GIOVEDI’
09.04.2015
SI RI-PARLA
DELLA SOMALIA
Conversazione
con il
Generale
Francesco Mastrorosa
Il Generale Francesco MASTROROSA è nato a Bari, ha
frequentato i corsi regolari dell’Accademia Militare di Modena. Dopo avere
espletato i periodi di comando nei gradi di tenente e capitano presso le Truppe
Alpine, ha prestato servizio presso lo Stato Maggiore dell’Esercito come Capo
Sezione. Dal 1994 al 1997 ha prestato servizio in Belgio presso il
Quartier Generale della NATO come Staff Officer. Dal 1997 al 1999 ha comandato
il Signal Group della NATO (FTASE/5° ATAF) a Verona. Ha partecipato alle
seguenti missioni internazionali:
• "UNOSOM 2" in Somalia da agosto a novembre 1993
• “ALLIED HARBOUR" in Albania da
maggio ad agosto 1999 come Signal Battalion Commander.
Da Colonnello ha comandato il 44°
Reggimento “Penne” dal 2006 al 2009 e dal 2009 al 2012 è stato Direttore del
NATO Modelling & Simulation Centre of Excellence
Generale
ultimamente si ritorna a parlare della Somalia, Chi l’ha visto ha
riproposto due settimane fa il caso di Ilaria Alpi, a distanza di ventuno anni
dalla fine della Missione, qual’ è il suo primo ricordo inerente alla Missione
Ibis?
Mi vengono alla mente le modalità relative alla mia partenza
avvenuta nell’agosto del 93, in circostanza particolare. Ero in vacanza in
Puglia con la mia famiglia quando il 12 di agosto fui contattato dalla locale
Stazione dei Carabinieri la quale mi notificava l’ordine dello Stato Maggiore
di partire immediatamente a seguito della Brigata Legnano. All’epoca era già
avvenuto l’agguato al Check Point Pasta dove gli italiani avevano avuto 3
caduti e numerosi feriti. Le notizie relative alla guerra civile in Somalia
ormai venivano diffuse su tutti gli organi di stampa. Pertanto, anche in
famiglia non è stato facile affrontare un evento di così grosso impatto
emotivo. La prima immagine che mi torna alla mente è ciò che riuscivo a vedere
dal finestrino dell’aereo in fase di avvicinamento a Mogadiscio. Un mondo assai
lontano da quello che avevo conosciuto fino al quel momento. Mi interrogavo sul
come avrei dovuto operare in quel contesto così difficile, molto evidente
persino dall’aereo. I miei dubbi erano diventati certezze dopo solo poche ore.
Quando è arrivato in
Somalia e qual era il suo compito?
Rivestivo il grado di Capitano e il mio incarico era quello di
Ufficiale di collegamento nella Missione UNOSOM 2 (ONU) a Mogadiscio. Il mio
team era costituito da 4 Ufficiali, 3 dei quali arrivati in loco nei giorni
successivi. Abbiamo affiancato il team della Folgore (in uscita) per circa tre
settimane prima di assumere l’incarico. In sostanza eravamo l’interfaccia
operativa tra il Comando ONU e il contingente italiano.
Le posso chiedere come sono stati i suoi rapporti con gli uomini della Brigata Folgore?
Durante il periodo di affiancamento direi che il “buon viso e
cattivo gioco” si è rivelata la strategia vincente per non risultare “non
gradito”, e conseguentemente, da rispedire in Patria. L’atteggiamento “un po’
supponente” da parte della Folgore era consolidato. Ricordo che quando il capo
team ha scoperto che ero delle Trasmissioni ha commentato disgustato:
<<Neanche di Fanteria…….!!>>. In poche parole era difficile risultare
alla loro altezza. Infatti gli altri 3 del team al quale appartenevo furono
rispediti in Italia dopo meno di una settimana dal loro arrivo a Mogadiscio,
proprio perché giudicati subito non idonei dal team della Folgore. Sono
arrivati altri 3 Ufficiali per rimpiazzare quelli rispediti in Patria, ma per
fortuna a Folgore già rientrata.
Ritornando a Ilaria
Alpi perché a suo avviso non si è ancora raggiunta la verità, perché tanti
depistaggi, tante è il caso di dire” Verità Negate?”
Non posso aggiungere nulla a quanto già risaputo. La povera Ilaria
Alpi è stata uccisa qualche settimana dopo il termine della mia missione.
Se dovesse fare un
bilancio della sua permanenza in Somalia, cosa direbbe ai lettori?
L’operato degli italiani è stato quello tra i più più proficui, a
mio avviso, per un attitudine positiva dei nostri connazionali a
confrontarsi con altre popolazioni in contesti internazionali, nonché per la
nostra storia recente che ci lega alla Somala. Quando attraversavamo i
quartieri di Mogadiscio in macchina, soprattutto gli anziani, si raccomandavano
di salutare Mussolini da parte loro. A riguardo, un’abitudine quotidiana
era la richiesta da parte degli americani della bandierina italiana da mettere
sulle loro macchine quando impegnati in ricognizioni a rischio. Il Tricolore
offriva una garanzia di sicurezza in più. A prescindere da questi aspetti
di vita quotidiana credo che un po' di “stabilità” la missione l’abbia
prodotta. Forse gli interessi strategici erano diversificati tra i contingenti
militari intervenuti. Ecco forse il perché dei risultati non definitivi.
Come tutti sanno nel
1997 scoppia il caso delle torture da parte di alcuni parà ai Somali, questo
caso è ormai chiuso, invece il suo rapporto con i Somali a cosa è stato
improntato?
Il mio personale comportamento con i somali è stato sempre
improntato al massimo rispetto per la persona umana. I comportamenti
deplorevoli di cui si parla sono riconducibili ad una inadeguata azione di
comando da parte di pochi Ufficiali del contingente italiano nei confronti dei
loro Reparti. Ciò tuttavia non deve indurre i non addetti ai lavori a pensare
che i somali siano stati torturati. Ricordo che in una circostanza
completamente estranea al contesto Somalia avevo avuto modo di colloquiare per
pochi minuti con un Sottufficiale tra quelli accusati di aver praticato le
suddette torture. Mi dispiace dirlo, ma sarebbe bastato davvero poco a
comprendere che si trattasse di elemento al quale non poteva essere lasciata
nessuna “libertà di movimento”. Ritengo che ad un buon leader non possono
sfuggire certe caratteristiche psico-fisiche del proprio personale. Ecco
perché dico che la causa è da ricercare nell’azione di comando poco efficace di
pochi.
A suo avviso il
governo di allora ha commesso delle leggerezze a proposito delle regole di
ingaggio?
Non ricordo i dettagli in merito. In linea generale credo che le
regole d’ingaggio fossero adeguate. La mia esperienza vissuta però mi dice
nell’affrontare situazioni ad alto rischio è spesso difficile applicare alla
lettera le regole d’ingaggio così come previsto. Il fatture umano costituisce
una variabile importante. Un conto è esaminare la situazione “a tavolino” ed un
conto è trovarsi in situazioni nelle quali è molto verosimile non poter fare
ritorno a casa.
Un’ ultima domanda se
ne avesse la possibilità tornerebbe di nuovo in Somalia?
Sì, tornerei alla luce dell’esperienza acquisita sul campo. Come
sempre accade, se in possesso di una specifica esperienza diretta, le cose
riescono meglio.
Un grazie al Generale e un saluto ai lettori.
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