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giovedì 16 febbraio 2023

SEZIONE SPORT

 

 

 

 

Paolo Radi intervista

 

 

 

 

ALEX

BATTAGLIA


 




Il giocatore di calcio Alex battaglia è nato a Napoli nel 1987, possiede una   laurea triennale in Scienze motorie, giocava nel ruolo di attaccante, adesso è allenatore Uefa B.

 

Inizia la sua attività con il gruppo sportivo della polizia municipale, successivamente  va alla Puteolana 1909 di Pozzuoli.

 

Nel 2002 si trasferisce  a  Genova per militare nel Genoa CFC, nei giovanissimi nazionali. 

Poi ritorna  con la Puteolana 1909 con la quale perde  per due anni consecutivi la finale dei play off regionali (mini allievi ed allievi). 

 

Poi subito in prima squadra e l’anno successivo in promozione, dopo tre presenze (due in coppa ed una in campionato) va  in prestito all’Internapoli finendo prima con la juniores e poi in prima squadra in eccellenza collezionando una presenza e tante panchine. 

 

L’anno successivo è  di nuovo alla Puteolana 1909 in promozione con 6 gol e convocazione nella rappresentativa Campania al torneo delle 2 Sicilie. 

 

Poi ancora promozione;  nel Lazio con il Torrice (Frosinone) e successivamente, tanta prima categoria:

 

il Qualiano (con una vittoria del campionato nel 2011/12), Asd Boys pianurese 2005 con la quale sono  ripescati in Promozione (2014/15) nel San Pietro a Patierno in prima categoria con la vittoria della Coppa Campania e con una finale ai playoff persa (2015/16). Infine è  con  Plajanum,  Loggetta e poi con la Maued sempre in prima categoria.

 

 

Da allenatore ho fatto 3 anni alla RD Internapoli come istruttore attività di base poi 3 con la FC Vomero come istruttore dell’attività agonistica e poi (post covid) - dopo aver smesso di giocare a febbraio 2020 - ho iniziato ad allenare la prima squadra della Maued fino a novembre 2021 (lasciando la squadra seconda a 2 punti dal primo posto dopo 7 partite 4V e 3N con il miglior attacco e la seconda miglior difesa).

Successivamente sono con la Interpianurese dal febbraio 2022 (salvezza raggiunta ai play out) e da gennaio 2023 con la Stella rossa 2006. 

 

 

 

 

 

Come prima domanda le voglio fare questa: come sta andando il campionato con la Stella Rossa 2006. 

 

Al momento bene. Sono subentrato da un mese e ho trovato un gruppo forte che aveva perso un po’ di entusiasmo e di autostima, ma con grande voglia di lavorare e tirarsi fuori dalla zona play out. Subentrare è sempre difficile, soprattutto perché hai poco tempo per incidere, con 2 allenamenti ancora di più, ma sono convinto che faremo bene. 

 

Quando ha scoperto che il calcio sarebbe diventato la sua più grande passione?

 

Sembra banale da dire, ma da sempre, ho iniziato ad andare a scuola calcio che avevo 5 anni e non ho mai smesso o pensato che la mia vita potesse essere qualcosa di diverso da un campo da calcio ed un pallone. 

 

Lei ha giocato in tantissime squadre e un’esperienza importante l’ha avuto quando si è trasferito a Genova con il Genoa, che cosa mi sa dire a proposito?

 

Genova è stata un’esperienza fantastica che mi ha catapultato subito nel mondo degli adulti, perché a 14 anni, vivere a 800 km da casa, dalla famiglia, dagli amici, prendere i treni da solo, dover badare a te stesso, ti fa crescere. É stato il mio sogno ed ha segnato tutta la mia vita, nel bene e nel male perché poi ho dovuto fare i conti con la delusione di non essere rimasto a certi livelli, un po’ per sfortuna (la situazione societaria) e sicuramente un po’ per qualche limite mio, ancora ci faccio i conti e il rimpianto è grande, ma resta un ricordo indelebile. 

 



 





I suoi genitori l’hanno sempre appoggiata oppure le dicevano che prima veniva lo studio?

 

La mia famiglia mi ha sempre supportato in quello che era il mio percorso calcistico trasmettendomi i giusti valori, facendomi capire che sport e scuola non sono cose che si escludono, ma che dovevano avere la stessa centralità nella mia vita. Anche quando mi trasferii a Genova la prima richiesta con i dirigenti fu quella di non saltare la scuola perché l’istruzione doveva  essere comunque la priorità.

 

Come ho detto sopra tanti sono stati i club dove lei ha militato, qual è quello che ricorda con maggior affetto, oppure quello dove si è sentito più a suo agio?

 

Ho tanti bei ricordi e sono legato a tutte le squadre nelle quali ho giocato e dove ho conosciuto tanti compagni di squadra, molti dei quali li incontro e li frequento ancora oggi. Da un punto di vista sentimentale mi sento legato alle società dove ho mosso i primi calci, il G.S. Polizia municipale e la Puteolana 1909, perché ero ragazzo, tanta era la voglia di crescere, imparare, avevo un sogno e non conoscevo ancora tutte le dinamiche anche negative di questo sport e di certi ambienti. 

 

Tra le prime squadre sono legato a quelle in cui ho fatto bene e/o si sono raggiunti traguardi importanti come il campionato di prima categoria vinto a Qualiano o la coppa di categoria vinta a San Pietro, e poi la Boys Pianurese.

 

Perché ha deciso a un certo punto della sua vita di diventare allenatore? 

 

C ’è un detto che dice “se non riesci in una cosa insegnala” scherzi a parte, ho sempre pensato di voler restare in questo mondo, a prescindere da risultati, categorie, rimborsi e altro. Sono sempre stato affascinato dalla figura dell’allenatore e anche in campo da giocatore provavo sempre a mettermi a disposizione dei compagni e mettere un po’ di esperienza al loro servizio, soprattutto dei più giovani. Ho iniziato ad allenare nelle scuole calcio e più passava il tempo più capivo che poteva essere la strada giusta da seguire, questo perché mi piace provare a trasmettere innanzitutto la passione per questo sport e poi le mie esperienze e le mie idee.

 

 

Qual è la principale qualità che deve avere un allenatore? 

 

Allenare è un brutto mestiere, ed è complicato al contrario di quanto si possa pensare dall’esterno. Un bravo allenatore deve sapere, saper fare e saper far fare. Essere un esempio per i suoi giocatori ed essere credibile e coerente nelle proposte e nelle scelte, ma la cosa fondamentale è il saper comunicare ed il saper entrare in empatia con i suoi giocatori. Ogni giocatore ha un codice tutto suo e bisogna conoscerlo per ottenere il meglio da lui.

 

 Che cosa le sta dando il calcio e che cosa le sta togliendo? 

 

Il calcio ha arricchito la mia vita, per le esperienze che ho vissuto, le gioie e le delusioni (tante), le persone che ho conosciuto; quello che un po’ toglie è il tempo, ne assorbe tanto, anche quando non sono in campo, soprattutto adesso che alleno è difficile staccare la spina del tutto, penso sempre agli allenamenti da preparare, cosa migliorare nelle sedute o in partita e cosi via, e poi c’è sempre la fede calcistica per il Napoli che è una vera e propria “malattia”.

 

     Qual è il suo stato d’animo prima di una partita? Quali consigli dà ai giocatori?

 

Prima di una partita ovviamente da allenatore ho sempre un po’ di ansia perché ci sono tante variabili da dover tenere in conto anche se hai la coscienza pulita se gli allenamenti che precedono la partita sono andati bene, ai giocatori cerco di trasmettere al contrario di quello che è il mio stato d’animo, serenità e chiarezza su quelli che sono i loro compiti oltre che a motivarli nel miglior modo possibile, nel calcio la componente psicologica/emotiva è ancora sottovalutata.

 









E alla fine di una partita, invece? Ripensa a quello che ha sbagliato a livello tattico, oppure volta pagina? 

 

Analizzo sempre le partite a prescindere dal risultato,  perché è la chiave per migliorare la partita successiva. Ovviamente le prestazioni negative forniscono più elementi da analizzare e sui quali intervenire e lasciano più rimpianti su quelle che possono essere state le scelte sbagliate. Poi dopo l’analisi si pensa a preparare la prossima partita. 

 

Un suo pregio e un suo difetto calcisticamente parlando?

 

Da calciatore il difetto principale era l’insicurezza e la poca voglia di sacrificarsi in campo. Il pregio era la visione di gioco ed una buonissima tecnica di base. Da allenatore credo il mio pregio sia la grande passione ed il rispetto che ho per questo sport, i difetti ne sn sicuramente tanti ma provo con il tempo a correggerli, per migliorare sempre di più 

 

Leggo spesso di liti che avvengono tra l’allenatore e i genitori, come mai? Le è mai successo di avere delle controversie con qualche genitore?

 

 Purtroppo alcuni genitori sono la rovina calcistica, ma non solo, dei loro figli, perché riversano su di loro le loro aspettative e le loro frustrazioni e anche il fatto di pagare una retta li fa sentire in diritto di poter pretendere, concetto che con lo sport non ha nulla a che vedere. Nel calcio è il campo che parla, tutti i bambini hanno  diritto allo sport nella stessa misura, ma deve prevalere comunque il concetto di meritocrazia. Il calcio poi è lo sport nazionale e tutti pensano di poter dire il proprio potersi confrontare o poter mettere in discussione chi questo lo fa per mestiere e ha studiato e si è formato per arrivare e restare a certi livelli. Per mia fortuna ho avuto sempre buoni rapporti con i genitori dei bambini e ragazzi che ho allenato. 

 

Cerco di essere coerente nelle scelte e disponibile al confronto e questo mio atteggiamento evidentemente paga. Solo una volta ebbi una discussione con un papà che chiedeva più spazio per il figlio, nonostante gli avessi mostrato il foglio presenze agli allenamenti che supportava le mie decisioni, episodio poi comunque chiarito.




 





Il calcio è sudore e sacrificio, i ragazzini di oggi questo lo capiscono? 

 

Il calcio, ma lo sport in generale è sacrificio e bisogna lavorare sempre per migliorare e ottenere i risultati. Purtroppo questo concetto è sempre più difficile da far passare alle nuove generazioni, cresciute nel benessere e circondate da tanti esempi negativi. Ai bambini che alleno cerco di insegnare che l’impegno e il sacrificio non devono essere in discussione e di evitare le scorciatoie, solo cosi si ottengono risultati. 

 

 La famiglia che cosa rappresenta per lei? 

 

La famiglia è tutto. Ho la fortuna di avere due genitori magnifici, che si sn fatti in quattro per permettermi di poter fare sport,  cercando di essere sempre presenti, lasciandomi libero nelle scelte, ma supportandomi  in tutti i momenti, soprattutto quelli delicati, del mio percorso calcistico e della mia vita in generale. 

 

É anche per loro, se non ho mai mollato e ho giocato fino a quando il fisico ha retto, a prescindere dalla categoria, proprio per cercare di ripagare tutti i loro sacrifici, come quelli di mio padre che il pomeriggio faceva la corse al lavoro per accompagnarmi agli allenamenti a Pozzuoli oppure quando si metteva in treno e veniva a trovarmi a Genova per parlare con i professori o per venirmi a trovare anche per poche ore, o mia madre sempre a fare lavatrici con i panni sporchi di terreno e fango (quando i campi non erano in sintetico) o quando mi faceva trovare il piatto pronto a qualsiasi ora del giorno. Allo stesso modo mia moglie, lei adesso mi permette di continuare ad assecondare quella che è più una passione che un vero e proprio lavoro, almeno per ora, si spera, senza farmi pesare le mancanze che derivano dallo stare, spesso, più in campo che a casa. 

 

A chi vorrebbe dedicare quest’intervista?

 

Questa intervista la dedico ovviamente ai mei genitori, esempi e punti di riferimento nella mia vita, a mio fratello Angelo che a causa di un brutto incidente non ha potuto continuare ad inseguire il sogno che coltivavamo da bambini a mia moglie Margherita e a mio figlio Giovanni, prima di tutto e tutti ci saranno sempre loro.

 

 

 

 

 16 Febbraio 2023

 

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