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lunedì 22 febbraio 2016

PAOLO RADI INTERVISTA…






 22  FEBBRAIO 2016







CONVERSAZIONE

CON  DARIO  EROS  TACCONELLI






SUL PALCO




DARIO EROS TACCONELLI E’ UN IMPORTANTE ATTORE PARTENOPEO CHE DA ANNI VIVE A ROMA, HA RECITATO PER IL CINEMA, LA TELEVISIONE, LA PUBBLICITA’, LE WEB SERIES, E AL TEATRO LO RICORDIAMO PER LA SUE INTERPRETAZIONI NELLE SEGUENTI OPERE: IL BUGIARDO DI C.GOLDONI, PARENTI SERPENTI, LEGAMI DI SANGUE, LA BISBETICA DOMATA, E IL SOGNO DI STRINDBERG, MA ABBIAMO CITATO SOLO ALCUNE PRODUDIZIONI.











Dario hai recitato a teatro e ti sei cimentato in diversi ruoli, molto importanti e anche molto complessi, che cosa provi  appena si apre il sipario?

Dopo un lungo periodo di prove e una sola possibilità a sera di rendere giustizia al proprio personaggio... Sarà un luogo comune ma provo  assieme paura e desiderio di entrare.
  
Sino al 25 di Gennaio sei in teatro a Roma, con lo spettacolo E’ tutto  vero, il testo lo ha scritto tu, ci puoi raccontare brevemente in quanto tempo lo hai scritto e a cosa ti sei ispirato?  

È stata una scrittura lampo. È esploso in breve ma il tempo di maturazione ricorda quello di una gestazione. Mi sono ispirato al nostro paese, alle dinamiche che si innescano nella sfera del lavoro e mi sono domandato perché nel mondo dello spettacolo dove è tutto finto, si debba continuare a fingere anche fuori dalle scene. Così ho creato un gioco scenico con cui porto lo spettatore a non sapere se ciò che accade sulla scena sia vero o no. Da qui il titolo. 
   
Che cosa ci puoi dire invece del film di Davide Simon Mazzoli, On Air?

È la storia di Marco Mazzoli, creatore dello Zoo di 105, dove si racconta la sua ascesa, gli ostacoli e l’audacia che serve per realizzare un sogno partendo da zero. Questo film è molto importante per me. On Air è la prima volta di tante cose per molti di noi. È la mia prima volta al cinema con un ruolo da coprotagonista, è la prima volta di Davide alle prese con un film, la prima volta di Marco davanti la macchina da presa... Io non posso dirlo perché sono di parte ma da quel poco che ho già visto sarà un gran film. Esce nelle sale il 31 marzo ed è da vedere! 








Quando hai capito che recitare  sarebbe stato la tua vita?

A 10 anni, durante una recita delle medie ho avuto un sentore. Ma la certezza è avvenuta 3 anni dopo, durante la preparazione de Il Malato Immaginario. Ma per me non fu una scelta cosciente. Credo di non aver scelto ma di essere stato scelto e io ho accettato.

In genere come scegli un copione, ti attira la trama in generale,  il personaggio, o il cast con cui dovrai lavorare?

Recitare mi piace sempre, o quasi. È molto importante comprendere che storia si va a raccontare, capire l’evoluzione del personaggio ma anche sapere con chi si lavora e come... È un insieme di fattori.  







Hai conosciuto tanti registi e attori famosi, chi è l’artista che maggiormente ti ha colpito?

Giancarlo Giannini. Ho lavorato recentemente con lui. Ha una forza contagiosa, che ti viene subito di prendere il copione, qualsiasi esso sia, ed entrare in un personaggio e farlo con tutto te stesso.

La tua famiglia come vive la tua carriera di attore?

Ho due figli molto piccoli e capita che mi debba assentare per molto tempo. Non è facile, momenti difficili ce ne sono. La fortuna è avere una donna al mio fianco che ha forza e molto coraggio. Di sopportarmi!

A tuo avviso che cosa manca al cinema italiano per ritrovare quella vena creativa che lo aveva reso famoso nel mondo negli anni cinquanta e sessanta?

Era Monicelli che diceva che i registi hanno smesso di prendere l’autobus? Il cinema italiano sembra stia affrontando un buon momento... ma forse manca un po’ sana pazzia. All’epoca non c’era, forse, tutto questo attaccamento ai numeri. Fellini non girava film per fare soldi, lui scriveva e dirigeva per vedere i proprio sogni fatti carne. Bisogna avere più coraggio nel rischiare.

Un regista  con cui vorresti immediatamente lavorare?

Paolo Virzì. 

Se ti proponessero un film a Hollywood oppure una parte a Broadway  accetteresti senza pensarci due volte, oppure prima vaglieresti con cura il copione?

Credo che partirei all’istante.








Dario sei nato  a Napoli, ma ora vivi a Roma, che cosa rappresentano per te queste città?

Eh... Napoli è molto presente dentro di me, nonostante io sia praticamente cresciuto fra Roma e la provincia. È come se sapessi che lì ha sede la mia forza creativa. Roma è dove ho deciso di vivere.   

Come ultima domanda: Film italiano preferito/film straniero preferito?

C’era una volta in America e Taxi Driver. Hanno segnato la mia formazione. 






  Grazie per l’intervista.


domenica 14 febbraio 2016

PAOLO RADI INTERVISTA…







14  FEBBRAIO  2016





CONVERSAZIONE

CON VINCENZO PIROZZI











NELLO SCHERMO DELLA VITA






VINCENZO PIROZZI E’  ATTORE,   REGISTA NAPOLETANO  DI CINEMA E  TEATRO CHE NON HA CERTO BISOGNO DI PRESENTAZIONI, RICORDAMO AMCHE CHE DAL 2005 E’ PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE  “SOTT’O PONTE”( L’ASSOCIAZIONE CERCA DI RECUPERARE I GIOVANI ATTRAVERSO DEI LABORATORI ARTISTICI).  IL SUO ULTIMO FILM I MILIONARI, DIRETTO DA ALESSNADRO PIVA   E’ APPENA USCITO NELLE SALE.
NOI GLI ABBIAMO RIVOLTO QUALCHE DOMANDA. 



Vincenzo  sei un regista e  attore che recita in teatro, in televisione, al cinema, che cosa rappresenta per te l’essere riconosciuti per strada?
 E’ sempre bello essere riconosciuti dalla gente, vuol dire che in qualche modo apprezzano il lavoro che fai e della persona che sei.



Quando hai capito che recitare  sarebbe stato la tua vita, c’è stata una situazione particolare che ti ha fatto esclamare “Da grande voglio fare l’attore?”
A undici anni, nella parrocchia del mio quartiere. Feci una piccola rappresentazione teatrale e da allora m’innamorai di questa “misteriosa donna” chiamata settima arte.



Ci puoi raccontare brevemente com’è stata l’esperienza dell’ultimo film che hai girato – I Milionari -   e che da giovedì 11 è nelle sale?
Milionari è un film che narra una stori vera, attenzione, racconta una storia criminale, ma sotto un'altra ottica, non cerca spettacolarizzarla ma rendere decadente questi anti eroi. È proprio questo che mi ha affascinato, scavare in fondo ad ogni personaggio che maggiore o minore che sia, vive un proprio malanno. Per questo film ho studiato tanto, il regista mi ha voluto più in carne e per il film sono ingrassato di quasi dieci chili. Ho fatto una ricerca sul personaggio reale che interpreto.









Gli attori Francesco Di Leva, e Carmine Recano, sono tuoi amici, che cosa vi unisce in particolare?
Ci conosciamo da oltre vent’anni e quello che ci unisce, oltre il lavoro, è soprattutto il bene che ci vogliamo e la stima reciproca che proviamo l’ uno verso l’altro. Grazie ai MILIONARI ho avuto modo di conoscere bene Salvatore Striano, Gianfranco Gallo, Ivan Castiglione e Francesco Scianna, anche con loro sono riuscito a creare un rapporto che ormai va oltre il lavoro.



In genere come scegli un copione, ti attira la trama in generale,  il personaggio, o il cast con cui dovrai lavorare?
In realtà inizialmente mi focalizzo sulle potenzialità della storia. Subito dopo mi concentro sul personaggio. Al cast non ci penso, perché in genere un bravo regista sceglie sempre il meglio per il proprio film. 



Hai conosciuto tanti registi e attori famosi, che cosa ti hanno trasmesso in particolare?
Ognuno di loro aggiunge alle mie conoscenze e alla mia vita un tassello fondamentale per la mia crescita, Eduardo De Filippo diceva “gli esami non finiscono mai” ed è vero non si finisce mai di imparare.



Sei anche regista della soap Un posto al sole, che viene seguita da anni da milioni di spettatori, qual è il suo segreto di tanta longevità?  
Per noi registi Un posto al sole è una vera e propria palestra! Il vero segreto di questa soap e che in realtà è una mega famiglia, c’è sempre armonia e serenità dove:  attori, produzione e tecnici non li vivi solo come figure professionali, ma anche come amici.



A tuo avviso che cosa manca al cinema italiano per ritrovare quella vena creativa che lo aveva reso famoso nel mondo negli anni cinquanta e sessanta?
Il rispetto, la cultura e il coraggio!!! Sono le basi per far si che il nostro cinema torni a risplendere. Si punta sempre sui soliti nomi e non si scommette mai sui nomi nuovi. Nell’ era del neorealismo venivamo dalle crepe, soprattutto morali di un Italia in ginocchio. L’ orgoglio del nostro popolo aveva tanta voglia di dimostrare che valevamo qualcosa, avevamo sete di cultura e eravamo orgogliosi del nostro paese e dei nostri figli!!! Purtroppo oggi non è più così.



Un regista  con cui vorresti immediatamente lavorare?
Vorrei ritornare a lavorare con Sorrentino, lavorare con Tarantino, Salvadores, Amelio, i Dardenne. Non ne ho  uno in particolare, chi ama il cinema e il teatro, non preferisce un solo regista.



Film italiano preferito/film straniero preferito?
 Stesso discorso di prima. Il mio film preferito in assoluto è C’ ERA UNA VOLTA IN AMERICA, gli sono affezionato perché lo vidi la prima volta, per puro caso da un amico e m’innamorai completamente del cinema! Ma subito dopo ne vengono tanti altri, dal cinema del neorealismo ai cult  e a quelli indipendenti; se un film è fatto bene, con arte, passione e amore non può mai essere un brutto film.




Se ti proponessero un film a Hollywood accetteresti senza pensarci due volte, oppure prima vaglieresti con cura il copione?
Come si può rifiutare un film che si fa in America? Accetterei senz’ ombra di dubbio, lo farei per essere notato dai grandi in Italia.








Vincenzo sei nato  a Napoli, una città nominata spesso e volentieri per fatti di cronaca nera, sapresti in poche parole dirmi cos’è Napoli per te? 
Napoli è casa mia, Napoli è mille culture come citava il compianto Pino Daniele, non è solo il bianco e nero che vogliono farci credere i nostri media. Napoli è casa mia, è casa nostra, di tutti e per colpa di “giornalai” incapaci, indirettamente stiamo amplificando ancora di più questa spaccatura italiana.







Grazie per l’intervista.


venerdì 22 gennaio 2016






22    GENNAIO  2016



LE RIFLESSIONI





Riflessioni sulla difesa personale femminile

a cura di Sergio Santini








Sergio Santini si forma da ragazzo in diverse arti marziali tradizionali tra cui Kung-Fu, Judo e Wing Tsun. Avvicinatosi al mondo del Krav Maga si addestra con il Maestro Michele Farinetti, fondatore di IDS Italia (www.ids-italia.com) e nel contempo consegue diverse certificazioni nel mondo della difesa personale civile e professionale, tra cui il prestigioso titolo di Istruttore ASP-USA per l'insegnamento dell'uso del baton.
Attualmente insegna Krav Maga e difesa personale a Sesto san Giovanni."
Noi gli abbiamo chiesto una riflessione inerente ai recenti fatti di Colonia.








I recenti avvenimenti di Colonia, hanno fatto balzare agli onori della cronaca il problema della aggressioni ai danni delle donne, una piaga i cui numeri non accennano a diminuire, e che i media ripropongono solo ciclicamente, ma su cui non andrebbe mai abbassata la guardia.
Su questo tema si sono scatenate discussioni su quali siano le migliori strategie e tecniche difensive, si sono versati fiumi di inchiostro su questa o quella arte marziale e sui sistemi più efficaci.
Intanto, a mio modo di vedere, vanno chiariti e spazzati via alcuni miti urbani che riguardano la difesa personale, sia femminile che in generale, perché sapere cosa aspettarsi e cosa NON fare, è importante almeno quanto sapere cosa fare:
1-la difesa personale non è una questione matematica. Non esiste un’equazione o una formula che dia l’automatica garanzia di successo, e chiunque vi “venda” la formula dell’invincibilità (“In 2 settimane vi trasformeremo in macchine da guerra!”) vi sta raccontando una bugia.
2-ci sono reazioni fisiologiche e psicologiche che sono semplicemente inevitabili e imprevedibili. Non si può pensare di uscire da una palestra ed essere preparati ad affrontare qualsiasi minaccia; la paura e lo stress sono elementi potenti e incontrollabili, e si scatenano in chiunque, dall’impiegato che non ha mai fatto sport al soldato più addestrato.
3-La fuga È a tutti gli effetti una tattica di difesa personale, anzi, talvolta è la migliore tattica che esista. Già Sun Tzu diceva: “La miglior battaglia è quella che vinciamo senza combattere”.
4-in particolare per le donne, la parte più difficile della violenza subita è quella successiva alla violenza stessa che, se non affrontata correttamente, e con l’aiuto di uno specialista, può avere strascichi che durano per tutta la vita. La vergogna e la paura sono sempre i nemici più pericolosi.
A questo punto la domanda che potrebbe sorgere ovvia è: ma allora, cosa si può fare concretamente?
La risposta non è certamente semplice, e poche righe non possono avere la pretesa di essere complete o esaustive, ma ci sono soprattutto alcune precauzioni che possiamo adottare, che possono essere veri e propri salvavita.
Innanzitutto recita un ruolo determinante la consapevolezza di se stessi e dell’ambiente in cui ci muoviamo; addestramento e capacità contano poco se ignoriamo la minaccia: elementi fuori posto, persone sospette e ambienti ostili devono necessariamente farci scattare un campanello di allarme e metterci in guardia. Il tipo fermo in penombra al lato del marciapiede che si guarda in giro, e che non abbiamo mai visto nel quartiere, È sospetto, e se possibile dobbiamo evitarlo. Cambiare lato del marciapiede, in un caso del genere, può essere una buona precauzione. Se dobbiamo andare a prendere la macchina in un garage sotterraneo, è bene muoversi senza tenere lo sguardo fisso sul cellulare, ma dando una “distratta” occhiata in giro lungo il percorso, magari conoscendo l’ubicazione delle videocamere di sicurezza.
Si tratta di diventare le guardie del corpo di noi stessi, di cominciare a muoversi nell’ambiente circostante con gli occhi aperti. Sempre più spesso, vedo persone che camminano con la testa “dentro” lo smartphone, del tutto inconsapevoli di quello che accade loro intorno. Iniziare a pensare che in mezzo a una folla possa aggirarsi uno scippatore, o che la sera dietro un albero in un parco, possa essere nascosto un malintenzionato, è già di per se una strategia difensiva.
Questo, ovviamente, non vuol dire diventare paranoici, o guardare il prossimo con sospetto, o peggio ancora, con ostilità. Vuol dire prendere consapevolezza che il pericolo esiste, e che nascondere la testa sotto la sabbia ignorandolo, non ci salva, ci rende solo bersagli più facili. Non bisogna vergognarsi di essere sospettosi, quando c’è un motivo per esserlo, meglio un sospetto in più che un rischio di troppo.
 La regola è “non paranoici, ma attenti”.
Per concludere, vorrei lasciarvi quello che è probabilmente il consiglio più importante: a salvare la vita nei casi più estremi, non sono nè la tecnica nè la tattica, ma è la volontà. Volontà di sopravvivere, consapevolezza di potercela fare e volontà di non arrendersi MAI, sono le cose che ci faranno tornare a casa “sani” e salvi.






Grazie al signor Sergio Santini per questo interessante contributo