Archivio blog

sabato 13 marzo 2021

 

di PAOLO RADI 

 

 


 

 

 

 

 

 



CONVERSANDO CON...

     

 

 

 

PEPPE

GIACCIO 

 

 





 



 

 

Peppe Giaccio è nato il 28 aprile del 1987 a Napoli. 


Dai 6 a 9 anni ha giocato a basket perché il padre lo portò a fare sport nella palestra dove lui da giovane aveva  giocato a pallavolo a buoni livelli. A 9 anni però, gli aprii il  suo salvadanaio sulla tavola e gli disse: io voglio giocare a calcio. Ha iniziato con l'A.N.D.S. QUARTO un anno, poi per 4 anni con la Royal Quarto nel quale  è stato sempre il capitano e infine 2 anni con il Monteruscello calcio nelle categorie Giovanissimi e Allievi regionali. 


A 16 anni è stato preso dal Genoa, ma l'esperienza li è durata solo un anno. Di ritorno dal Genoa ha militato in serie D con il Frascati e con la Sibilla Cuma, in eccellenza con l’Isernia e con il Quarto, e poi diverse esperienze in promozione tra cui Puteolana e Rione Terra. 


Ho iniziata ad allenare a 27 anni in una società di cui ero socio: la Me.Gi.C Udinese Accademy dove ho trascorso 3 anni, partendo da zero, dalle categorie più piccole fino a finire con gli allievi al terzo anno. Ora sono al quarto anno con la Di Roberto, società nata da 4 anni appunto. Attualmente mi è stato assegnato il gruppo Under 15 regionale. Ho conseguito il patentino Uefa B due anni fa.











 

Come prima domanda le voglio fare questa, il mondo dello sport è stato stravolto, come ogni settore della vita, secondo lei, tutto tornerà come prima, oppure anche il calcio subirà dei cambiamenti?

Credo che tutto dipenda da che tipo di mondo uscirà fuori alla fine di questa pandemia. 

Se il mondo porterà con sé delle cicatrici indelebili anche il calcio per forza di cose farà lo stesso.

Se invece, e lo spero, il mondo tornerà ad essere quello di prima anche il calcio tornerà ad essere sempre lo stesso, mi auguro però che tutto ciò che stiamo vivendo non sia dimenticato, ma ci permetta di vivere il calcio, ma anche la vita, con più sentimenti, con più passione ed emozioni, altrimenti non avremmo tratto nessun insegnamento da questo periodo di grande sofferenza.

 










Il campionato di serie A, di B, C e D e così le altre gare di Coppa, è ripartito con gli stadi quasi chiusi (una partita ha un sapore diverso rispetto a uno stadio pieno con migliaia di tifosi) che cosa ne pensa di tutto ciò? 

Penso che per far ripartire la "macchina del calcio" non si poteva fare diversamente.

Certo, i tifosi che riempiono gli stadi, che rendono quell'atmosfera magica, sono l'essenza del calcio e questo nessuna Pay tv potrà mai cambiarlo.

Manca il boato dello stadio al gol della propria squadra, mancano i cori, i colori, i profumi, le gioie e le sofferenze condivise con i propri beniamini, manca la corsa sotto la curva per esultare dopo la rete che ti fa vincere la partita. Manca l'essenza del calcio: l'emozione. 

Detto ciò, giocare partite a livello professionistico resta pur sempre un privilegio, inoltre è un settore che muove un'economia immensa per indotto, non solo tra giocatori allenatori ecc, ma anche per tutti i lavoratori che ci girano attorno, pertanto ritengo opportuno che con i protocolli stabiliti abbiano ripreso.

 











Purtroppo per le squadre che militano dopo la serie D sino all’ultima categoria queste dovranno ancora aspettare prima di scendere in campo. Lo trova giusto? Molti giocatori delle categorie inferiori sono delusi e amareggianti e molti di loro non riceveranno alcun stipendio, lei cosa ne pensa a riguardo di questa situazione non facile? 

Ne sono coinvolto in prima persona anche io con i miei ragazzi in quanto il nostro campionato quest'anno non è mai partito.

Sono dispiaciuto e molto triste per questo, amareggiato come tutti.

Ma con razionalità devo dire che posso capire questa differenza di trattamento rispetto ai professionisti e alla serie D.

 Il dilettantismo al di sotto della serie D, che sia di prima squadra o a livello giovanile, è un mondo completamente diverso dove non ci sono le risorse economiche ed organizzative per garantire i protocolli previsti per ripartire in sicurezza.

Ripeto, posso capire l'amarezza e la delusione perché ne faccio parte, ma al momento va accettato.

Riguardo gli stipendi, posso dire che fine a che il ministero di sport e salute era in vigore, noi tesserati della Lega Nazionale Dilettanti siamo stati trattati egregiamente, al di là di quanto mi aspettassi all'inizio di questa pandemia e questo va sottolineato e riconosciuto. 

Mi auguro però che il nuovo governo, malgrado abbia destituito il ministero di sport e salute e non abbia ancora assegnato la delega, non si dimentichi di un mondo fatto di migliaia di persone, che ad oggi attendono ancora notizie certe circa i ristori di gennaio, febbraio e marzo.

 









Si ricorda il momento preciso di quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

Credo di averlo percepito durante le mie prime partitelle per strada, in villa comunale, o nel parco di qualche amico.

Avevo circa 8 anni forse, e in realtà frequentavo il corso di basket nella palestra in cui mio padre da giovane giocava a pallavolo. Mi portò li a 6 anni per avviarmi ad uno sport in un ambiente sano. Ero anche abbastanza bravo e forse mi divertivo pure.

Mio padre però non poteva sapere che avessi già una propensione al calcio, o forse faceva finta di non saperlo per una questione economica. 

Ricordo che gli chiesi di iscrivermi alla scuola calcio per due estati, ma lui mi diceva che non era ancora il momento e che costava troppo; ma io ero determinato e lui non sapeva nemmeno questo. Alla terza estate, una sera, glielo chiesi ancora attendendo la solita risposta che arrivò puntuale, stavolta però andò diversamente, avevo 9 anni e da almeno 2 anni avevo un salvadanaio che quella sera gli aprì sul tavolo esclamando: ora mi iscrivi alla scuola calcio, ed era pure una bella cifra. 

Stavolta mio padre dovette accontentarmi e da li poi è partita la mia storia.

 











I suoi genitori hanno cercato di assecondarla, oppure le hanno detto la classica frase: “...non sarebbe meglio che pensassi allo studio?”

Una volta intrapresa la scuola calcio mi hanno sempre lasciato libero di vivere serenamente il mio percorso calcistico senza pressioni né in un senso nè nell'altro. Hanno sempre voluto che andassi bene anche a scuola, come è giusto che sia, ma non hanno mai anteposto una cosa all'altra. Anzi penso che mi abbiano accompagnato nel modo giusto e che abbiano fatto tanti sacrifici affinché io potessi vivere al meglio il mio percorso. L'aspetto più importante riguarda il fatto che non si sono mai intromessi nelle questioni di campo o nei rapporti con i vari mister, anzi mi hanno sempre invogliato a cavarmela da solo e ad affrontare in prima persona le difficoltò e devo ammettere che questo mi ha permesso di crescere molto caratterialmente, ho sempre trovato giusto il loro atteggiamento. Purtroppo oggi il calcio giovanile è invaso da genitori troppo invadenti che spesso e volentieri credendo di fare il bene dei propri figli non fanno altro che rendere le cose più difficili. A onor del vero io sono stato molto fortunato nei miei trascorsi, ci sono stati pochi e sporadici casi, ma il discorso generale resta.

 








Lei giocava nel ruolo di? 

Il mio ruolo è sempre stato quello di difensore centrale, salvo alcune eccezioni in cui ho giocato come centrocampista centrale. 

Sono sempre stato però un difensore più tattico, più tecnico, più di lettura e meno fisico o aggressivo. Di fatti poi nel tempo mi sono autodefinito un difensore "atipico"

 









Ci potrebbe raccontare della sua esperienza al Genoa, un’esperienza importante e gratificante per lei, immagino.

Beh sì, avevo 16 anni e fu il raggiungimento di un sogno. Fu il coronamento di 6-7 anni di sacrifici, rinunce e duri allenamenti, in cui la mia vita si sviluppava in funzione di quel sogno da raggiungere.

Non dimenticherò mai il viaggio in treno con i miei genitori per andare lì in sede a Genova, furono 8 ore infinite, trepidanti.

Una volta entrato in sede, mentre stavo per firmare, in quei pochi secondi, mi  passarono nella mente un'infinità di cose, e sentì  nel cuore un'esplosione di emozioni. Fu un momento che non dimenticherò mai.

Quell'esperienza è stata un concentrato di episodi e aneddoti che riguardano l'aspetto calcistico e la vita in genere che trasudano di emozioni e di sensazioni irripetibili: la prima volta in cui indossai la maglia ufficiale , i derby, le partite contro l'odiata Juventus, il primo gol, l'amichevole contro la prima squadra di Milito, i viaggi, le trasferte, i ritiri, la prima volta da raccattapalle sotto la nord, l'ambientamento in una nuova città, squadra, scuola, il convitto, i momenti di difficoltà e di sconforto, i momenti di gioia e di soddisfazione. 

Ci vorrebbe un libro intero per poter raccontare ogni cosa come le emozioni mi imporrebbero di fare ma evito di dilungarmi oltre misura per lasciare un messaggio ai ragazzi che si troveranno a vivere questo stesso mio percorso: l'errore più grande che si possa fare è pensare che il passaggio in un club professionista sia un punto di arrivo. Non è assolutamente così, anzi è proprio li che inizia un nuovo percorso, più difficile, dove è immensamente complicato rimanere e riconfermarsi ogni anno.

 

Lei ha giocato in diverse squadre, a quale è rimasto più legato? 

Sono sincero, conservo piacevoli ricordi per ogni squadra in cui ho giocato, ma nessun legame particolare, forse col Genoa, ma probabilmente più per l'esperienza e per quello che ha rappresentato per il ragazzino che ero.




 






Che cosa le ha dato le ha dato, e che cosa le ha tolto questo sport? 

Senza alcun dubbio posso affermare che mi ha dato infinitamente di più di quanto non mi abbia tolto.

Sì forse mi ha tolto un po' di libertà da ragazzino, mi ha tolto qualche vacanza, qualche sabato sera e qualche buon piatto in più, ma mi ha dato talmente tanto che non riuscirei ad immaginare come sarebbe stata la mia vita senza sport.

Mi ha dato la possibilità di conoscere tante persone, tanti amici, posti, città. Mi ha dato la possibilità di conoscere la disciplina, la conquista, la sconfitta, la vittoria. Mi ha dato la possibilità di conoscere lo spogliatoio, di conoscere me stesso, di formare me stesso.

Mi ha portato, ad oggi, ad essere un allenatore, ed è una delle cose più belle che mi potessero capitare.

Mi ha dato l'opportunità di vivere esperienze uniche nel suo genere.

Mi ha dato la possibilità di arricchire la mia vita di aneddoti e soprattutto di emozioni, quelle emozioni che ti fanno sentire tremendamente vivo, quelle emozioni intense e condivise, quelle che ricorderai e racconterai per sempre.

Lo sport mi ha dato tutto perché lo sport è vita.

 










Ha qualche rimpianto nella sua carriera di calciatore, oppure è soddisfatto completamente di quello che è riuscito a fare?

Partendo dal presupposto che la mia carriera da giocatore non è durata molto, neppure abbia toccato picchi di alto livello, devo ammettere però che se tornassi indietro, con l'esperienza e la mentalità di oggi, qualcosa cambierei, ma questo credo sia nella normalità delle cose.

 In ogni caso ho sempre pensato, in maniera molto onesta, che probabilmente non avrei potuto fare molto di più rispetto a ciò che è stato. Ho sempre avuto la consapevolezza di avere dei limiti, soprattutto fisici e di cattiveria agonistica, che non mi avrebbero permesso di raggiungere i livelli sperati.

 










A 27 anni inizia una nuova avventura, decide di diventare allenatore sino a conseguire il Patentino di Uefa B due anni fa, il calcio non lo voleva proprio abbandonare, com’ è questa nuova esperienza

Così di getto, come dico sempre a chi mi fa questa domanda rispondo: allenare è una cosa che ti riempie la vita.

Ricordo che all'età di 12-13 anni già iniziavo a pensare che un giorno avrei voluto fare l'allenatore. Sarà che ammiravo il modo in cui lo faceva il mio mister di quel periodo, Mister Salvatore Lamboglia, il quale mi ha cresciuto calcisticamente, ma non solo, addirittura per 5 anni.

Allenare è completamente diverso da giocare ovviamente, ma per certi versi può essere anche più appagante. 

 

Certo, poi è soggettivo, ognuno lo interpreta secondo il proprio modo di essere. Il mio non può prescindere dai legami e dalla passione: mi viene naturale da sempre instaurare un legame affettivo con i ragazzi che alleno, dal più bravo al meno bravo, con quello che gioca di più e con quello che gioca meno, in quanto credo fortemente nel valore del gruppo che deve rappresentare una famiglia per tutti quelli che ne fanno parte; mi viene altrettanto naturale trasmettere la mia passione per questo sport che sia in allenamento o in partita. Vivo tutti i momenti con estremo trasporto emotivo cercando la massima condivisione con i ragazzi per far capire loro che siamo dei privilegiati e che non è per nulla scontato avere l'opportunità di fare calcio.

Si, essere un punto di riferimento per la squadra, avere l'onere e l'onore di gestire una ventina di persone può essere faticoso, a volte stressante, ma se lo si fa con rispetto ed onestà, ricoprire il ruolo di allenatore può dare soddisfazioni che dal mio punto di vista, nient'altro può dare.

 








Che cosa dice ai giovani la prima volta che li incontra sul campo?

Gli dico di vivere i propri anni di calcio giovanile al massimo delle possibilità calcistiche e con il massimo coinvolgimento emotivo, perché sono gli anni più belli e non potranno essere vissuti una seconda volta.

Inoltre gli dico di non giustificare mai i propri fallimenti con alibi o scuse. Bisogna sempre dare tutto, impegnarsi al 101% e sapere che l'unica strada per raggiungere un obiettivo è l'allenamento, la dedizione e il sacrificio. 

Raccomandazioni, sfortuna, simpatie e antipatie lasciano il tempo che trovano, io sono fermamente convinto che se c'è il talento e ci si impegna, prima o poi si avrà la propria occasione.




 






Del calcio femminile che opinione ha? Mi spiego meglio, lo ritiene uno sport per soli uomini?

È evidente che sia un movimento in ascesa, ho amici che ne fanno parte e me ne parlano con grande passione. Mi parlano però anche del ritardo che abbiamo qua in Italia rispetto all'Europa, ma questa non è una novità.

Ad ogni modo non credo che sia uno sport per soli uomini, anzi nell'ultimo mondiale ho apprezzato anche un buon livello di gioco, così come nelle massime competizioni nazionali ed europee, anche se la differenza di intensità fisica resta evidente. Non escludo di poter allenare un giorno una squadra femminile, perché no!

 

Se dovesse descrivere se stesso con poche parole, a chi non la conosce, cosa scriverebbe?

Sono una persona molto rispettosa, umile e determinata. Credo molto nei valori importanti della vita. Ho una forte sensibilità e sono molto romantico.

 








Quanto è importante la famiglia per lei? 

Mi riallaccio a quanto ho detto nella risposta precedente. La famiglia è un elemento fondamentale, il cardine della vita.

Sento forte questo valore malgrado non sia ancora né sposato né fidanzato. Mi auguro però di poter realizzare presto questo desiderio e di avere dei figli, magari un bel maschietto per iniziare.

 









Gli amici che ruolo ricoprono nella sua vita quotidiana?

Probabilmente nella vita quotidiana sono meno presenti di quanto vorrei, ma questo forse è un mio difetto. É anche vero che la frenesia della vita con il lavoro e i mille impegni reciproci complicano un po’ le cose.

Nel tempo però, crescendo, è cambiata la mia idea di amicizia. Un tempo pensavo che gli amici fossero quelli che vedevi tutti i giorni, con cui facevi mille cose e con cui condividevi tutto. Ora ho la consapevolezza che gli amici sono quelli che sanno ascoltarti, quelli con cui non ti senti mai giudicato, quelli che ci sono quando ne hai bisogno, anche se magari è da qualche settimana che non li senti.

Ecco, io sono fortunato perché qualche amico di questo genere ce l'ho e me lo tengo stretto.

 









Una riflessione sulla morte di D.A. Maradona

Un dolore tremendo, come fosse venuto a mancare una persona di famiglia.

Diego forse è il motivo più grande per cui amo il calcio e sono tifoso del Napoli malgrado non l'abbia vissuto in prima persona.

Conosco ogni cosa che lo riguarda, non so quante videocassette mi sono fatto comprare da mia mamma, quando da ragazzino avevo la febbre; la bella cosa per me erano le videocassette di Diego. 

Ha fatto parte della mia vita da sempre, l'ho amato ancor prima di capire realmente chi fossi...inconsapevolmente, quasi perché era naturale che andasse cosi. Ho tappezzato la mia camera con i suoi poster. Conosco ogni cosa di lui, ho imparato a memoria la sua canzone: "La mano de DIOS  e me ne vanto ogni volta che la canto.

Mi ha emozionato centinaia di volte nella mia vita per ogni cosa, anche la piú banale, cosi perché era una cosa naturale.

Tutte le volte che ha rischiato la vita mi dicevo"...nooo...ci vuoi solo fa preoccupa, tanto è impossibile...mica può succedere veramente, lui è DIEGO...vivrà per sempre."

Il 25 novembre 2020 è successo veramente, ma in un certo senso "c'avevo ragione "perché la morte non esiste per uno come Diego. La  gente muore solo quando viene dimenticata e Diego non sarà mai dimenticato: Diego è leggenda, Diego è il calcio, è DIOS; Diego è il sogno di ogni bambino.

Per mille anni ancora si dirà:

"E chi si...Maradon..."

 






Volevo concludere dicendo che è davvero lodevole da parte sua il fatto di interessarsi a persone come me che non fanno parte del "calcio che conta" per dare la possibilità di raccontare storie di vite e di calcio. 

Nel calcio dilettantistico ce ne sono davvero tante che varrebbe la pena conoscere.

La ringrazio con grande affetto per questa bella e corposa intervista, é stato un viaggio bellissimo nei miei ricordi e nelle mie emozioni.

Le sono davvero grato per la cordialità e la passione con cui porta avanti questa iniziativa. Grazie di cuore.

 

 

 

E io ringrazio lei per la disponibilità

 

 

 

 

 

  

 

a cura di Paolo Radi   

 

 

 

 

14    marzo      2021 

 

(Tutti i diritti riservati)  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento