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PARTIGIANO IN
CAMICIA NERA
CONVERSAZIONE
con
ALESSANDRO CARLINI
a cura di Paolo Radi
Alessandro Carlini giornalista di Ferrara che lavora per
l’Ansa e collaboratore per la Repubblica, nel 2017 ha pubblicato per Chiarelettere un libro che fa discutere l’Italia intera:
'Partigiano in camicia nera' - La storia vera di Uber Pulga . Noi gli abbiamo
rivolto qualche domanda.
Alessandro sei nato a Ferrara, la prima domanda è
d’obbligo come mai la scelta di fare il giornalista?
Esattamente sono
nato a Portomaggiore, in provincia di Ferrara, verso il mare e le valli, fin da
lì la passione per la campagna e il mondo rurale che ho portato anche lavorando
in giro per il mondo. Sono un giornalista dell'Ansa, redazione di Londra, e in
precedenza ho lavorato negli Usa, in Europa e Medio Oriente per altre testate
italiane. La passione per questo mestiere nasce prima di tutto dal desiderio di
conoscere realtà diverse dalla mia e descriverle oltre che da un profondo amore
per la storia. Il giornalismo talvolta è contribuire a scrivere un pezzo di
storia nel momento in cui si compie.
Lavori per l’Ansa di Londra e
collabori con la Repubblica, di cosa ti occupi in particolare?
In particolare di Gran Bretagna naturalmente, ma anche di altri
Paesi, sempre nell'ambito degli esteri, con sempre un particolare riguardo alla
storia, mia grande passione.
Veniamo ora al tuo libro che ha
suscitato tante discussioni e polemiche “Partigiano in Camicia Nera” edito da
Chiarelettere nel 2017, l’idea di questo libro ti è venuta da tuo nonno Franco
Pulga, cugino di Uber Pulga, ucciso a 25 anni nel febbraio del 1945 dai suoi
stessi camerati repubblichini, questa storia la conoscevi sin da bambino oppure
ti è stata raccontata da adulto?
Si può dire che sia l'eredità che mio nonno mi ha lasciato, dopo la
sua morte avvenuta nel 2005. Mi parlava fin da piccolo delle vicende
straordinarie di Uber Pulga, fascista convinto che alla fine decide di morire
per la Resistenza. Il nonno mi aveva lasciato molti documenti sulla vicenda del
nostro cugino, fra cui il foglio matricolare di Uber e alcune lettere, ma
mancavano altri tasselli, determinanti nella ricostruzione della sua storia,
che sono riuscito a trovare nelle mie ricerche in Italia e all'estero.
Il titolo del libro sembrerebbe
un ossimoro, partigiano/nero, non trovi?
Come mai questa scelta?
Lo sarebbe se non si considerano i documenti che ho trovato e che
sono alla base della scelta, mia personalissima, del titolo, piaciuto molto
alla casa editrice. In un verbale dei Carabinieri di Collecchio del 1950
infatti risulta, nero su bianco, che Uber Pulga venne fucilato per essersi
unito ai partigiani nella zona collinare fra Parma e Reggio all'inizio del
1945, disertando dalla sua unità, la divisione Italia della RSI, ma mantenendo
la divisa con la camicia nera da ufficiale (era sottotenente) di Salò. Gli
serviva infatti per convincere i partigiani a collaborare con loro,
infiltrandosi in un deposito militare di Reggio Emilia per fornire armi alla
Resistenza. Ma l'azione non andò in porto e lui venne catturato e piazzato
davanti al muro delle fucilazioni a Gaiano di Parma.
Uber Pulga, come narrano i fatti sceglie il fascismo, viene addestrato al
controspionaggio in Germania, e a Reggiolo (provincia di Reggio Emilia) si
infiltra in un gruppo di partigiani. Grazie a questi meriti il Duce decide di
incontrarlo di persona, cosa si può dire di questo incontro?
Mussolini incontra Uber in una visita alla divisione Italia nel
Parmense, siamo nel gennaio 1945, la guerra è perduta, il Paese è in rovina, il
Duce è l'ombra di se stesso, un uomo alla fine dei suoi giorni di dittatore. Va
a Collecchio di Parma per decorare e promuovere Uber dopo la sua missione da
infiltrato tra i partigiani di Reggiolo che ha consentito alle forze della RSI
di uccidere due patrioti e quindi mettere in ginocchio una unità partigiana nel
Reggiano. Uber in teoria aspettava quel momento da una vita, lui cresciuto nel
mito di Mussolini che si ritrova il Duce davanti agli occhi, lì per conferirgli
i gradi desiderati da sempre. Ma non è così. Dandogli la mano si rende conto
dell'errore tragico, nella maledizione in cui è incorso seguendo quell'uomo. Il
senso di colpa lo macina e lo divora, Uber ricorda i partigiani morti per le
sue spiate e inizia un processo di rifiuto del fascismo che lo porta alla
diserzione e al tentativo di unirsi ai partigiani.
Perché ad un certo punto, deluso
dal fascismo, ma non rinnegandolo,
diventa partigiano, non sarebbe stato più logico, combattere sino alla fine,
oppure fuggire dall’Italia vista la sua delusione nei confronti della RSI?
Rinnegarlo e basta non
avrebbe avuto senso, Uber, soldato per una vita, tenta di rimediare
militarmente all'errore commesso, sostenendo la Resistenza. E' impensabile per
lui fuggire, lo potrebbe fare tranquillamente con la sua esperienza di spia
alle spalle. Ma non lo fa, anzi, in un certo modo va incontro alla morte, la
cerca.
Uber Pulga come emerge dal libro pare non seguire nessuna bandiera.
Anche se aveva aderito alla RSI, collabora con i partigiani, però non segue
neanche la “bandiera rossa”, un personaggio controverso per molti lettori, non
trova?
Controverso per noi oggi,
direi, abituati a dare definizioni chiare di fenomeni umani, come quelli
storici, che in realtà furono ben più complessi. Uber aveva la ''guerra
civile'' di un intero Paese dentro di sé, la rappresenta per ogni sua parte.
Alla fine sceglie una parte per cui morire, la Resistenza, ma sentendo ancora
forte le scelte di tutta una vita in tutt'altra direzione. Ricordando lui
ricordiamo un po’ tutti i ragazzi che non sono tornati da quel terribile
conflitto.
Non pensa che molti lettori e storici potrebbero far fatica a
comprendere questa figura, che alla fine ha seguito solo la propria coscienza?
Penso che viviamo un'epoca
in cui ci sia bisogno invece di figure così. Sappiamo già tutto degli eroi
cosiddetti “puri”, che avevano fin da sempre scelto una parte, quella “giusta”.
Ma in realtà sono molto più interessanti, umani e simili a noi e alla nostra
società in disgregazione per alcuni, o liquida per altri, figure complesse, con
mille sfaccettature, che lasciano aperti interrogativi e dubbi, gli stessi che
abbiano noi. Uber Pulga è di sicuro uno di loro e in un certo modo uno di noi.
Questo libro è anche la storia della sua famiglia, durante la
stesura e dopo aver svolto tante ricerche storiche, è riuscito a
distaccarsi ed essere oggettivo nel raccontare questa vicenda?
Penso di sì. Anzi, ho
calcato la mano non risparmiando niente al mio parente e alle sue azioni
commesse in guerra. Non volevo che qualcuno mi accusasse di scrivere un
panegirico sulle gesta di Uber Pulga, tutt'altro, ci sono parti del libro che
sono state difficili da “digerire” dal punto di vista emotivo.
Il libro ci offre la figura
tormentata di un uomo, un uomo che diventa il simbolo di un’Italia “divisa in
due”: seguire il Duce sino alla fine o combatterlo, è così?
Proprio così, Uber ha in sé
la contraddizione di una nazione attraversata dalla guerra fratricida. Lui che
ha combattuto da entrambe le parti percepisce proprio quella divisione e non è
un caso che dica al cappellano militare che lo confessa prima di andare di fronte
al plotone d'esecuzione: “Ho tradito tutti”.
E' proprio così, non ci sono vie di mezzo nelle scelte di Uber
Pulga, è un personaggio drammatico anche in questo.
E' il personaggio tragico
per definizione, potrebbe ricordare gli archetipi della tragedia greca nella
sua contraddizione che si scioglie e libera solo nella morte finale.
Alcuni critici hanno definito il protagonista “ un fascista
responsabile”, trova questa affermazione corretta?
Uber Pulga può essere
definito in molti modi, c'è chi l'ha chiamato anche fascista rosso o partigiano
nero. Alla fine è morto da partigiano ma portando ancora la camicia nera.
Ancora oggi l’Italia è divisa, sembrerebbe che la guerra civile non
sia affatto conclusa, basta infatti una semplice affermazione per essere
accusati di “fascismo” o di “comunismo”. Quando finirà quest’odio che ci
attanaglia?
Finirà quando ci sarà una
memoria condivisa, un passato condiviso e non più la diatriba dei vincitori e
dei vinti. Ma ci saranno i vivi che rispetteranno i morti senza più
coinvolgerli nelle loro sterili polemiche ideologiche.
Il 25 aprile è sempre per molti una giornata controversa, i motivi
sono tanti, provo ad elencartene qualcuno: siamo stati liberati dagli americani
e non dai partigiani, l’Italia è stata invasa e non liberata, i liberatori sono
diventati i nuovi dominatori, oppure i partigiani hanno riscatto agli occhi del
mondo la volontà di un popolo ci combattere i nazifascisti, e altri slogan che
tutti conosciamo. Per lei che cosa rappresenta il 25 aprile?
Il 25 aprile deve restare
come la festa dei liberatori e fra loro io considero gli alleati, senza i quali
non sarebbe stata possibile la liberazione, e naturalmente i partigiani, senza
i quali avremmo ancora il drammatico retaggio dei tedeschi, la cui Resistenza e
ribellione ad Adolf Hitler fu un fenomeno purtroppo limitato. Per me è un
giorno straordinario da trascorrere ricordando quei ragazzi che sono morti per
garantirci un mondo libero, con tutti i difetti che può avere, ma
fondamentalmente libero.
Grazie e al prossimo libro!
27
Ottobre 2017
Grazie