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lunedì 23 dicembre 2024

SEZIONE SPORT

 

 

 

 

Paolo Radi intervista

 

 

 

 

ANTONIO

ROMANO





 

Antonio Romano di Napoli, è presidente e allenatore del Borbonia Felix Mugnano Questa è la sua storia, al termine alcune domande.

 



 Nasco come calciatore nel settore giovanile del Calvizzano dove faccio la scuola calcio, in seguito: allievi con la Bagnolese, poi Juniores con Neapolis e Savoia (all’epoca in C2 entrambe).

 

La passione per il calcio nasce tardi, tant’ è che fino ai 9/10 anni nonostante avessi praticato calcio sporadicamente non mi entusiasmava più di tanto perché ero più appassionato dell’equitazione, all’età di   6 anni già cavalcavo, decisi di smettere in seguito ad un infortunio di mio padre che frequentava con me il corso.

 

La passione “esplode” con la frequentazione dei campetti popolari dietro casa, a Mugnano (quartiere in cui ho deciso di fondare la mia società) dove mi recavo con gli amici della zona, le partite erano interminabili e giocavamo fino a quando non c’era più luce, ovviamente cercavo di combinare l’allenamento alla scuola calcio del primo pomeriggio.

 

Ai tempi della scuola superiore tanti tornei scolastici di cui qualcuno vinto, facevo parte della squadra della scuola quando si affrontavano altri licei, non male comunque.

Feci tanti provini, sempre accompagnato da mio padre, che veniva a prendermi. 

Andai a Guidonia (che provò a tesserarmi), poi a Gaeta ma alla fine niente di concreto, anche perché non volevo lasciare la scuola che era l’obiettivo primario.

 

Decido quindi di iniziare di nuovo a giocare approfittando della presenza del mister della Bagnolese che lavorava nella mia scuola, ad un certo punto mi convinse a dargli una mano, ai tempi facevo il sabato con i 92 di pari età e la domenica con il gruppo più grande giocando, questa volta sotto età.

Da quel momento in poi passai alla Neapolis, società mugnanese che all’epoca arrivò in serie C2, ci allenavamo al Frullone nei cosiddetti “campi di Ferlaino” (il presidente che portò a Napoli Maradona) una struttura bellissima con 3 campi, palestre, dirigenti ecc.; sembrava essere ritornati al calcio serio.

 

In seguito feci una breve parentesi alla juniores del Savoia (serie C2) ma per il troppo impegno richiesto e a causa di uno staff non proprio apprezzato decisi di allontanarmi definitivamente dal calcio, prima di tornare nel 2018, quindi dopo 5 anni, a riassaggiare il campo in terza categoria già con l’ambizione di creare una squadra l’anno successivo, quand’ebbi compiuto pochi mesi prima 26 anni e penso di essere stato uno dei presidenti più giovani d’Italia al momento della fondazione.

 

Così l’11/03/2019 nasce la Asd Borbonia Felix Mugnano che attualmente milita in seconda categoria e sta ben figurando.

 

L’ambizione di creare una società l’ho avuta se possibile prima di innamorarmi del calcio in sé, in quanto ero appassionato dalla gestione di un qualcosa che portasse all’unione di “anime”, che creasse aggregazione in un modo o nell’altro.

 

Alla figura di presidente combino la figura di allenatore, dato che mi sentivo così già in campo, tanto da prendermi i rimproveri più di una volta dai miei allenatori che giustamente mi chiedevano rispetto per il proprio lavoro, nonostante approfittassero poi delle mie idee privatamente per confrontarsi in certi casi.

 

L’avventura come allenatore nasce con il mio ex mister della scuola calcio che mi diede la possibilità di affiancarlo durante la stagione per poi, dopo aver valutato il mio lavoro, lasciarmi solo, quel campionato lo concludemmo in zona playoff con un gruppo B di ragazzi di 12 anni.

 

Dopo quell’esperienza ho capito che dovevo fondare la mia scuola calcio, che è tuttora il mio obiettivo principale perché i bambini sono tutto, sono il futuro, devono giocare, stare insieme e vivere a pieno le proprie passioni a cui associare una prima squadra.

 

Con la mia società ho incontrato “squadroni”, gente che gioca a calcio da diverso tempo, è stato entusiasmante sia per me, sia per la squadra giocare in quegli stadi (Giroud di Torre Annunziata, stadio del Savoia appunto, San Ciro di Portici, lo stadio di Casola che è un gioiello) abbiamo affrontato insieme tantissime tifoserie veramente spettacolari e altre molto maleducate, ma è il bello del gioco.

 

Ora giochiamo allo stadio Vallefuoco di Mugnano di Napoli, siamo la squadra simbolo della città, dove il calcio è assente da diversi anni, io appartenendo a loro e mi sento di dover fare calcio prima a Mugnano che da qualche altra parte.

Attualmente essendo il primo anno in cui siamo presenti in questa nuova casa, ci segue già un discreto numero di sostenitori, ma puntiamo ad averne sempre di più e siamo sicuri che così così sarà, vedendo come si parla di noi in giro, siamo sulla “bocca di tutti” per la correttezza, i risultati e la serietà che mettiamo in ogni cosa che facciamo. Molto importante è  il sociale dove siamo soliti organizzare tornei estivi a scopo benefico nei quartieri popolari, una volta donammo l’intero importo di un torneo all’ospedale oncologico Santobono Posillipo sotto forma di giocattoli, andando personalmente a comprare e consegnare i regali in base alle età e alle richieste dei bimbi.

 

L’obiettivo della mia società in breve è l’aggregazione e la cultura dello sport, ci piace fare del bene perché sono convinto che in un certo modo tutto torna e unire le persone è la cosa migliore che esiste.

 

Siamo una realtà solida esistente dal 2019 (quasi sei anni) che con l’aiuto della città, di imprenditori locali e dei sostenitori sta diventando ogni giorno più grande e bella.

 

 



 



La mia prima domanda è la seguente: come sta andando il campionato? Soddisfatto oppure ritiene che la squadra possa fare di più?

 

Il campionato sta andando discretamente, qualche soddisfazione ce la siamo già tolta ma ci auguriamo di fare di più, ci manca qualche punto a mio parere, ma siamo a buon punto e proveremo a dar filo da torcere a tutti.

 

 





Che cosa si sente di promettere per l’anno nuovo ai tifosi del Borbonia Felix Mugnano?

 

Il massimo impegno sicuramente, proveremo a fare del nostro meglio per portare la città di Mugnano ad avere un calcio ad alti livelli, ci proveremo a fare tutto ciò, giocando a calcio, senza paura e con il gioco che ci contraddistingue.

 


Perché ha deciso a un certo punto della sua vita di diventare allenatore?

 

Ho deciso di fare l’allenatore per due motivi: il primo quando mi sono reso conto che avrei, secondo il mio parere, avuto una carriera modesta nel calcio dilettantistico, il secondo, ma più importante, è che io mi sono sempre sentito tale da giocatore, non a caso sono stato spesso capitano delle mie squadre e in campo cercavo sempre la “quadra giusta” per me e per i miei compagni di reparto.

 


Arriviamo ora alla domanda che più mi preme fare: quando ci siamo sentiti all’inizio non avevo capito, poi ho realizzato che lei è sia presidente che allenatore, immagino che non sia facile ricoprire questi due ruoli, lei come ci riesce?

 

Non è facile per niente.

È un impegno che ti toglie tempo e ti spinge a migliorare sempre sia la struttura societaria sia la rosa in sé.

Richiede molto studio e competenza il ruolo di allenatore, perché oggi non  è come anni fa, se non sei preparato anche per le  categorie inferiori non vai da nessuna parte, come presidente invece c’è un mondo alle spalle che va dalla struttura, al rapporto con giocatori, staff, tifosi, all ricerca di sponsor che sostengano il progetto, alla ricerca di fornitori per il materiale tecnico, è veramente un mondo troppo grande che mi prende tanto e mi affascina ogni giorno di più, nonostante i sacrifici che comporta.

 


 


 


Se permette, almeno da allenatore non la può esonerare nessuno, una bella cosa non trova?

 

Questo è vero, ma sono molto autocritico, forse avrei preferito avere un presidente diverso. 

Sono appunto, il primo critico ed il primo ammiratore di me stesso e questo mi rende sempre in bilico, nonostante non esista un vero e proprio rischio esonero.

 


Lei è molto giovane come presidente, che consigli riceve, se gli riceve dagli addetti ai lavori che sono più grandi di lei?

 

Sì, ho iniziato ad appena 26 a ricoprire questo ruolo, essendo uno tra i più giovani in Italia ad essere il proprietario di una prima squadra.

Io penso di essere stato uno dei presidenti più giovani d’Italia al momento della fondazione dato che avevo appena compiuto 26 anni.

Studio tanto.

Cerco di apprendere dai migliori imprenditori e dirigenti italiani e non, cerco di circondarmi di collaboratori all’altezza e mi confronto con presidenti più grandi che hanno fatto la storia del calcio da cui posso, sicuramente, attingere sempre qualcosa di buono.


In Campania ci sono progetti importanti, presidenti visionari e io spero di diventarlo anche se nel mio piccolo e alla mia età non posso lamentarmi, ma sono consapevole che con le giuste linee guida si può solo migliorare.

 


Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 

 

L’empatia e la fiducia in se stessi.

 

La prima perché il rapporto umano per me viene prima di indossare le scarpette e i pantaloncini, senza di quello non vai da nessuna parte, se i ragazzi ti considerano uno di loro, secondo me ti danno sempre più di quello che possono ed io ho sempre puntato tutto su quello; il coinvolgimento di tutti è un altro aspetto da non sottovalutare in un campionato lungo è giusto che si creino delle gerarchie, ma è sempre importante non tralasciare nessuno perché nei momenti importanti sono loro che portano il lavoro a casa a dimostrazione che un gruppo non è fatto da 13/14 ma da tutti i 26 membri della rosa.

 

La fiducia in sé stessi, altro elemento  invece perché nel ruolo di allenatore sei una persona sola, dove se vinci hai fatto il tuo minimo mentre se perdi è sempre colpa tua, se non sei forte di testa ci vai sotto ed io ho dovuto lavorarci tanto per arrivare allo stato attuale e ad avere un giudizio sempre equilibrato di me stesso.

Ovviamente questa fiducia te la da oltre alla consapevolezza della persona che sei, la preparazione, lo studio.

 

Sono in continuo aggiornamento, mi piace e poi come disse un mio ex insegnante al corso allenatori, i calciatori sono la categoria più sveglia di tutti, se uno solo di loro si rende conto che quel giorno non sei al 100% preparato, egli troverà il modo per allenarsi in maniera meno intensa approfittando della situazione e coinvolgendo il resto del gruppo.



 




Qual è la qualità che deve avere un presidente?

 

È un ruolo difficilissimo, le tue mosse condizionano le vite di persone attorno a te.

 

Devi essere la copertina del tuo libro e quindi sempre impeccabile, devi curare i rapporti con tutti, andarti a sudare qualche aiuto economico, chiudere contratti con le strutture, farti conoscere in città e nel nostro caso, non solo, e cercare di coinvolgere più gente possibile e quando vedi arrivare al campo anche una sola persona è una soddisfazione impagabile perché quella persona è lì per una cosa che hai creato tu, altrimenti chissà cosa starebbe facendo in quel momento.

Invece ti dedica del tempo, che oggi tra l’altro è sempre meno per gli impegni di tutti, quindi vale doppio.

 

A volte mi fermo anche in campo e penso, guarda qui, ci sono 26 ragazzi che si allenano per un nome che non conoscevano, una struttura che ospita una “cosa” che non c’era, dei tifosi che conoscevano solo il Napoli, uno staff che ha un lavoro che io gli sto offrendo, è meraviglioso pensare che stai toccando le vite delle persone, ma è proprio per questo che devi starci attento e devi essere sempre la miglior versione di te stesso.

 

 Che cosa le sta dando il calcio e che cosa le sta togliendo? 

 

Il calcio mi ha sempre dato tanto, sono io che nella mia carriera da giocatore gli ho dato meno di quello che potessi, perché non mi sono sempre impegnato al massimo. 

La cosa più importante è stata la socialità che ti dà, avere a che fare con tanti tipi di ragazzi in uno spogliatoio provenienti da ogni ceto ed è questo che mi ha insegnato di più nella vita.

 

Il calcio mi toglie tantissimo tempo, ma come dicevo prima mi compiaccio a guardare delle persone che si muovono, che impegnano i loro giorni, per una qualcosa che è nata da te, ma offerta poi al pubblico. Non so se verrò capito, ma quei  ragazzi che oggi si allenano con me, gli spettatori che vengono allo stadio a vedere le partite, mi chiedo: se non ci fossi stato io, adesso cosa starebbero facendo?

 

È una domanda a cui non voglio trovare risposta e che mi carica di adrenalina perché significa che, anche nel piccolo, hai fatto qualcosa di importante e mondo e per la comunità.

 




 


Qual è il suo stato d’animo prima di una partita? Quali consigli dà ai giocatori?

 

Vivo in perenne stato d’ansia.

 

Non lo dimostro ai ragazzi perché per loro io devo essere freddo e sopra le parti, sia quando sono convinto di fare bene sia quando so che magari ci attende una partita impegnativa.

Io vivo di calcio, dopo il primo allenamento della settimana so già come andrò a giocarmi la gara e come verranno a prenderci gli avversari e che spazi ci concederanno, durante la settimana provo a capire come agire secondo le caratteristiche dei ragazzi e preparo gli allenamenti in base a quello.

 

All’inizio non ti nascondo che prendevo una camomilla prima delle partite, perché la pressione era tanta ed io ero forse troppo piccolo per una cosa così grande, ora invece con un po’ di esperienza non lo faccio più, ma la notte della partita mi capita comunque spesso di non riposare bene, per questo mi organizzo tutto il lavoro uno o due giorni prima in modo da arrivare al campo relativamente più rilassato o quantomeno trasmettendo il meno possibile ai miei giocatori, che non sia supporto e motivazione, le ansie le tengo per me, perché se vengono percepite poi per forza di cose andranno in campo con i ragazzi.

 


E alla fine di una partita, invece? Ripensa a quello che ha sbagliato a livello tattico, oppure volta pagina? 

 

Il post partita dura almeno fino al primo allenamento successivo.

 

Nel giorno stesso mi sento spremuto come un limone, tanto da non riuscire a fare altro che riposare, perché a differenza di quello che si crede l’allenatore consuma energie mentali probabilmente superiori a quelle dei calciatori, anche perché come ti dicevo prima per me la partita inizia dal risveglio e la vedo più volte nella mia testa immaginando ogni scenario ed ogni rimedio.

 

Dopo ogni partita c’è solo uno scambio di parole veloci, ma l’analisi la facciamo il martedì al primo allenamento dove dedichiamo una mezz’oretta a questo fondamentale esercizio mentale e poi l’esperienza mi ha insegnato a non parlare dopo le partite sia in bene sia per rimproverare qualcosa che non è andato bene, questo perché la testa “è calda” e può essere detto qualcosa in maniera sbagliata da parte mia o dei giocatori e compromettere così la settimana.

 


 




Un suo pregio e un suo difetto dal punto di vista calcistico?

 

Pregio come dicevo, il rapporto che ho con tutti i ragazzi, sono la maggior parte miei coetanei quindi è facile essere uno di loro, ma allo stesso tempo è difficilissimo farti prendere sul serio come figura superiore.

Non mi chiedere in che modo, forse per il mio modo di pormi, riesco bene o male a cavarmela e mi sento davvero voluto bene da ogni ragazzo e questo penso sia il nostro punto di forza.

 

La preparazione è un altro punto su cui non transigo, se non sei preparato non puoi allenare, possono essere sbagliate o giuste le idee calcistiche, ma di sicuro prima di arrivare al campo sono state valutate in ogni dettaglio e questo i ragazzi lo sanno ed è per questo si impegnano al massimo sempre.

 

 

 La famiglia che cosa rappresenta per lei? 

 

La famiglia è il centro della vita.

Senza di quella non avrei avuto la possibilità di iniziare a giocare, non avrei avuto la possibilità di rincorrere la passione di allenare e senza la mia attuale famiglia composta da mia moglie ed il nostro ometto non continuerei a farlo, perché se non vieni supportato nelle tue passioni oltre ad essere nel posto sbagliato non riusciresti a dare il meglio di te.

 

 

Un sogno per il futuro?

 

Il mio sogno è quello di rendere fiere le persone che credono in me.

 

Calcisticamente è ovviamente fare il salto di categoria e finalmente dopo tanti anni auspicata l’inaugurazione dell’accademia giovanile, un posto dove il calcio è per tutti, dove si viene al campo per giocare e poi per imparare, perché i bambini hanno bisogno di spensieratezza e gioco, di socializzare di imparare l’educazione collettiva ed essere delle persone migliori un domani in un mondo che non sempre si interessa a questo, ma che va avanti per conto suo tralasciando quelli che restano indietro.

 

Quelle persone devono essere il fulcro della società futura, perché la sensibilità dei bambini deve essere il punto di partenza per essere persone migliori, perché come penso io è il bambino a far crescere un genitore migliore e non viceversa.

 

 





A chi vorrebbe dedicare questa intervista?

 

La dedico a lei che mi ha dato questa opportunità in primis.

 

Poi sicuramente a chi ci sostiene sempre e non da oggi ovviamente, (certamente si può sempre migliorare sotto certi aspetti) ai miei ragazzi che mi danno tanto e io non sarò mai in grado di ricambiare, nonostante mi impegni a fare sempre di più per loro e ovviamente alla mia famiglia, sperando che un giorno mio figlio possa dire “bravo papà”.

 



Grazie mille.

 

 

Grazie a lei per aver accettato il nostro invito.

 

 

23   12   2024 

 

(Tutti i diritti riservati)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie mille

 

 

Grazie a lei per aver accettato il nostro invito e buone feste 

 

23 12   2024 

 

(Tutti i diritti riservati) 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

martedì 17 dicembre 2024

SEZIONE SPORT

 

 

 

 

Paolo Radi intervista

 

 

 

MICHELE

ALBINO

 

 


    

 

 

 Michele Albino è un giocatore   di Mirabella Eclano (Avellino) e questa è la sua storia.

 

 

Credo di aver iniziato a tirare a calci ad un pallone ancor prima di camminare. All’età di 6 anni andavo a scuola calcio, la scuola calcio del mio paese e lì ci sono stato per diversi anni, credo 6, poi sono passato ad un’altra scuola calcio vicino al mio paese dove giocavo con persone di due anni più grandi di me, ma perché me ero abbasta bravo.



 




L’anno dopo all’età di 12 anni faccio un provino con la Salernitana, mi prendono e mi trasferisco a Salerno dove inizio la scuola e a giocare. Milito nel campionato giovanissimi nazionali raggiungendo la finale nazionale persa con la Fiorentina, voglio precisare che non è stato facile stare lontano da casa a quell’età. 

 






Comunque si è trattato di un giusto compromesso perché da Salerno spesso potevo tornare a casa. A fine anno decido di cambiare maglia e vado all’ Avellino, dove gioco per 3 anni nei vari campionati nazionali e riesco pure a farmi due preparazioni con la prima squadra. Successivamente vado a Benevento per un anno e mezzo, il secondo anno passo dire di essere riuscito a fare  un grande campionato arrivando a doppia cifra di gol e assist, non a  caso infatti a fine anno mi chiama la sambenedettese che militava in serie D.



 




 Purtroppo sono crollato, dove aver trascorso il ritiro a causa di vari problemi persona decisi di lasciar perdere e di tornare a casa. Stare lontano per mesi senza vedere le persone a me care mi pesava tantissimo e non ero forse pronto in quel momento. Dopo due mesi vado alla Gelbison in serie D per tornare in pista, come si suol dire ci rimango. per metà campionat; ma quello che volevo io non si è realizzato.

 






Non riuscendomi ad esprimermi al massimo decido di trasferirmi in Sicilia a San Cataldo, una piazza molto calda con una tifoseria e delle persone spettacolari.  A San Cataldo è stato l’anno più bello della mia vita passato fuori.  Il paese ti faceva sentire a casa e dopo qualche mese mi sentivo uno di loro! Sono rimasto in Sicilia per due anni, l’anno successivo però andai decisi di trasferirmi alla Nissa, squadra di Caltanissetta! Anche qui mi sono subito sentito a casa e quando sono andato via i miei amici e le persone di lì mi hanno salutato alla stazione con uno striscione: “ALBINO CI MANCHERAI”.


 




Tornato a casa decisi di intraprendere un altro mio sogno che era quello di fare il parrucchiere, quindi mi iscrissi a scuola e decisi di scendere di qualche categoria perché non riuscivo a gestire entrambe le situazioni. Questo è durato fino a quando non ebbbi  ricevuto una chiamata che mi ha cambiò la vita! Mi chiamò il presidente della squadra del mio paese che allora militava in terza categoria. 


 




In quel momento mi sembrava da folli accettare una proposta del genere anche perché è vero che ero sceso di categoria, ma comunque militavo in promozione. Ho sempre avuto un debole per il mio paese, per i miei amici e per le persone che ci abitano, quindi dopo qualche giorno di riflessione ho deciso di accettare il progetto e di cercare di portare la squadra dopo anno in promozione! Il primo   anno ci siamo riusciti subito, abbiamo vinto, direi stravinto, sono diventato inoltre capocannoniere; il secondo anno è successa la medesima cosa, abbiamo di nuovo vinto il campionato. Nel frattempo ho iniziato a fare il parrucchiere e ho diviso la mia vita tra lavoro e la mia squadra! 



 




Dall’anno scorso non sono soltanto il numero 10, ma anche il capitano e visto che per me Totti è da sempre il mio idolo ,essere il numero 10, capitano del mio paese è un qualcosa che non so spiegarti! 

 

Cerco giorno dopo giorno di trasmettere agli abitanti l’amore per questa maglia, e per questa piazza, cerco di essere un esempio per i più giovani e di trascinare sempre di più il gruppo a raggiungere obiettivo, che è quello di vincere il campionato! Quest’anno abbiamo costruito una squadra attrezzata per poter essere protagonista e sto cercando in tutti i modi di portarla in vetta! 

 






Da quando avevo 6 anni giocare a calcio è stata la mia unica ragione di vita, fino a qualche anno fa dormivo ancora con il pallone abbracciato nel letto; quando ho smesso di “giocare fuori, lontano da casa mia” ho sempre avuto un desiderio, portare in alto il nome del mio paese, giocare per i miei più cari affetti cari, far felice le persone che mi vogliono bene! 


 




Ogni volta che il mio telefono è squillato e mi hanno proposto di andare a giocare altrove la mia risposta è stata sempre e solo questa: “non posso, voglio giocare per il mio paese” e così è stato. 

 




 

È un onore giocare per la mia gente, spero di rendere felici le persone a me care perché loro mi stanno facendo sentire importante! Detto questo posso dirti che andare lontano da casa quando ero piccolo mi ha formato tanto, sono maturato mi sono sempre sentito più maturo e responsabile rispetto ai miei coetanei! Ad oggi il mio unico obiettivo è quello di raggiungere quella promessa che ho fatto.

 

 


 

Grazie 

 

17  12    2024 

 

(Tutti i diritti riservati) 

 

giovedì 12 dicembre 2024

SEZIONE SPORT

 

 

 

 

Paolo Radi intervista

 

 

 

 

MICHELE

MARTIELLO



 


 


Michele Martiello è un allenatore di calcio di Scafati, (Campania) e così ci si presenta:

 

Ho iniziato a giocare a calcio sin da quand’ero bambino, precisamente all’età di 6 anni e ho smesso circa a 15 anni. 

 

Visto che la passione per allenare è sempre stata così forte, e quindi pur avendo solo 20 anni posso dire di avere abbastanza esperienza in quest’ambito.

 

In particolare con i bambini. Attualmente lavoro in una società di Pompei dove gestisco un gruppo di piccoli amici e un gruppo pulcini.

 

 

 

Come prima domanda le voglio fare questa: quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventata la sua più grande passione?

 

Non c’è stato un momento preciso nel quale ho scoperto che questa sarebbe diventata la mia più grande passione, sin da piccolo ho sempre amato questo sport, trascorrevo pomeriggio interi a giocare per strada o in campi abbandonati fin a tarda sera, per poi con il passare del tempo questa passione è diventata sempre più forte.

 

Perché ha deciso a un certo punto della sua vita di diventare allenatore? 

 

Ho deciso di diventare allenatore perché come dico sempre anche ai ragazzi finché c’è tanta voglia di giocare continuate a praticare questo sport, quando accadrà che l’allenamento o fare tanti sacrifici per migliorare le prestazioni  sarà un grande peso, dedicatevi ad altro. Ed è proprio per questo che ho deciso di mettermi in gioco come allenatore.

 




 


Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 

 Che cosa le sta dando il calcio e che cosa le sta togliendo? 

 

Non smetterò mai di dire che la qualità principale di un allenatore deve essere la pazienza e la determinazione in quello che si fa, il calcio mi sta dando giorno dopo giorno tante amicizie, anche perché  si conoscono sempre nuove persone e automaticamente ci sono tanti scmabi di idee, sicuramente però questo sport ti toglie un po’ della vita privata perchè interi pomeriggi e giorni festivi si trascorrono sui campi. 

 

Immagino che non sia facile allenare i bambini, che metodo utilizza? 

 

Allenare i bambini non è affatto facile, il mio metodo principale è riuscire a diventare una figura di riferimento per loro, affinchè  dove possano  fidarsi e confidarsi sempre e liberamente.

 

Un suo pregio e un suo difetto, (sotto l’aspetto dell’essere un allenatore)

 

Il mio più grande difetto senz’altro è che questo:  ci  tengo veramente tanto al lavoro che svolgo e spesso sono molto severo con me stesso, il mio pregio è sicuramente lavorare non solo in campo, ma soprattutto fuori e cioè:  studiando e aggiornandomi.

 

La nazionale italiana non sta ottenendo grandi risultati, secondo lei perché? Quali possono essere i motivi?

 

il problema principale parte dal fondo, attualmente le società investono solo ed esclusivamente sulle prime squadre, e non sui settori giovanili sia sui ragazzi che sugli istruttori.

 

Se dovesse ricevere una chiamata da un club estero, partirebbe immediatamente oppure ci penserebbe per qualche giorno?

 

Per chi vive di questo sport come me non ci penserebbe più di una volta, sicuramente accetterei, mi rimboccherei subito le maniche e cercherei di affrontare questa nuova esperienza con tanta determinazione. 



 




Un sogno per il futuro?

 

Un sogno sicuramente sarebbe allenare a livelli alti, so che la strada è difficile perché purtroppo in Italia vale la legge di inserire i giocatori ritirati sulla panchina, ma con la giusta tenacia e determinazione si può ottenere tutto.

 

 

 

 

 Grazie 

 

12 12  2024 

 

(Tutti i diritti riservati)