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venerdì 10 maggio 2019



PAOLO RADI PRESENTA    










10 DOMANDE 


A  

SPARTACO MARSICANO 





Spartaco Marsicano ha 22 anni ed è di Napoli, ha giocato per un  anno nello Scalea calcio (unico girone di eccellenza in Calabria), un anno nel Procida, eccellenza campana, e un anno nell’Ischia calcio( settore giovanile-allievi nazionali)    poi dopo aver firmato con il Gragnano (serie D, Campania)  ha dovuto abbandonare la squadra per problemi personali, ora milita nell’U S Agri calcio (Salerno, eccellenza, girone B), noi gli abbiamo rivolto alcune domande.








La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Ho scoperto che il calcio sarebbe stato la mia più grande passione da quando ho iniziato a dare i primi calci in strada con i miei amici d'infanzia, ma senza regole e senza nient’altro, solo con la mente libera di sognare.  E specialmente vedendo mio fratello maggiore giocare.





Se non avesse scelto il calcio, quale altro sport le sarebbe piaciuto praticare? 

Mi sarebbe piaciuto praticare il tennis, uno sport individuale che dimostra la tua vera forza "in singolo", comunque il calcio non lo farei a cambio con nessun altro sport.









Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. Per te cosa rappresenta questo sport? 

Logicamente da bambino l’ho sempre visto come un punto di svolta della mia vita, da bambini si sogna di arrivare più in alto possibile per avere popolarità e soldi, ma poi ti rendi conto che questo sport è bello specialmente in queste piccole categorie perché ti offre l’opportunità di conoscere tante nuove persone dalle quali si costruisce, poi, un forte legame.



Sei stato qualche anno nello Scalea calcio in Calabria, che tipo di esperienza è stata

È stata una annata da non dimenticare che porterò nel mio bagaglio calcistico, forse è li proprio dove sono maturato come calciatore. 








Il tuo goal finora più bello?

È stato proprio nello Scalea il mio primo gol in eccellenza.







Che cosa le ha dato il calcio e che cosa le ha tolto? 

Il calcio mi ha dato tanto nella vita mi ha fatto maturare come persone e nei comportamenti umani, mi ha tolto forse l’opportunità di studiare pensando che il calcio sarebbe stato il mio futuro.









Squadra italiana in cui le piacerebbe giocare? 

Logicamente il Napoli: giocare per la mia città e per la gente come me!





Un suo pregio? 

 Tanta corsa e la prima cosa aiutare il mio compagno.








Un suo difetto? 

Cercare molto spesso la rissa.




Che cosa rappresenta per lei la città di Napoli? 

Napoli vieni molto spesso criticata per cose che accadono ugualmente in ogni città, i media “fanno di tutta L’erba un fascio” ma non è così, da tutte le parti ci sono i buoni e i cattivi. Veniamo giudicati, ma poi chi viene a Napoli e conosce la realtà e si rendono conto dei sacrifici che si fanno per vivere ed andare avanti (questo perché siamo abbandonati da tutti) capiscono che noi napoletani abbiamo un cuore grande; e ti dico che Napoli non la farei a cambio con nessuna altra città al mondo... SONO FIERO DI ESSERE NAPOLETANO!







Grazie   

a cura di Paolo Radi   





10     05    2019 
(Tutti i diritti riservati)  





















venerdì 3 maggio 2019




PAOLO RADI PRESENTA    









CONVERSAZIONE 

CON 



ENZO POTENZA  




“PANE e CALCIO”





Enzo Potenza ha 49 anni ed è di Napoli, è allenatore professionista di calcio e attualmente allena a Malata in Premier League, presso Senglea Athletic Football Club.
È subentrato alla terza giornata di campionato, con la squadra che era a zero punti, il girone di andata è stato chiuso con quattro punti, ma in quello di ritorno hanno realizzato una media straordinaria, tutto ciò ha permesso loro di evitare i play out. 
In Italia ha allenato diverse squadre di serie D, e del girone di Eccellenza in Campania, inoltre ha allenato il Formia (Lazio).
L’essere curioso è una sua caratteristica, come anche quella di mettersi in gioco, di viaggiare per scoprire nuovi posti e come ci dice lui:” non torno mai dove sono già stato”.









La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Il calcio è sempre stata la mia passione sin da bambino ho fatto la trafila nel settore giovanile del Napoli negli anni di Maradona ed era bellissimo tecnicamente, ero un ottimo giocatore, ma correvo e mi sacrificavo poco. Successivamente sono stato ad Ischia poi Campania Puteolana rispettivamente squadre di serie C per poi andare a Castelvetrano in provincia di Trapani disputando 2 campionati di serie D.





Perché ha deciso di diventare allenatore? 

Ho deciso di fare l’allenatore perché sono sempre stato appassionato di strategie, poi in famiglia abbiamo sempre mangiato “pane e pallone” con mio padre che ha avuto una discreta carriera nei dilettanti campani per poi fare l’allenatore fino a concludere con la fondazione di una scuola calcio, di questa scuola facevamo parte sia io che i miei fratelli Eugenio e Roberto, anche loro con una discreta carriera da calciatori. Eugenio attualmente allena una squadra in trentino Alto Adige poiché vive a Trento. Come si evince effettivamente è stato “pane e pallone!”









Prima di trasferirsi a Malta, lei ha allenato diverse squadre, c’è una squadra a cui è rimasto più legato?

Sono rimasto molto legato ad una squadra che mi ha dato l’opportunità il Camaldolesi  poi diventato Internapoli, cercando di riprendere il blasone di quest’ultima nei dilettanti Campani. Il presidente era Francesco Di Marino persona straordinaria alla quale sono molto legato, tutt’ora ci sentiamo costantemente posso dire che per me è stato il mio padre putativo. Nel mio percorso ho conosciuto tante persone con le quali abbiamo instaurato un rapporto fantastico penso all’Albanova, squadra, di eccellenza campana, composta da tanti dirigenti giovani che adoro e che non posso fare a meno di non sentire costantemente.

 Penso alla famiglia Cafasso presidenti di un quartiere storico di Napoli chiamato: Pianura, dove abbiamo vinto un campionato di eccellenza più un ripescaggio mancato in serie C; sono persone acute perbene e competenti con una serietà da far invidia a presidenti di serie A, tutto ciò è fantastico! Successivamente ho allenato il Capri calcio, di cui è presidente Francesco Floro Flores, attualmente proprietario dello zoo di Napoli, persona perbene creatosi dal nulla, ma di grande nobiltà e con una grandissima potenza economica.




A ottobre, se mi pare di aver capito bene, lei viene chiamato a Malta, per allenare il Senglea calcio, com’è stato il primo approccio con i giocatori, i dirigenti e infine, si è ambientato bene?


Sono arrivato a Malta a fine settembre è stato per me un onore conoscere persone impegnate in un campionato di serie A. Diciamo che Nando Salvati mi ha voluto fortemente insieme al procuratore Paolo Palermo ed il suo fido collaboratore Mimmo Cangiano. 
Salvati era un punto di forza poi per una scelta personale ha deciso di fare rientro in Italia. 


 Al Senglea sono stato accolto è trattato benissimo dal club con a capo il dottor Ruben De Bono insieme al Albert Cumbo, Richi Curmi ed Ivan Curmi; loro mi hanno sempre fatto sentire come se fossi a casa mia diciamo che tutto il comitato e’ stato straordinario nei miei confronti, sono persine che ricorderò con grande affetto e stima. 
 Lo stesso staff tecnico con Darren Vella e Georg Attard è sempre stato immenso nei miei riguardi e non fare altro che ringraziarli. 


I calciatori meritano un plauso particolare, in quanto sono grandissimi professionisti che hanno dimostrato sul campo la loro straordinarietà anche in termini di attaccamento ai colori nonostante sono gran parte stranieri provenienti da ogni angolo del pianeta. Mi sono ambientato benissimo perché riesco ad adattarmi in qualunque contesto abbia lavorato, tanto sul campo quanto a casa lavorando sull’ analisi video di calciatori delle squadre avversarie. Ho dovuto amalgamare culture diverse, inoltre ho dovuto migliorare il mio inglese; ho lavorato tanto tanto tanto e la salvezza è stato il giusto premio a mio avviso i ragazzi devono essere ricordati nel tempo perché l’impresa è stata veramente degna di un film!

Centimetro dopo centimetro abbiamo sudato e lottato come "guerriglieri" è stato stupendo!!!









A Malta la stagione è finita bene, quali sono stati gli ingredienti di questo successo? 

Gli ingredienti sono stati il gruppo in primis, nonostante le varie etnie maltesi francesi argentini brasiliani ungheresi georgiani italiani ( nel girone di andata ) croati e serbi ; stare insieme è stato un lavoro di squadra, di rispetto reciproco,   con la voglia di non smettere di credere nella salvezza  ci siamo conquistati ogni centimetro poi come nella vita ci vuole anche pizzico di fortuna e questa affinché ti  venga a trovare bisogna cercarla volerla, anche viaggia di pari passo con il lavoro quotidiano.











Che cosa ci può dire della realtà calcistica di questa piccola nazione, è molto diversa da quella italiana? Oppure ci sono dei punti in comune? 

Diciamo per certi versi è diversa Malta ha i suoi tempi in ogni cosa lo stress è ai minimi termini, esiste la cultura dell’accoglienza e il rispetto delle regole, si avvicina molto alla cultura inglese. Ovviamente esistono anche dei difetti, le infrastrutture sono poche, un banale incidente determina un notevole traffico poiché non ci sono arterie secondarie.


 Amo viaggiare quindi per me il sogno è confrontarmi sempre con nuove culture, quest’anno nella mia squadra nel girone di ritorno non c’erano italiani quindi ho dovuto lavorare il triplo per far capire principi e concetti, ma è stato per me un motivo per mettermi in discussione ed e ‘ stata un’esperienza straordinaria. Mi piacerebbe restare e poi con il tempo avere l’opportunità di fare altre esperienze in diversi paesi. Un problema è stata la famiglia e la lontananza da mia moglie e mia figlia, ma siamo riusciti a sopperire con le alternanze un saluto affettuoso e grazie dell’interessamento.










  


Grazie   

a cura di Paolo Radi  





03    05    2019 
(Tutti i diritti riservati)  





















mercoledì 1 maggio 2019


PAOLO RADI PRESENTA    








10 DOMANDE 


A  

FACUNDO GANCI 







 Facundo Ganci è di Buenos Aires, ha circa 30 anni e da 8 anni (grazie al fatto che i suoi bisnonni erano italiani) ha la doppia cittadinanza. Nella capitale argentina giocava nella Primera B Metropolitana (la nostra Lega Pro). All’età di 22 anni si traferisce in Italia ottenendo un primo contratto nel Brindisi calcio, gioca successivamente in altre quattro squadre, da due anni gioca per il Fasano calcio.  (BR).

Abita a Fasano è sposato ed è padre di due bambini. Noi gli abbiamo rivolto le nostre 10 domande.






La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Sinceramente non mi ricordo un periodo della mia vita senza avere un pallone da calcio vicino. Fin da quando ho memoria sono sempre stato appassionato di calcio, giocavo a casa, a scuola nei momenti di ricreazione, per strada…ogni cosa che trovavo per terra lo facevo diventare un pallone e lo portavo a calci. Infatti mia madre si arrabbiava sempre e invece mio padre era felice perché anche lui ha questa passione.



Se non avesse scelto il calcio, quale altro sport le sarebbe piaciuto praticare? 

Mi piace molto il Paddle. Da più piccolo ero molto bravo, ci andavo a giocare spesso con mio padre, mio fratello e con alcuni amici. Adesso sono anni che non lo pratico, in Italia poi non è uno sport molto conosciuto. 







Lei è nato in Argentina, di conseguenza la domanda è pertinente, che differenza c’è tra il calcio argentino e quello italiano? 

La differenza principale si trova in alcuni concetti fondamentali, in Italia si da priorità alla tattica, se non sei bravo tatticamente non puoi giocare nel calcio italiano. Invece in Argentina si dà molta più libertà tattica ai calciatori, quello che conta è la tecnica individuale. Per questo ci sono tanti calciatori argentini che non si sono adattati al calcio italiano, sono andati ad altri campionati e hanno fatto molto bene. Non è facile giocare qui in Italia, ma a me piace e mi trovo benissimo. 



Lei da 8 anni è cittadina italiano, che cosa le manca dell’Argentina, inoltre quando è arrivato in Italia si è ambientato bene oppure ha avuto qualche difficoltà? 

Dall’Argentina mi mancano: la mia famiglia e i miei amici. Poi per il resto l’Italia è molto simile, sia nel cibo che nelle abitudini; di conseguenza, con mia moglie ci siamo ambientati subito, proprio per questo motivo. 









Che cosa le ha dato il calcio e che cosa le ha tolto? 

Sicuramente mi ha dato tanto e sono sicuro che continuerà a darmi, appunto, tanto. È il mio lavoro, quindi la mia famiglia vive di calcio e per me è un piacere poter essere un calciatore.

Poi sicuramente qualcosa me la toglie, il fatto di essere lontano dai parenti e gli amici, un po’ si soffre. Quando ero piccolo molte volte non potevo andare ai compleanni degli amici perché dovevo giocare la mattina dopo, oppure  ho dovuto rinunciare alle gite scolastiche per non mancare agli allenamenti.



Squadra italiana in cui le piacerebbe giocare? 
Napoli.






Un suo pregio? 
Perseverante.


Un suo difetto? 
Mi arrabbio molto facilmente.
   




     Che cosa rappresenta la famiglia per lei?
     Tutto. Per me è la cosa più importante.



Ultima domanda, Maradona o Messi due campioni che hanno caratteristiche differenti, quali sono le loro differenze; lei chi preferisce dei due? 

Io preferisco Messi. Per una questione di principi, non solo è uno dei calciatori più forti della storia, è anche una brava persona e fa una vita tranquilla, si vede che è un uomo di famiglia. Maradona secondo me è il calciatore più forte in assoluto della storia, ma non condivido tante cose che ha fatto nella sua vita, sento che non mi rappresenta come calciatore. 



Grazie

a cura di Paolo Radi   





01    05   2019 
(Tutti i diritti riservati)  






























domenica 7 aprile 2019




PAOLO RADI PRESENTA    








 FRAMMENTI DI VITA DI

UN 

GIOVANE 

GIOCATORE


di Raffaele Selva 


  


Mi chiamo Raffaele Selva, sono nato e cresciuto a Scampia in una quartiere che è difficile vivere, ma soprattutto crescere, ringrazio mia madre che mi ha cresciuto con dei sani principi.


All’ età di 11 anni mi prese il Napoli è da lì come ogni bambino che ha dei sogni ho iniziato a crederci anche perché ero abbastanza bravo. Sono cresciuto con il settore giovanile del Napoli fino ad arrivare in primavera; il mio entusiasmo era alle stelle poi come tutte le cose belle venne la fine.  A me servivano i soldi per mantenermi e mio cugino mi propose di andare in prestito con Frattense. 



 Mi davano 400 euro al mese e fu il mio primo stipendio da calciatore, però non calcolai che non potevo mai giocare essendo il essendo il mio primo anno nell’ under; c’erano tre over in attacco e il mister preferiva loro anche se quando subentravo facevo delle buone prestazioni. Però il mister non mi faceva giocare questo perché i ragazzi erano di proprietà della Frattense mentre io ero solo in prestito dal Napoli è non mi valorizzavano.








Poi andai a Nola ma lo stesso non giocavo e non capivo il perché, stavo vedendo la mia intera vita fatta di sacrifici svanire nel nulla così dopo 4 mesi decisi di farmi svincolare e provare ad andare a giocare fuori dalla Campania, infatti mi sono trasferito in Toscana con la Bucinese squadra d eccellenza, lì ho giocato e fatto gol, ma in 4 mesi “non ti vede nessuno” specialmente se sei napoletano e vai fuori ti guardano “tutti male”.



Deluso decisi di smettere con il calcio, un giorno mi telefonò un mio amico che mi fece conoscere il direttore Antonio Gravagnoli, mi propose di andare nelle squadre di nome Aurora Vodice Sabaudia, il club si trova vicino a Roma. Mi disse che avrei guadagnato qualcosa, ma dovevo però scendere in prima categoria e vincere 2 campionati di seguito.



Infatti vincemmo il campionato, ma quello dopo iniziò con tante sconfitte perché la squadra non fu impostata per vincere prendevamo tanti gol. Capii che se volevo rimanere nell’ambiente calcistico avrei dovuto lavorare la notte, ed è quello che feci. Facevo il turno di notte in una sala slot,  era molto duro per me perché dopo aver fatto la notte mi mettevo in macchina o in treno e andavo a giocare  senza dormire, era troppo faticoso. decisi di andarmene da Sabaudia per approdare al Procida calcio.



 Lì ho iniziato bene giocando subito da titolare, poi il rapporto che avevo con il Mister si è interrotto, non mi stava facendo più giocare.



 La scorsa domenica scorsa mi ha messo il numero 10 sulla maglia e mi ha fatto giocare, non ho fatto goal però mi sono messo a disposizione della squadra. Continuo a lavorare tutte le notti. 









 Lavoro “corro come un dannato per poi andare ad allenarmi” perché io nella mia vita non ho mai mollato mi reputo un guerriero, ho lottato sempre nella mia vita fin da bambino ora sono tanti i sacrifici che sto facendo, ma non mollo sono sempre più consapevole delle mie capacità e delle  le mie qualità che in pochi hanno in queste categoria;  mi serve solo un po’ di fortuna!




 Grazie 


a cura di Paolo Radi   



07    04    2019
(Tutti i diritti riservati)