone Fabio di Roma così ci si presenta: “Ti posso dire che attualmente il ruolo che ricopro è quello del responsabile tecnico del centro federale di Roma per il progetto Evolution programme per la FIGC.
Facciamo attività con ragazzi selezionati al centro federale mentre durante la settimana con l’area di sviluppo territoriale si va itinere nelle società per lo sviluppo della metodologia con i club del territorio.
Ricopro il ruolo di responsabile tecnico federale da un paio d’anni.
Sempre con la federazione mi occupo del progetto di didattica integrata nei licei sportivi.
Per il resto, mi occupo di formazione e metodologia a 360º nel mondo del calcio giovanile con l’obiettivo di creare ambienti di apprendimento.
Più che un lavoro la considero una missione: quella di far rivivere a più bambini e ragazzi possibili ciò che ho avuto la fortuna di vivere io alla loro età.
Da calciatore sono cresciuto nei vivai della Lazio prima e della Roma fino ai 17 anni e nonostante poi abbia interrotto presto la carriera da calciatore, credo che il calcio mi abbia migliorato come persona e mi abbia permesso di sviluppare capacità relazionali utili in qualsiasi campo, non solo in quello verde”.
Il Covid ha stravolto le nostre vite, come ha vissuto questo lungo periodo di pausa?
Fortunatamente è alle spalle da diverso tempo la pausa. Rimane però negli occhi di tutti noi il disagio vissuto. Nella società è aumentata l’isteria, il cinismo, l’aggressività. Ho la fortuna di vivere a Roma, ed andando in giro difficilmente si respira un clima sereno, negli uffici, nel traffico di tutti i giorni. A volte sembra che bisogna uscire di casa con l’elmetto, ed è spiacevole perché purtroppo la guerra c’è ed è anche vicina, ma non qui. Dovremmo sentirci fortunati ogni giorno, aldilà dei problemi e delle difficoltà quotidiane, basterebbe rispettare il prossimo ed essere cittadini propositivi.
Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?
Credo giocando. Da piccolissimo mi ricordo le quattro di pomeriggio all’oratorio d’estate, appuramento fisso con gli amici e il pallone di gomma con cui giocavo dentro casa, a volte mi capitava di odorarlo. Aveva il profumo dei sogni. Non si spiega.
I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, appoggiandola nelle sue scelte, oppure le hanno detto la classica frase: “...non sarebbe meglio che pensassi allo studio?”
Sempre. Hanno sostenuto il mio percorso negli anni. Hanno incentivato l’attività senza mai pressarmi, facendomi capire se fosse quello che volevo e guidandomi nelle difficoltà, ma lasciandomi sempre lo spazio per vivere l’esperienza in prima persona. Non sono ancora genitore, ma lavoro nei settori giovanili. Nei workshop che organizzo sul ruolo del genitore - l’importanza di accompagnare i ragazzi nel percorso di calcio giovanile - mi verrebbe da dirgli: fate esattamente come i miei. Risulterei essere di parte è vero, ma il mio giudizio è imparziale. Conosco così tante situazioni difficili nelle famiglie dei ragazzi, che se penso alla mia da bambino e adolescente, penso davvero di essere stato fortunato. Li ringrazierò sempre, ma mai abbastanza.
Lei si è formato nei vivai prima della Lazio e poi della Roma, che tipo di esperienza è stata?
È stata l’esperienza che auguro di vivere a tutti i bambini e ragazzi che amano il calcio. Dal 1995 al 2002 alla Lazio, dal 2002 al 2008 alla Roma. Non penso sia giusto affermare che sono stati gli anni più belli della vita, ma i più belli che potessi vivere in quegli anni sì. Ricordo sempre le giornate di sole, il campo come una costante di vita. I compagni di squadra che sono stati i fratelli che non ho mai avuto essendo figlio unico. Gli devo tanto. Mi hanno permesso di condividere esperienze, trasferte, spogliatoi, camere d’albergo. Da giovanissimo ho scoperto quello che solo il calcio può darti. Le emozioni di qualsiasi genere che ti permettono di scavare in profondità, di esprimere la tua personalità.
I professionisti che ho incontrato negli staff di quegli anni sono coloro che mi hanno fatto innamorare ancor di più di questo sport, fino a farne un lavoro.
Poi devo dire che le realtà professionistiche in cui ho militato mi hanno permesso di conoscere la “strada principale del calcio”, quella che sto cercando di costruire ora nei settori giovanili dilettanti, perché aldilà del livello di apprendimento è giusto che più bambini e ragazzi possibili conoscano il calcio quello vero, quello bello, in cui là trasmissione dei valori è insita alla bellezza di questo sport. Spero che negli anni queste esperienze possano essere vissute da più giovani calciatori giovani possibili. Io nel mio piccolo lavoro per questo.
Le posso chiedere come mai ha abbandonato la carriera da giocatore?
Non l’ho mai abbandonata totalmente. Diciamo che idealmente penso di averlo fatto nel 2010 abbandonando il professionismo. Quando vai nei dilettanti scopri un altro sport, che non è neanche paragonabile. Il motivo è nella testa. Ognuno di noi ha il suo carattere, ed essere giocatori forti significa anche saper convivere con le difficoltà, io ho sempre privilegiato il divertimento del calcio, la parte pura, l’essenza.
Non ho mai accettato di perdere il sorriso e lottare per un obiettivo. Però credo sia sbagliato tutto ciò, perché dopo un certo percorso, si è grandi e sarebbe giusto comportarsi da professionisti e non da amatori. Ora capisco che eticamente sarebbe stato giusto non mollare, ma continuare a vivere esperienze importanti con il rischio di incontrare difficoltà.
Forse ho amato troppo questo sport e da persona sensibile con i sentimenti forti faccio fatica. Ma non ho rimpianti e alibi. Sono felice del mio percorso anche se non ho fatto il calciatore professionista nella vita. E gli alibi esistono solo nei film.
Lei attualmente ricopre il ruolo molto importante che è quello di Responsabile tecnico del centro federale di Roma per il progetto Evolution programme per la FIGC. Come responsabile tecnico com’è organizzata la sua giornata lavorativa?
Si inizia ben presto la mattina calendarizzando tutti gli impegni. Il lunedì facciamo attività con ragazzi selezionati, mentre durante la settimana sempre con lo staff tecnico, andiamo in itinere a formare gli staff dei club del territorio, quelli che lavorarono nei quartieri delle grandi città fino ai Paesi. È un lavoro affascinante perché devi entrare nella sfera di contesti sempre diversi e perché credo che il futuro e il cuore del calcio italiano risiedano proprio qui.
Settimanalmente sostengo anche corsi di formazione di primo livello Uefa e grassroots sempre per il progetto Evolution programme voluto dalla FIGC.
Il pomeriggio è un momento cruciale delle mie giornate, è lì che è focalizzata l’attività.
Che studi, ha intrapreso per arrivare a ottenere questa importante mansione?
Iusm al Foro Italico di Roma, Scienze Motorie. Specificatamente al calcio, le licenze UEFA D, UEFA C e in ultimo UEFA B. Ad oggi sono fresco laureando in scienze politiche alla Luiss University, con cui collaboro per le attività di formazione. Credo sia giusto non smettere mai di mettersi in discussione, ed ecco perché ho deciso a 31 di laurearmi.
Inoltre sempre per la federazione si occupa di didattica integrata nei Licei sportivi. Nello specifico cosa cercate di fare con gli alunni?
E’ davvero un’esperienza ricca. Conoscere giovani atleti di tutti gli sport, ti fa rendere conto quando la trasversalità sia reale in tutte le discipline. Un ragazzo che fa sport è incline al dialogo, al confronto aperto. È pronto ad adattarsi meglio di un coetaneo che non pratica. Nelle lezioni con loro trovare un chiave di comunicazione è davvero facile.
Lei più di chiunque altro conosce molto bene l’ambiente calcistico, lavorando per la F.G.C.I, molto spesso si sente dire che il calcio è malato, che non è più lo sport serio di una volta, che i bravi giocatori non ci sono più, come risponde a queste osservazioni?
Mi verrebbe da dire che forse è fin troppo serio. Ma ho capito il senso della sua domanda. Il calcio riflette la società, siamo troppo attratti dall’apparire, dal guadagno, dal successo, invece di concentrarci sull’essere, sulla gestione e sui valori.
Riscopriamo l’essenza del calcio con politiche economiche di sostenibilità, con iniziative popolari, con la cultura nelle scuole e nelle accademie. Servono professionisti che testimonino quanto il calcio sia prima di tutto amore, passione e tanta voglia di mettersi in discussione.
Un suo pregio e un suo difetto (a livello lavorativo, è ovvio)?
Sono due facce della stessa medaglia, essere dinamico mi permette di adattarmi alle situazioni velocemente, a volte riuscendo quasi ad improvvisare, ma ho difficoltà a programmare ed organizzare con costanza.
Un giocatore che lei ammira tantissimo?
Il Simone da bambino, non quello dopo però Perché sognavo di essere tutti i migliori giocatori e provando ad esserli sono cresciuto come una persona migliore. Il giocatore che ammiro ha quel tipo di fantasia e quel coraggio di sbagliare che solo i bimbi riescono ad avere. La sfida è crescere mantenendolo.
Famiglia, fidanzata e amici quanto sono importanti per lei?
La famiglia per me è l’origine della vita. Credo nella famiglia, nell’amore e l’esempio dei miei genitori mi ha portato a pensare di farne presto una mia. La compagna è la mia metà, parte di me che preservo e che considero la mia priorità più grande. Gli amici sono i fratelli che ho scelto nella vita, di veri ce ne sono pochi, ma quelli che sono fondamentali.
Un sogno che vorrebbe che si realizzasse nell’immediato?
La serenità per le persone che amo, tutti i loro sogni esauditi sarebbero il mio sogno più bello. Per il resto sta a me, per i miei che ho sogni oltre a sognarli c’è il bisogno di inseguirli. Con dedizione ed entusiasmo.
30 luglio 2022
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