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mercoledì 4 novembre 2015







04 Novembre 2015









CONVERSAZIONE CON

MARCO GUANDALINI




LA CULTURA DELLA FORMA…

FISICA


Marco Guandalini  è un  preparatore fisico e personal trainer; laureatosi in Economia e Commercio all’Università La Sapienza di Roma ha seguito poi la sua passione laureandosi in Scienze Motorie presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Tor Vergata facendo di questa passione la sua professione




Signor Guandalini come mai questo percorso di vita, da Economia e Commercio a preparatore fisico e personal trainer?



Perché penso che nella vita bisogna seguire sempre le proprie passioni; inoltre quando sarò diventato ricco come preparatore avrò bisogno di un buon commercialista, perciò tutto torna nella vita (ride) !





Lei assieme ad Andrea Beverino ha vinto il campionato italiano di Windsurf  nella classe olimpica Mistral,  ci potrebbe spiegare in breve, soprattutto  a chi non conosce l’attività, in cosa consiste questa specialità?

Il Mistral è stato per un periodo la marca di Windsurf che era stata scelta per regatare alle olimpiadi. Comunque non sono stato io a vincere il campionato, bensì Andrea  Bevarino. L’ho aiutato in qualità di preparatore fisico, bellissima esperienza sotto ogni punto di vista.



Da circa 30 anni è iniziato, mi permetta questo termine, il culto della forma fisica, stiamo parlando di metà degli anni ’80, perché secondo lei, si sono aperte palestre e tutti hanno iniziato ad andarci?



Perché, purtroppo, la gente ha incominciato a frequentarle al posto che recarsi in sezione. Sicuramente la cura del proprio corpo e della salute è importante, ma forse sarebbe stata buona cosa se fossero prima andati in sezione e poi in palestra.




Una volta scrissi la seguente affermazione su Facebook, “oggi tutti vogliono avere un fisico perfetto, un fisico atletico e biondo, come Hitler proclamava nei suoi discorsi alle masse”, ricevetti una marea di critiche negative, la trova eccessiva questa asserzione?

Diciamo che, per certi versi, la politica  hitleriana  (che perseguiva l’obiettivo  di forgiare la forza tedesca attraverso la ricerca di un corpo perfetto) anche se strumentale al suo fine, aveva alla base un’ideologia  politica; ovviamente aberrante. Oggi tale ricerca (del corpo perfetto)  è puro narcisismo.



Com’è la sua giornata tipo, ad esempio quante ore lei dedica alla corsa e alla palestra?

Sveglia alle 7, colazione ricca, poi mi preparo per andare o al lavoro o per allenarmi.
Per essere preciso mi alleno tre ore al giorno, a volte palestra a volte mountain bike. Il sabato per riposarmi vado in bicicletta per cinque ore!




Spesso leggiamo che nelle palestre alcuni assumono integratori e sostanze proibite, il tutto per avere un fisico scolpito, che cosa consiglia lei a chi vuole mantenersi in forma, ma senza ovviamente eccedere?

Prima di tutto bisogna fare una chiara e netta distinzione fra integratori e sostanze dopanti.
L’integratore integra la nostra alimentazione, ovvero: quando per questioni di tempo e fabbisogno elevato non riesco ad assumere tutti i nutrienti dei quali ho bisogno dal cibo… integro.
Gli integratori non danneggiano il fisico sempre che la loro assunzione non sia esagerata e rientri nell’ambito del una dieta ben calcolata da un nutrizionista.
Purtroppo nel mondo delle palestre si pensa ancora che assumendo determinati integratori si abbia risultati solo per questo motivo.




Oggi si parla sempre più spesso di cibi “scadenti” che danneggerebbero  la forma fisica, a suo avviso, quale sarebbe una buona alimentazione adeguata?

Non sono un nutrizionista e forse un esperto potrebbe rispondere in modo più adeguato, quello che bisogna fare è assumere e cercare di assumere tutti i nutrienti ad ogni pasto, inoltre bisogna  sempre stare molto attenti agli indici glicemici degli alimenti.
In ultimo è importante evitare il più possibile cibo industriale il quale contiene sostanze nocive per l’uomo, queste  vengono utilizzate dalle aziende produttrici per allungare i tempi di stoccaggio dei prodotti o per ridurre i costi di produzione.



Spesso mi capita di vedere per strada persone che corrono alle ore più svariate della giornata, non le sembra tutto ciò un po’ maniacale?

Sicuramente lo è, correre fa bene all’attività, l’unico neo è che spesso gli amatori che praticano la corsa a livello agonistico, travisano il concetto di allenamento.



Quale consiglio darebbe a chi le chiedesse” voglio dimagrire, voglio avere un fisico perfetto, mangiano comunque bene?”


Entrare in un negozio di ciclismo e uscirne con una bella bicicletta!



Qual è stata la sua soddisfazione più grande nella sua attività e ovviamente, se c’è stata la sua delusione?

Ho avuto tante soddisfazioni grandi da ogni atleta che ho seguito, questo in diverse discipline dalla corsa, al tennis sino al rugby. Le delusioni non sono mai venute dagli atleti, ma dalle società…lo sappiamo tutti, l’Italia non è un paese meritocratico….


Ultima domanda, squadra del cuore e atleta che lei ammira?

Squadra del cuore: sono ateo, in quanto agli atleti che ammiro ve ne sono tanti in diverse discipline, sia famosi che semplici amatori.





























Grazie per l’intervista




domenica 1 novembre 2015










1  Novembre 2015





CONVERSAZIONE CON MASSIMO COCO



ERA MIO PADRE…
  

Massimo Coco è figlio del Magistrato Francesco Coco ucciso dalle Brigate Rosse 8 giugno 1976. Massimo Coco è musicista  e  docente di violino.






Signor Massimo Coco a giugno saranno quarant’anni che suo papà è deceduto, lei e i suoi fratelli avete in  mente di  ricordalo con una cerimonia pubblica, oppure sarà solo un "fatto"  privato?



Accanto a mio padre morirono anche un agente della Polizia di Stato, Giovanni Saponara, e un carabiniere, Antioco Deiana, si tratta purtroppo di un indelebile "triplice" ricordo; e il ricordo "privato" purtroppo è celebrato tutti i giorni e tutti gli anni, come si può bene immaginare; quello della memoria invece è un dovere pubblico, e anche se in passato è successo che a Genova ci si scordasse completamente di quell'otto giugno del 1976, da anni si svolge sempre una cerimonia sul luogo dell'agguato, con una presenza significativa di autorità civili e militari.

Nel liceo classico Andrea D'Oria poi (lo stesso dove mio padre aveva conseguito la maturità classica, nel lontano 1925) grazie all'U. N. M. S. (unione nazionale dei mutilati per cause di servizio) si organizza un concorso per le classi dei maturandi, la prova è un elaborato scritto sul tema dei cosiddetti "anni di piombo" e le prove migliori sono premiate con una piccola ma significativa borsa di studio offerta dalla Cassa di Risparmio di Genova.

Il quarantennale del triplice omicidio, però, vorrei che fosse l'occasione anche per una riflessione attraverso un pubblico dibattito sulla città di quegli anni: il coinvolgimento attivo e/o le responsabilità morali nelle vicende del terrorismo furono allora davvero troppo importanti.



Com’era suo padre nella vita di tutti giorni?



Una persona di rara mitezza, dolcissima e persino timida, quando era a casa con noi mio padre si trasformava completamente, una figura lontanissima da quella pubblica del magistrato duro e inflessibile, severo e inesorabile custode della legge.

Si sforzava in tutti i modi di tenere separate la vita pubblica da quella privata, cercava sempre e disperatamente di tenerci al riparo dalle "turbolenze" violentissime di quegli anni; impresa difficile visto il suo ruolo di magistrato impegnato ad affrontare vicende di grande clamore, viste le continue attenzioni mediatiche, le scorte armate imposte, le minacce e le ingiurie che raggiungevano anche me e le mie due sorelle, allora adolescenti, persino a scuola.



In televisione un anno fa Rai Uno ha mandato in onda una fiction sul rapimento del magistrato Mario Sossi, nella fiction c’era l’attore Ennio Fantastichini, ha visto quel lavoro, e se lo ha visto è stato contattato dalla produzione o dall’attore per come meglio interpretare suo padre?


Il primo a parlarmi del progetto di una fiction sulla vicenda del sequestro del giudice Sossi e dell'omicidio di mio padre fu Paolo Vivaldi, il compositore incaricato di scrivere la colonna sonora, un caro amico; mi chiese addirittura se avesse potuto scrivere delle parti per violino solista e se me la sentissi di eseguirle, e naturalmente accettai anche se con molta preoccupazione: non mi era mai capitato di essere coinvolto professionalmente, da musicista, nel contorno di quelle vicende così drammatiche e personali, temevo un po' il contraccolpo emotivo.

In seguito ho conosciuto il regista Graziano Diana, ottimo professionista e persona straordinaria, è stato facile stringere amicizia; naturalmente ho letto e approvato copione e sceneggiatura, ma in seguito, dopo avergli regalato una copia del mio libro, ho avuta la grande sorpresa di vedere come, benché le riprese della fiction fossero già cominciate, Graziano avesse cambiato o aggiunto nuovi dialoghi e scene, creando con un giovanissimo attore il personaggio "Massimo" inserito nel lavoro con un ruolo non più di comparsa; dunque in un certo senso ho contribuito sia alla colonna sonora che alla sceneggiatura del lavoro!

Sul tema "fiction" occorre fare comunque alcune precisazioni: la sola verità accettabile è purtroppo quella processuale, nessuna rappresentazione teatrale o cinematografica, per quanto sia fedele alla storia e precisa nella caratterizzazione dei personaggi può sostituirsi a quella; ma resta comunque il ruolo importantissimo di opera divulgativa, di forte contributo alla memoria.
 Purtroppo non ho potuto incontrare Ennio Fantastichini, ho avuto solo uno scambio di messaggi, e ho avuto modo di complimentarmi con lui per la sua interpretazione; ho incontrato invece Alessandro Preziosi, che interpretava il giudice Sossi, e che ha voluto chiedermi notizie su quali fossero stati a suo tempo i rapporti tra mio padre e il giovane magistrato sequestrato dalle BR.


Lei ha scritto un libro, Ricordare Stanca, potremmo anche dire che ricordare stanca ma lacera continuamente, non trova?



"Ricordare stanca" perché la memoria è un dovere, e il dovere è una fatica; una fatica per quelli come me, perché la memoria significa dolore, rimpianto, mancanza e quant'altro si possa comprendere; una fatica per tutti, anche se questo potrà apparire un po' retorico, perché abbiamo tutti l'obbligo ti "restituire la voce" a coloro ai quali è stata tolta con la violenza.
E abbiamo il dovere  di onorare un debito di giustizia; e dovrebbe essere una fatica anche e per coloro che hanno la responsabilità di quanto è accaduto, perché per loro la memoria rappresenta soprattutto un esame di coscienza.



Sulle Brigate Rosse molto si è detto e molto si è scritto, pensiamo al sequestro di Aldo Moro e all’uccisione della sua scorta, molti sostengono che i Brigatisti non fossero soli quel giorno a sparare, ritiene che ci sia dietro un fantomatica “spectre”, mi passi questo termine, oppure che sono stati solo i brigatisti?



Un giorno un giornalista mi chiese se credessi all'esistenza di un misterioso "grande vecchio" che avesse pilotato il terrorismo in Italia; risposi che piuttosto credevo ai notissimi piccoli giovanotti che il terrorismo lo hanno a lungo praticato, e spesso orgogliosamente reo-confessi.

Purtroppo la dietrologia, il sensazionalismo mediatico, e anche la smania di individuare all'impronta i responsabili "capro espiatorio" d'ogni male, hanno creato depistaggio e fantasiose ricostruzioni sino a distrarre l'attenzione da chi aveva ancora la "pistola fumante" in mano.

Detto questo, è anche vero che non c'è uno solo dei tantissimi episodi di sangue legati al terrorismo italiano che non abbia a tutt'oggi punti oscuri, questioni irrisolte e responsabilità non acclarate; non credo allo Stato coinvolto, ma a molti suoi servitori infedeli sì; e vorrei che si evitassero generalizzazioni, ma si puntasse il dito solo e unicamente su nomi e cognomi ben determinati.



 Ci potrebbe meglio il concetto di viPtime, voglio dire secondo lei alcuni figli delle vittime delle Br, avrebbero beneficiato dalla morte del loro padre, in poche  parole, non avrebbero fatto carriera se il loro padre fosse stato ancora in vita, esatto?



Ho sempre considerato tutte le vittime come "colleghi nel dolore", senza stabilire gerarchie; non mi permetto illazioni sulle potenzialità di nessuno.
Certo è che alcuni hanno cercato e ottenuto, per la propria carriera, numerosi privilegi e grande visibilità; e questo genera una sperequazione inaccettabile nel confronto con tantissime vittime cosiddette di "serie B", ovvero persone che attendono ancora da decine di anni i risarcimenti che spetterebbero loro per legge, ma che faticano ad ottenere e sono costretti a richiedere con battaglie quotidiane,  a suon di ricorsi contro una burocrazia statale perennemente ostativa.
 A fronte di tutto questo le "viptime" sono perlopiù  spettatori assenti, oppure pontificano su "stagioni chiuse", "riconciliazione" e "perdono".





Spesso si parla di perdono, certo è facile a dirsi, però poi il problema è la nostra interiorità ferita, in fin dei conti, come possiamo perdonare chi ha ucciso un nostro famigliare?



Di perdono si parla continuamente e a sproposito, in realtà nessuno sa definirlo con precisione; che cosa si intende realmente?
 Nel senso di "rinuncia alla vendetta" sarebbe già applicato in toto, non c'è notizia di nessun evento concreto né tantomeno di progetti in pectore di rappresaglie da parte delle vittime verso i terroristi; nel senso di "rinuncia al rancore" a mio personale giudizio non è praticabile, posso controllare o temperare le mie azioni in ragione di un sentimento, ma non posso scegliere i sentimenti stessi: non posso decidere a tavolino se innamorarmi o meno di una persona, quindi è ipocrita asserire di essere in grado di liberarsi del rancore per scelta; esistono già numerosissime forme di perdono "pubblico", ovvero quello della legge: si chiamano amnistia, indulto, grazia, prescrizione, legislazione premiale...perché non ci si affida solo a quelle, anziché pretendere dalle vittime o dai loro famigliari gesti che avrebbero solo un significato morale e personale?

Oltretutto, come ho sempre ribadito, io non posso "perdonare" nessuno: non solo perché dopo quasi quarant'anni ancora non ho il nome dell'assassino di mio padre, ma perché solo mio padre potrebbe perdonare il suo assassino, io non ho facoltà per decidere in sua vece; l'omicidio volontario genera due condizioni irreversibili:
 c'è chi muore e c'è chi diventa un assassino, questo è "per sempre", occorre che i responsabili di morte se ne facciano una ragione con le proprie coscienze.



Un’ultima domanda è ancora in contatto con i parenti degli agenti che facevano la scorta  a suo padre?



Naturalmente sì, è rimasta una fraterna amicizia, e non potrebbe essere diversamente; non riesco a immaginare, quando penso a Deiana e Saponara, a qualcosa di estraneo alla mia famiglia.





Grazie per l'intervista




domenica 11 ottobre 2015









11  Ottobre   2015





12

ANNI

AL

 COMSUBIN





CONVERSAZIONE CON LORENZO LUSERNA



Lorenzo Luserna abita in una città del Nord Italia,  noi lo abbiamo incontrato per voi



Signor Lorenzo Luserna, da come lei mi ha detto è stato 12 anni al Comsubin, preciso per i miei lettori  che il nome è di fantasia, la riservatezza ce lo impone,  quindi  le chiedo, perché questa passione?

La passione è nata per superare se stessi, i propri limiti, volevo entrare in questo ambiente elitario, pensavo” dev’essere un ambiente meritocratico” e lo è!



L’addestramento è più duro a livello psicologico oppure fisico?

Psicologico nettamente, a livello fisico ti strutturano gradualmente.  



Ha mai pensato prima di diventare effettivo di mollare?

Mai.



Quando si fa parte di un corpo d’élite, c’è il rischio che si possa oltrepassare un certo confine e sentirsi, mi perdoni il termine” invincibile”?

Potrebbe essere, il confine è sottile, in realtà la tua preparazione ti mette al cospetto della tua fragilità, da solo non sei completo, sono i tuoi compagni che di danno la consapevolezza che sei, mi passi questo termine “forte”.

Lei sarà stato all’estero ci può almeno dire quale  fra le varie aree di operazione, ha avvertito un pericolo maggiore e perché?

Il livello di allerta è sempre al massimo, l’operazione che domani si deve compiere è sempre la più difficile. In qualsiasi missione devi poter essere in grado di offrire il massimo.


Durante la sua permanenza nel Comsubin  com’era strutturata una  tipica giornata di addestramento?

Ci svegliamo alle 4 del mattino, a volte alle cinque, poi ci si dedica alle attività subacquee, espletate queste subito la corsa, infine c’è la colazione. Terminata la colazione si passa alla teoria e alle diverse discipline, ad esempio si studia chimica. Dopo queste lezioni c’è il pranzo, e dopo pranzo ci sono attività che prevedono l’utilizzo di armi, tipo: tiro dinamico, tiro selettivo. Alle 16 si termina. Ovviamente c’è poi l’addestramento notturno. 




Ho letto che alcuni militari spesso dicono “ e’ fatica per noi avere una vita normale, perché siamo sempre pronti per partire”; è proprio così?

Bisogna vedere la donna che hai vicino.



Oggi vediamo numerose agenzie di sicurezza, che cosa ne pensa di queste agenzie, sono tutte affidabili, oppure alcune, vendono solo “fumo”?

Alcune sodo affidabili, altre vendono solo “fumo”, devo anche precisare che la sicurezza in Italia non è tutelata dalla pubblica amministrazione.




A suo avviso un contractor può essere definito con questo termine che a molti non piace “mercenario”, una persona che lo fa solo per soldi e gli interessa nulla e nessuno?

Un contractor fa quello che fa per soldi, alcuni hanno però possiedono una certa etica, altri no.



Come lei sa la vicenda di Fabrizio Quattrocchi ha diviso la stampa e l’opinione pubblica italiana, qualcuno la ha definito un eroe, per quella famosa frase, altri lo hanno bollato come un uomo di destra e di  conseguenza come un semplice mercenario in cerca di guadagno, lei si è fatto un’idea del perché abbiano rapito proprio quei quattro italiani?


Le posso dire che quei quattro italiani non sono andati in Iraq tanto per…ma sono stati inviati, la loro capacità operativa ci fa capire che provenivano da un certo ambiente. Ma qui mi fermo….non posso andare oltre.



A suo avviso esiste l’omertà nell’ambiente militare, visti alcuni casi di incidenti dubbi?

Certamente, mi spiego, la mafia non ha forse incentrato la sua struttura gerarchica guardando l’ambiente militare? Cercherò di essere chiaro, se un collega “fa una cazzata” e tu lo denunci, sei un infame.



Lei ha lasciato l’esercito, qualche rimpianto, oppure si tratta di pagina della sua vita che è oramai chiusa?

E’ una parte della vita chiusa, rimpianti operativi nessuno, mi mancano gli amici, i colleghi non ti “parlano” più come una volta, perché non fai più parte del loro mondo. Per terminare voglio precisare che nel Comsubin non esiste il denigrare un allievo per le sue abitudini personali, quando prendi il basco entri nella famiglia e il resto non conta. Perché siamo, anzi, facevo parte di quella bella famiglia.





Ringraziamo Lorenzo Luserna per questa bella intervista, Lorenzo ha aperto la porta su un mondo che pochi conoscono:  quello delle forze speciali.