RIFLESSIONE DI LUNEDI’
DOMENICA 11 MAGGIO 2014
Cecco
Angiolieri (Siena l 1260/1312).
La mia malinconia
“La mia malinconia è
tanta e tale,
ch'i' non discredo
che, s'egli 'l sapesse
un che mi fosse nemico
mortale
che di me di pieta non
piangesse…”
Questi versi fanno parte della lirica La mia malinconia, e sono notevoli per penetrazione psicologica.. Interessante, a tal proposito, risulta la definizione della parola-chiave «malinconia». La sua accezione moderna («stato d’animo intonato a una vaga tristezza, non priva di qualche conforto»1) ci porterebbe fuori strada. «Malinconia», come molti sanno è invece termine tecnico della medicina medievale; significa letteralmente “umor nero”, inteso proprio come secrezione della bile. Mario Marti, uno dei più importanti studiosi dell’opera di Angiolieri, ci chiarisce che la malinconia per Cecco è come «desiderio del godimento allo stato puro, insoddisfazione, cupidigia di vita e l’umor nero che ne deriva». Si tratta dunque di uno stato legato ai sensi e al corpo, di una condizione psicofisica assai lontana dal vago e lirico sentimento che noi intendiamo con la stessa parola e che essa venne usata nelle liriche di fine settecento e primi dell’Ottocento. Dunque vi chiederete, cosa puo’ aver a che fare la malinconia di Cecco con la situazione attuale? A che fare, perché anche la mia malinconia è tanta e tale nel veder: una nazione che fa difficoltà a uscire fuori dalla palude economica-sociale. La mia malinconia è tanta tale che si fanno solo bizantinismi. Ecco perché sono malinconico.
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