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sabato 6 aprile 2019




PAOLO RADI PRESENTA    







CONVERSAZIONE CON 



UN MUGNANESE DOC!



BIAGIO SEQUINO






Biagio Sequino è nato il 08/04/1994 a Mugnano dall’età di sette età di 7 anni fino ai 14 sono stato nel settore giovanili della scuola calcio amici di Mugnano dove ho avuto la fortuna di vincere un campionato nazionale a Legnano Sabbiadoro nelle fasi finali CSI. 
Poi ho militato due anni negli allievi nazionali con l’ex Neapolis Mugnano. 

Successivamente ho girato in promozione due anni con il Mugnano city a cui ho legato molto essendo mugnanese. Poi al Don Guanella Scampia che è ora in promozione, successivamente con il   Qualiano ho fatto un grande campionato da protagonista in prima categoria. Ho ricevuto tante chiamate per un campionato di vertice, ma ho scelto il gruppo e gli amici di sempre, infatti quest’ anno sono partito per una nuova avventura con la Puteolana, (promozione) ma poi per lavoro in aeronautica mi sono dovuto fermare.
Mi sto allenando   a Montichiari qui a Brescia che è una bellissima società e per il futuro vedremo…









    Signor Biagio Sequino, la prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione

Beh la mia famiglia è molto numerosa, amante del calcio. Quindi sin da piccolo ho capito che sarebbe stata per me una passione...







Lei ha giocato in diverse squadre, le possiamo chiedere in quale si è trovato meglio e perché? 

Devo essere sincero mi sono trovato bene in tutte le squadre ma essendo mugnanese... quando ero al Mugnano city mi sentivo a casa. Sentivo le partite diversamente, in conclusione ho dei ricordi bellissimi.




    Possiamo dire che ha iniziato molto giovane, se non avesse intrapreso quest’attività che cosa le sarebbe piaciuto fare, anche se vista la sua giovane età, può svolgere qualsiasi professione? 

Da bambino tutti sognano di diventare un calciatore...ed anche io l’ho sognato. Ma la vita militare ho sempre pensato che sarebbe stata una buona scelta per la mia vita. 


Dai ragazzi il calcio viene visto come un’opportunità per vivere una vita negli agi, nel lusso, oppure frequentare un certo tipo “di mondo”. Per lei invece cosa rappresenta?

Il calcio per me rappresenta...passione, amicizia, emozioni.




Abbiamo saputo che lei ha ricevuto tante chiamate da diverse squadre, perché le ha rifiutate? 

Perché sono stato sempre Molto legato al gruppo e alle società. E io sono uno che ci tiene al gruppo. Sai quando stai bene con gli altri penso non ci sia cosa più bella. Quindi difficilmente riesci a lasciare la squadra. 




 Che cosa rappresenta Mugnano per lei?

Mugnano è il mio paese. Ho trascorso gli anni più belli all’Alberto Vallefuoco dai tempi della scuola calcio amici di Mugnano…con il presidente Antonio Miluccio un pilastro del calcio mugnanese che poi l’ho ritrovato come direttore al Mugnano city in quei due anni di promozione dove abbiamo compiuto dei miracoli sportivi...ed oggi mi fa male vedere che Mugnano non ha una squadra della città.  on uno stadio del genere.



 Tratto principale del suo carattere? 

Tratto principale del mio carattere l’umiltà. Mi sento di essere una persona molto umile. Non mi sono mai sentito di vantarmi per aver fatto cosa poi…In fin dei conti sono un calciatore dilettante che si diverte con questa passione da sempre.








Ultima domanda, che cosa rappresenta per lei l’amicizia? 

L’ amicizia come nella vita anche nel calcio per me è la cosa fondamentale che metto al primo posto. ripeto quando sei sereno con gli altri tutto è più leggero, ti senti bene con il gruppo e con te stesso.





 Grazie   

a cura di Paolo Radi   





    06    04    2019
(Tutti i diritti riservati)  

giovedì 4 aprile 2019



PAOLO RADI PRESENTA    










C O N V E R S A Z I O N E  


CON  


GIANLUCA CIPOLLETTA 















Gianluca Cipolletta talento napoletano classe 1983. La sua storia é simile a quella di tanti altri scugnizzi di una delle città più belle e difficili del mondo, inizia ovviamente con un pallone come giocattolo preferito.
 Un gioco si ma che negli anni diventa una passione e addirittura una ragione di vita. Gianluca tra le strade di Napoli cresce, gioca, si diverte e fa divertire tanti altri con le sue giocate da vero predestinato, si perché chiunque l’abbia visto da bambino avrebbe giurato che un giorno quel ragazzino avrebbe calcato grandi palcoscenici. 
A 13 anni entra a far parte delle giovanili del Napoli ma appena un anno dopo viene a mancare il suo più grande tifoso, il suo papà.
 Da lì in poi diventa tutto più difficile, camminare da solo per un ragazzino di quel’ età non e facile, a 16 anni lascia Napoli, direzione Siena all’ epoca militante in serie C1, il suo talento ed i suoi piedi gli permettono di girare e di farsi apprezzare ovunque, ma senza una vera guida le scelte si sbagliano e si commettono errori ai quali non sempre è concesso recuperare. 
Cosi torna in Campania e inizia il suo girovagare tra i dilettanti (Terzigno, Angri, Ercolanese, Portici, Serino, Sanseverinese) per citarne alcune. 






Oggi Gianluca lavora e gioca, gioca ancora a calcio quel calcio che lo ha tenuto lontano dalla strada e al quale lui ha giurato eterno amore a prescindere dalla fama o dalla categoria. Beh un campione mancato dicono tutti quelli che lo hanno visto giocare nei campetti della città con il suo N.10 sulle spalle, e nei quali Gianluca si è fatto amare ed osannare al punto di essere diventato una favola metropolitana. Lui però non ha rimpianti, è felice della sua vita e oggi a 36 anni è sposato con Lucia e papà di 2 figli maschi Vincenzo e Thomas, magari chissà il destino ha ancora in serbo qualcosa...










La prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Prima era molto diverso da oggi, non esistevano tutti questi videogame, tablet o smartphone, ai miei tempi si usciva di primo pomeriggio e si rientrava quando faceva buio e la maggior parte del tempo si passava a giocare a pallone. Quindi sin da piccolissimo. 




A tredici anni viene a mancare suo padre, quanto crede che abbia influito questo evento nella sua potenziale carriera. 

Beh perdere un genitore a quell’ età credo sia evento drammatico a prescindere da tutto, mio padre per me e per la mia famiglia era tutto. La mia casa da quel giorno ha vissuto momenti veramente difficili e di conseguenza la mia vita, questo sia nel quotidiano che soprattutto nel calcio. 







Diventare calciatore e il sogno di ogni bambino, a Napoli poi e visto anche come un mezzo per fuggire dalla criminalità e povertà? 


Beh a Napoli si vive calcio, si respira calcio, in ogni vicolo trovi porte disegnate sui muri...è proprio li che nasce la vera passione quella senza interessi fatta solo di divertimento ed amore per questo sport. 
Poi riuscire a farcela e un discorso a parte che non è sempre frutto del merito, purtroppo non basta essere bravi. 


Cosa credi ti sia mancato per arrivare più in alto. 

Mah non saprei, non è nel mio carattere addebitare alla sfortuna oppure al destino colpe che magari ho io, forse non ero poi così bravo come mi descrivono. Ma uno dei motivi per cui ho fatto fatica e stato sicuramente che non sono mai voluto scendere a compromessi con nessuno e questo mondo a tutt’oggi e a tutti livelli si mantiene solo su quello. 









Hai sempre giocato con la maglia N 10 ma qual è il vero tuo ruolo in campo?

Si ho sempre indossato quel numero, diciamo che almeno prima il N.10 era sinonimo di talento quando la numerazione era 1-11 ogni numero aveva un significato e caratteristiche specifiche e quasi tutti aspiravano al N 10 che poi a Napoli e stata indossata dal più forte della storia. 


Il tuo goal più bello?

Più bello non saprei...non ho mai avuto l’etichetta di bomber, mi e anche sempre piaciuto far fare goal agli altri, ma tra i goal che ho fatto ne ricordo qualcuno per emozioni che mi ha regalato come uno da centrocampo quasi al 90'.








Dopo tanti anni di calcio giocato cosa ti ha lasciato questo sport.

Direi i rapporti umani che ho costruito   negli anni in cui ho giocato, la cosa più bella che porterò con me sono gli amici  veri che ho avuto la fortuna di conoscere.


Cosa ti ha tolto invece il calcio?

Tolto non saprei, certo nel mio piccolo qualche sacrificio l’ho fatto, ma rifarei tutto nello stesso identico modo. 









Hai due figli, farai ripercorrere la tua stessa strada anche a loro? 

Non voglio influenzare i miei figli su che strada intraprendere, sarò sempre al loro fianco qualsiasi passione abbiano, ma di certo non mi dispiacerebbe seguirli su un campo da calcio.


In ultimo un consiglio da dare ai più giovani.

Oggi e difficile consigliare i giovani, ascoltano poco, io li vivo negli spogliatoi ed il loro atteggiamento e troppo influenzato da quello che vedono in TV o sui social, pensano troppo alla forma e poco al contenuto, ed è proprio questo che mi sento di dirli: “cercate di lavorare sul campo e non sugli smartphone”.











Grazie   

a cura di Paolo Radi   


04    04   2019 
(Tutti i diritti riservati)  





















sabato 30 marzo 2019

   PAOLO RADI PRESENTA    









10 DOMANDE 


A  


DARIO CANELLI










   Dario Canelli di Caserta è un giovane allenatore di 29 anni molto conosciuto in Campania, a 21 anni era già istruttore CONI FIGC, adesso ha il patentino UEFA B. Sino a dicembre era l’allenatore dell’A.S.D.Virtus Goti, categoria Juniores Regionali U19.Inoltre è stato allenatore del settore giovanile della Casertana. Noi gli abbiamo rivolto le nostre 10 domande. 
e






Signor Dario Canelli, la prima domanda è un classico: quando ha scoperto che il gioco del calcio sarebbe stata la sua più grande passione?

Beh, diciamo quando ho iniziato a muovere i primi passi; una passione che mi ha trasmesso mio padre che con il tempo mi ha regalato diverse emozioni e sarebbe impossibile farne a meno.



Perché tutti provano a diventare calciatori, a differenza che allenatori? 

Partiamo dal presupposto che allenatore e calciatore sono due professioni diverse, non è detto che chi ha giocato a medio ed alti livelli possa diventare un grande allenatore. Ovvio che un giovane aspira prima di tutto a diventare un calciatore, soprattutto per la fama. A mio parere, è molto difficile fare l’allenatore perché abbiamo un brutto cliente: il giocatore!








Ad un certo punto lei decide di diventare allenatore, perché questa scelta? 

Sai quando si è ragazzi si pensa più al divertimento. Ho avuto la mia occasione ma non l’ho saputa sfruttare. Crescendo vedevo negli altri ragazzi la stessa determinazione e voglia che avevo io alla loro età, così ho deciso di aiutarli a non fare determinati errori. Mi sono messo in gioco, mettendomi dall’altra parte. Mi piacciono le sfide e studio per cercare nuova soluzione ed idee.




Secondo lei perché l’anno scorso l’Italia non è riuscita a partecipare al Mondiale in Russia, qualcuno dice che la colpa è di quello che avviene nel settore giovanile, quello che le voglio chiedere è: perché non ci sono pitalenti come avveniva circa 15 anni fa, circa?

Secondo il mio parere le colpe partono principalmente dalle scuole calcio che dovrebbero pensare meno alla retta mensile ed investire di più sugli istruttori qualificati. Un altro errore che commettono già dai primi calci e pulcini è il seguente: la società e i genitori puntano ai risultati sportivi, ma molto meno alla crescita del bambino. Un'altra cosa, spero che  meritocrazia torni ad essere il primo valore, solo così possiamo ritornare ad essere l'Italia di un tempo.








Spesso si legge nelle cronache calcistiche di padri che litigano con l’allenatore perché non ha fatto giocare il figlio; oppure perché l’ha sostituito troppo presto. Liti furibonde che arrivano anche al contatto fisico; perché avviene questo? Il calcio è comunque un gioco, dov’è finito il sano agonismo? 

Tutto questo succede perché ormai le società danno molto spazio ai genitori ma non delineano quella linea che separa campo e spalti. Ma a volte l’errore parte anche da noi addetti ai lavori che li coinvolgiamo in situazioni che non competono a loro, cioè:  “cose da campo”!





Un aggettivo per descrivere sé stesso? 

Sono molto estroverso e se faccio fatica in questo calcio e perché non scendo a compromessi, ci metto sempre la faccia e so di dover imparare ancora tanto,  comunque mi reputo un buon psicologo dei miei ragazzi.








Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 

Per essere un allenatore, come qualsiasi altra professione, bisogna essere abilitati. Le prime qualità che bisogna avere sono quelle umane, instaurare il rapporto con un ragazzino o calciatore che sia è molto importante e nelle qualità ci metterei anche il saper trasmettere sicurezza e competenza che non è mai fine a sé stessa.



Qual è il suo allenatore di riferimento, il suo faro guida, e perché? 


 Che domande! Il mio punto di riferimento è sempre stato Zdenek Zeman. Per me dovrebbe essere un esempio etico per le scuole calcio e non solo. Lui è una delle poche facce pulite di questo sport e poi penso che abbia portato qualcosa di diverso e di molto importante nel mondo calcistico. Senza pensare ai tanti campioni che ha scoperto e valorizzato, non avrà vinto tanto come allenatore, ma per molte società è stata una grande risorsa.








Chi è secondo lei il migliore allenatore fra questi tre nomi:   Josè Mourinho, Massimiliano Allegri e Josep Guardiola?

 Sono tre tipi di allenatori diversi con tre stili e modi di fare differenti, con un’unica cosa in comune: una mentalità vincente. Ma noi giovani allenatori, compreso me, ci ispiriamo più ad un Peppe Guardiola perché il suo modo di giocare e il suo scacchiere tattico fa davvero spettacolo.








Tutti nel mondo del calcio sembrano rincorrere la “fama, i soldi e la celebrità”, lei invece? 

Il guadagnare fa gola a molti, ma in qualsiasi settore di lavoro. Io non sono ancora a certi livelli tanto da guadagnare, ma posso dire di mettere in campo una cosa che vale più dei soldi, i valori e l’essere un uomo leale.









Grazie   



a cura di Paolo Radi   





29    03    2019 
(Tutti i diritti riservati)