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venerdì 7 aprile 2023

SEZIONE SPORT

 

 

 

 

Paolo Radi intervista

 

 

 

 

ARMANDO DINO

PEZZELLA

 

 

     






 


Armando Dino Pezzella è un allenatore di calcio nato a Napoli. Questa la sua carriera: 

 

Tanta gavetta nei settori giovanili. Poi da secondo vince ad Orta in promozione con l’Ortese. 

 

Secondo con Frattese e Savoia con Teore Grimaldi che gli hanno insegnato tanto. Afragolese dietro Suppa, ex calciatore di Piacenza e Casertana.

 

Allenatore in prima in intersociale, un torneo in cui spiccano molti ex calciatori come Mora, Schowch, Calaio. Ha vinto tutto nel 2012 compreso il titolo come miglior allenatore. 

 

Poi prima categoria con Edilmer Cardito, la prende in lotta per la salvezza e la porta in promozione in due anni.

 

Dopo la promozione con il Cardito in prima categoria a Casavatore obiettivo salvezza arrivano noni.

 

Subentra in corsa al Campania Felix Lusciano, dopo zero punti in 5 partite in promozione la squadra si salva.

 

Viribus Unitis primo anno obiettivo salvezza nono posto e premio della federazione per la valorizzazione di giovani calciatori.

 

Quest'anno ha iniziato alla Viribus e lascia la squadra secondo in classifica.

 

Alla San Ciprianese ci rimane giusto un mese a novembre per cercare di salvarla, lascia poiché non c'è stata sintonia sul mercato.

 

 Dal 3 maggio inizierà con la Maued San Pietro un progetto per calciatori che hanno finito il campionato e vogliono allenarsi comunque. 

 

Attende una chiamata per il prossimo anno

 

 

 

 

 

Come prima domanda le voglio fare questa, come ha vissuto il periodo del Covid? Riusciva ad allenare la squadra che aveva, oppure dava solo dei consigli tramite le video chiamate?

 

Ci siamo fermati e non si è portata avanti la stagione, è stato un periodo di studio, mi sono dedicato a studiare, a leggere, è stato un momento di crescita; nella seconda parte con la ripresa delle attività individuale qualche calciatore mi ha dato dei consigli su come allenare. Ho immaginato su come sarebbe stato ritornare alla vita normale,  ho dato un consiglio ai calciatori: quello di lavorare sugli appoggi, infine gli ho spiegato che una vita sedentaria avrebbe alla ripresa aumentato i rischi di infortuni. 

 

 Chi ha seguito questo protocollo di prevenzione, articolare e muscolare si è trovato sicuramente meglio alla ripresa, quando abbiamo ripreso l’attività a tutti gli effetti abbiamo dovuto condensare in poche settimane il lavoro di prevenzione

 

 


 

Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

 

Da sempre, a Napoli nasciamo con il pallone in mano, c’è stato Maradona, quella grande poesia che era il calcio giocato da Maradona, non era un uomo era un mito in una realtà napoletana che era quella degli anni ’80. 

 

Una realtà difficile, quella delle faide di camorra, qualche anno prima c’era stato il colera, Napoli con Maradona balzava agli onori della cronaca. 

 

Quando ho iniziato ad allenare i ragazzini dicevo loro: “Siete liberi di amare la maglia di qualsiasi città e di qualsiasi colore, perché siamo in un paese libero, ma non disprezzate la squadra del vostro paese, un tempo si era famosi per quelle cose che non funzionavano, oggi quando ti vedono parlano di Maradona. Oggi si parla della stagione che fa il Napoli, elementi che danno lustro alla città. 

 

Vedendo Maradona il calcio e la poesia si sposano, con Zeman ho pensato che si potesse fare un altro tipo di calcio, puoi dare spettacolo con una grande organizzazione. 

 

Perché ha deciso a un certo punto della sua vita di diventare allenatore? 

 

Ho giocato a calcio come tutti, però da giovane portiere mi immaginavo allenatore.  

 

Quando giocavo nelle squadre dilettantische gli allenatori mi affidavano il riscaldamento della squadra, e parte dell’allenamento, forse avevano visto delle doti, da subito ho avuto la gestione della squadra. Voglio precisare vista l’importanza che ricopre la preparazione atletica, questa nei dilettanti è arrivata più tardi, mentre nel mondo dei professionisti prima.

 


Lei ha allenato diverse squadre, c’è una squadra a cui è rimasto più legato?

 

Ho avuto la fortuna di creare un bel rapporto con la tifoseria. Frattamaggiore è il mio paese e lì c’è anche un’appartenenza, il Savoia mi ha stregato per l’amore della gente e così è stato con il Casavatore.  

 

Quando ho iniziato a lavorare in prima persona e penso al pubblico di Somma Vesuviana, ti posso dire che questi mi hanno fatto conoscere un amore viscerale per la propria squadra, la Viribus, ci seguono ovunque, anche la domenica mattina presto quando facciamo un’amichevole di stagione.

 

 

Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 

 

Sicuramente l’allenatore dev’essere razionale e non umorale, le vittorie sono di tutti, le sconfitte sono solo del mister. Bisogna sapersi assumersi le responsabilità quando le cose non vanno bene, e di conseguenza anche le sconfitte. 

 

Una vittoria non significa aver fatto un buon lavoro e una sconfitta non significa aver fatto un cattivo lavoro. Bisogna trarre il buono dalle sconfitte il cattivo dalle vittorie. 

 

L’allenatore non si deve mai fermare, deve analizzare i risultati, dove ha fatto bene e dove ha sbagliato, credo che l’allenatore debba capire quello che avviene in campo e fuori dal campo. Poi l’allenatore deve dotarsi di collaboratori di cui si fida, e che lo possono aiutare nel gestire il lavoro settimanale, deve capire quello che sta facendo il preparatore atletico, il preparatore dei portieri. Può delegare l’allenamento dei settori, ma tutti quei settori devono essere funzionali a un unico disegno.  Deve capire le dinamiche della società. 

 

Quindi purtroppo o per fortuna l’allenatore deve avere la preparazione a 360 gradi, deve far capire al giocatore cosa vuole, perché la squadra deve somigliare all’allenatore. L’allenatore deve pensare con la testa di 20 calciatori, deve avere empatia e capire a livello psicologico le persone che ha di fronte.




 


 



 Che cosa le sta dando il calcio e che cosa le sta togliendo? 

 

Sicuramente mi dà tante amicizie, ho avuto modo di conoscere tante persone. Mi dà la possibilità di essere creativo, l’allenatore è come un pittore, alla fine il proprio quadro sarà quello che viene fuori nella partita di calcio. 

Penso che questo sport possa offrire un senso alla vita, certamente prima viene la famiglia, il lavoro, dà un senso alla giornata, molti di noi sono drogati di calcio, stare sul campo ci fa stare bene. Ovviamente mi toglie il tempo, ti immagini come le cose debbano andare, ma questo non sempre avviene. Non puoi gestire tutto, il giocatore può non comprenderti, la società può non comprenderti, magari hai fatto tutto però i risultati non ci sono perché nel calcio il risultato può essere anche casuale. 

Puoi sbagliare la partita e vincerla lo stesso. Ti toglie il tempo alla famiglia, dopo una sconfitta sei preso, e le persone che hai vicino devono sopportare il tuo stato d’animo.

 

     Qual è il suo stato d’animo prima di una partita? Quali consigli dà ai giocatori?

 

     Prima di una partita sembro sicuramente non teso, se so di aver fatto tutto bene in settimana, cerco di non essere teso per non trasmettere ansia ai calciatori, e poi so che abbiamo fatto tutto quello in nostro possesso per preparale bene. 

 

    Sono concentrato perché devo fare tutto quello che posso fare, a miei giocatori dico: “se avete ansia per la partita, dovete sapere che è solo una partita di calcio, quando andate a giocare a calcetto con gli amici quest’ansia non l’avete”. 

 

    Però è giusto che ci sia un poco d’ansia, perché quell’ansia è un campanello d’allarme del corpo, il corpo ci trasmette un’idea per farci fare qualcosa in più. 

 

    L’ansia dice al tuo corpo che puoi fare di più. Se devo stimolare da un punto di vista mentale devo trovare le giuste corde per spingerli a superare l’ostacolo che quella gara presenterà.

 

E alla fine di una partita, invece? Ripensa a quello che ha sbagliato a livello tattico, oppure volta pagina? 

 

Per me è fondamentale che l’allenatore ripensi a tutto, perché per crescere dobbiamo eliminare l’alibi se si perde una partita, l’alibi ti fa dire: ho perso perché sono stato sfortunato. 

 

Alla fine della partita bisogna capire perché l’avversario è stato superiore, cosa non ha funzionato, anche una vittoria può essere frutto della fortuna. Quando giochi una partita l’avversario mette in campo anche le sue qualità, alla fine vince chi è stato più bravo, ma ha avuto più fortuna. 

Anche il giorno dopo penso a cosa non ha funzionato, se ho sbagliato l’approccio, se ho caricato bene i ragazzi, se nel momento della gara potevo fare qualcosa di diverso. Devi imparare con chi ti misuri, chi hai di fronte.

 

 


 





Una partita da allenatore che vorrebbe dimenticare? 

 

Questa domanda mi mette in difficoltà, non mi viene nessuna partita, ho perso la finale di Coppa Campania ai rigori, con un errore nostro sul quinto rigore. 

Sono cose che possono capitare e non voglio dimenticare quella partita, la squadra avversaria era superiore, perdevamo 2 a 0 e l’abbiamo rimontata due a due. Anche quando abbiamo perso con un’altra squadra, abbiamo pareggiato, ma per differenza reti, non siamo saliti di categoria. 

 

Un’altra partita che non voglio dimenticare è la seguente: Edilmer finale di Coppa Campania. Liguria - Cardito finale play off. Due finali pareggiate una persa ai rigori la seconda solo perché eravamo qualificati terzi e loro secondi. Due partite finite 22 contro squadre superiori ma che abbiamo giocato alla grande rimontando due reti. Ma non voglio dimenticarle, ma ricordarle perché facemmo grandi gare

 

C’è il rammarico, abbiamo avuto tante occasioni per fare goal, comunque è stata una bella partita giocata bene. Ricordare le sconfitte è un bene, fanno parte del mio percorso calcistico. Mi ricordo inoltre che di una partita di coppa, giocavamo con il San Sebastiano e perdemmo tre a 0 all’andata ma non lo voglio cancellare, perché la partita successiva andammo a vincere 5 a 1 e passammo noi. 

 

Se non ci sarebbe stata quella sconfitta non ci sarebbe stata quella vittoria. In conclusione, senza sconfitte non si cresce, non si migliora.




 


 



Un suo pregio?

 

Quando sono sul campo amo il mio lavoro da allenatore, sia fuori che dentro il campo, sono uno che vuole migliorare, cerco di studiare, penso agli errori, cerco di rubare da chi è più bravo di me, mi piace che la mia squadra giochi bene, mi piace che chi veda la mia partita si diverta, quando qualcuno ti dice che ti piace come imposti la squadra non fa che aumentare l’autostima. Amo quello che faccio e se c’è amore il resto è “leggerezza”.

 

Un suo difetto?

 

 Visto che ho amore per questo mestiere, quando parlo, parlo molto. 

 

Chi vincerà lo scudetto?

 

Ti posso dire che se il Napoli perde lo scudetto è perché lo vuole perdere, in passato da tifosi siamo stati abituati a situazioni, chiamiamole stravaganti, una volta con Maradona abbiamo perso nelle ultime cinque giornate di campionato. Ecco perché sono scaramantico. 

 

Se il Napoli dovesse perdere lo scudetto mi immagino una catastrofe.




 





Un sogno per il futuro?

 

Posso parlare di sogni calcistici, non ho grandi sogni, ho aspirazioni, mi ero prefissato qualche hanno fa di salire gradino dopo gradino il ruolo del Mister, visto che non ho un passato da calciatore.

 

 Ho fatto solo la prima e la seconda categoria, e il mio curriculum conta quando devi allenare perché la tua rete di amicizie te la devi costruire e non è semplice, ti devi far conoscere e solo il risultato ti fa salire di grado. Partendo dal nulla tanti allenatori ce l’hanno fatta. 

 

Io sono partito, appunto dal niente e so benissimo che davanti a me ci sarà ancora una lunghissima gavetta, però aspiro a salire un gradino in più.

 

 

 

 

 6 marzo 2023

 

(Tutti i diritti riservati) 

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