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martedì 13 aprile 2021

di PAOLO RADI 

 

 


 

 

 

 

 

 



CONVERSANDO CON...

     

 

 

 

MICHELANGELO 

CIROLLA

 














 

Michelangelo Cirolla è un giovane talento del calcio e così ci si presenta.

 

 

Mi chiamo Michelangelo Cirolla, ho 21 anni. Sono nato il 28 luglio 1999 in un paese della provincia di Cosenza, ora è piccolo, ma ai tempi dell’antica Grecia ne era la città più conosciuta: Sibari.


 Sono un Trequartista di natura, ma molto spesso ho agito come jolly e di questo ne vado fiero, perché significa che ovunque ce ne sia stato il bisogno io ho saputo dare il mio aiuto. 

Il calcio mi apparteneva già da quando ero “nella pancia di mia madre” e all’età di 5 anno mio padre mi iscrisse alla prima scuola calcio, la Paj (polisportiva alto Jonio), ora conosciuta come Pro Emiliano di Villapiana scalo.


 Mio padre è stato un po’ il mio ‘manager’ e infatti aveva visto lungo su di me, l’anno successivo mi iscrisse alla mia seconda scuola calcio dove ho passato praticamente tutta l’infanzia e non solo: lo Sporting club Corigliano, una scuola calcio che man mano negli anni ha saputo far parlare di sé, vincendo e scalando classifiche arrivando, ora , a giocare campionati a livelli d’élite.


 Per 9 anni il mio percorso lì è stato qualcosa di indescrivibile. Tornei, campionati, stage, infortuni e quant’altro, lo rifarei altre mille e mille volte. 


Al mio ultimo anno di ‘Allievi’ ho voluto cambiare, sentivo la necessità di fare nuove esperienze, avevo bisogno di stimoli diversi per poter crescere e formarmi maggiormente, di relazionarmi con persone più forti e più grandi di me, così, feci uno stage con l’Asd Trebisacce per la selezione della juniores, in modo da far combaciare orari di scuola con gli allenamenti, sin da subito mi sono sentito a casa, immaginavo che qualcosa sarebbe cambiato, ma non pensavo che cambiasse in questo modo. Iniziò così un’esperienza fatta di sacrifici e tanta, tanta voglia di arrivare in prima squadra.


Mi alzavo la mattina presto per andare a scuola, all’uscita un panino al volo e via al campo, non vedevo l’ora. All’età di 15 anni, dopo un campionato da” incorniciare” con la juniores e, potrà sembrare strano ma, contemporaneamente con gli allievi del settore giovanile, feci il mio esordio in prima squadra, Eccellenza calabrese, contro la Cittanovese. 


Negli anni successivi, col passare del tempo sono arrivato ad essere un giocatore a tutti gli effetti di prima squadra, questo grazie anche al mister Giuseppe Falbo, che non ha mai smesso di credere in me e nel mio potenziale.

 











Come prima domanda le voglio fare questa, il mondo dello sport è stato stravolto, come ogni settore della vita, secondo lei, tutto tornerà come prima, oppure anche il calcio subirà dei cambiamenti?


Il calcio purtroppo ha già subito cambiamenti, almeno per noi delle categorie inferiori. Come sempre ci danno poca importanza perché non creiamo un business ai livelli di serie A e B.

 

Il campionato di serie A, di B, C e D e così le altre gare di Coppa, è ripartito con gli stadi quasi chiusi (una partita ha un sapore diverso rispetto a uno stadio pieno con migliaia di tifosi) che cosa ne pensa di tutto ciò? 


I tifosi sono l’anima di una squadra. Quando sei lì, che fai riscaldamento, loro sono alla rete che ti incitano, ti spronano, che ti danno la carica giusta per affrontare la partita. Il fatto che non ci siano è brutto, loro rappresentano il 12 esimo uomo in campo, ti seguono dappertutto; di certo è una mancanza che è difficile da colmare con i “cartonati”.

 










Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?


Beh sicuramente fin dalla nascita, mio padre ne è stato colui che ha acceso la miccia e poi io l’ho fatta bruciare in questi anni, fin da piccolo tiravo calci a qualsiasi cosa. 

 

Nessun altro sport la interessava da ragazzino?


Non le nascondo che il nuoto mi ispirava, il fatto di avere le spalle enormi e un fisico ben impostato mi piaceva, parte gli scherzi, lo consideravo, come tutti penso, lo sport più completo. 

 

Lo Sporting Club di Corigliano cos’ha rappresentato per lei?

 

Lo Sporting Club è stata come una casa, il posto in cui sono cresciuto e non solo fisicamente. Sono stati 9 anni ricchi di emozioni e vittorie. 

 









Non le pesava fare quei sacrifici: frequentare la scuola per poi andare nella juniores della Trebisacce?

 

Assolutamente no, perché era una cosa di cui ne andavo fiero, il fatto di fare tanto per poi riceverne i benefici, perché alla fine, come in tutte le cose, il duro lavoro paga sempre. 

 

Lei ha giocato in diverse squadre, a quale è rimasto più  legato? 


Sicuramente è stato l’Asd Trebisacce. Lì è stato il culmine durante gli anni dell’adolescenza, feci amicizie nuove, avevamo uno  spogliatoio che faceva invidia veramente a molte squadre, mai stati così uniti!

 










Perché tutti provano a diventare calciatori? Che cosa gli attira, più la fama o i soldi? E a lei a cos’è più interessato a diventare conosciuto o al poter condurre una vita agiata che un buon ingaggio le farebbe fare?


Beh, ora conta molto il fatto di fare cash, di fare soldi, per fare un esempio: molti giocatori di poca importanza vengo valutati, anzi super valutati che sotto i 20 milioni non vanno. È un peccato perché si rischia così di bruciarli subito. Io sarei interessato più alla fama, anche perché è la logica successione dell’altra; se hai fama poi avrai anche una vita agiata. I soldi alla fine contano, ma fino a un certo punto. 

 

Quando si è famosi tutti ti sono amici e tutti ti cercano, poi quando la tua carriera termina, molti cadono nella depressione, provano a rimanere nell’ambiente, come osservatori, direttori, ma con scarso successo, altri invece cercano soldi facili tramite il calcio scommesse, perché secondo lei avviene questo? Non accettano che la fama sia finita o forse perché si rendono conto di non avere più nulla in mano? 


Beh forse per tutte e due le cose. A parte il fatto che io penso che se uno ti è amico lo sia anche quando sei nel momento più buio della tua vita, quando hai toccato veramente il fondo. Molti giocatori sembra che “escano fuori di testa” quando alla fine della loro carriera non tengono più quel ritmo economico rispetto a quando erano ben voluti e ben visti, quindi si, penso che siano tutte e due le cose. 

 

Lei gioca nel ruolo di? 

Trequartista 

 









Il suo goal più bello?


Il mio goal più bello?... difficile dirne uno, perché ne ho un bel po’, ma se proprio ne devo ricordarne uno, nel campionato allievi regionali con il Trebisacce, il portiere avversario fuori dai pali, arriva la palla all’altezza di metà campo. Non ci penso due volte, stop di petto e tiro al volo sotto la traversa. Era praticamente il 90’, all’arbitro non rimaneva che fischiare la fine e vedere i miei compagni di squadra saltarmi addosso. Che dire di più? 

 

Che cosa le sta dando, e che cosa le sta togliendo?

 

Mi sta dando molto, il modo di vedere le cose da un altro punto di vista, sotto un altro aspetto, che prima senza volerlo, sottovalutavo, mentre ora mi sembra che pur facendo un piccolo gesto possa  cambiare molto, ma mi sta togliendo la mia passione: la voglia di correre dietro quel pallone ogni maledetta domenica, sentire i tifosi cantare e ballare per la loro squadra. 

 

Il suo più grande difetto e il suo più grande pregio (calcisticamente parlando)?


Il mio più grande difetto è la corsa, purtroppo non sono un velocista, anzi sono uno che in campo si muove poco, ma al tempo stesso mi trovo al posto giusto e al momento giusto. Il mio più grande pregio, non è che voglia vantarmene, perché non sono proprio il tipo, ho sempre preferito lasciar parlare gli altri del mio ‘saper fare’ calcistico, è la visione di gioco gli spazi molto brevi. Molti mi paragonano a Pirlo, ma io posso solo sognare di essere come il grande maestro. 

 









Un giocatore che lei ammira tantissimo?

 

Fin da piccolo, il mio calciatore, anche come persona, è stato ed è ancora Alessandro Del Piero. Umile, una bandiera, un uomo.

 

Se dovesse descrivere se stesso con poche parole, a chi non la conosce, cosa scriverebbe?


Salve, sono il Pirlo dei poveri! Ahahahahahaha... a parte gli scherzi, calcisticamente ripeto, non riesco a giudicare me stesso, non è proprio nel mio carattere. Nella vita sono un ragazzo che ha cercato di inseguire il suo sogno sin da bambino, un ragazzo solare a cui piace far parte di un gruppo, con la G maiuscola, che è molto raro. 

 

Quanto è importante la famiglia per lei - lei ci ha riferito che suo papà le faceva da manager-? 


La mia famiglia è tutto, come del resto penso per chiunque, mi è stata vicino nei momenti più duri, ma anche nelle gioie, nei trofei, nei riconoscimenti che ho avuto, diciamo che ha fatto parte di questo mio periodo e ne farà sempre. Mio padre, che dovrebbe essere l’eroe di ogni bambino, è stato il mio manager, ma si fa per dire, è stato lui che ha capito fin da subito le mie capacità calcistiche, è stato colui che ha “costruito i miei attrezzi” per affinare la mia tecnica. Se mi definiscono ‘Pirlo’ è in gran parte merito suo. 

 









Gli amici che ruolo ricoprono nella sua vita quotidiana?


Senza gli amici siamo praticamente ‘sperduti’. Io per mia fortuna ne ho in “quantità giuste” per poterli considerare tali. In particolare la mia compagna di tutte le avventure è Wanda, siamo come fratello e sorella e anche se non dà molto retta al calcio, mi ha sempre sostenuto in tutte le cose che ho fatto, come io faccio con lei, ne sono molto fiero. 

 

Un sogno che vorrebbe che si realizzasse? 


Potrò sembrare esagerato, ma ritornare a giocare, ad oggi, mi sembra un sogno. Ecco, vorrei che si realizzasse questo. 

 

Si ritiene soddisfatto di dove è arrivato sino ad ora?

 

Non mi lamento di dove sono arrivato, ma si poteva fare di più, resta purtroppo il rammarico, ma non è così amaro di come se lo si possa immaginare, sono contento così.

 

 

 

 

 

 

Grazie   

 

a cura di Paolo Radi   

 

 

 

 

        13  04  2021

 

(Tutti i diritti riservati)  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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